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Revocatoria fallimentare, disciplina ed evoluzione del regime probatorio a favore del comitato dei creditori

Revocatoria fallimentare, disciplina ed evoluzione del regime probatorio a favore del comitato dei creditori.

Gli articoli 64 e s.s. l.f. si occupano “degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori”, in altre parole si enunciano i casi in cui gli atti compiuti dal fallito a favore di terzi beneficiari prima della dichiarazione di fallimento possono essere revocati dal curatore o essere ex lege inefficaci nei confronti dei creditori. In sostanza gli atti compiuti dal debitore in stato d’insolvenza sono inefficaci nei riguardi dei creditori, ma validi[1].La revocatoria fallimentare è dunque uno strumento preposto alla tutela delle istanze vantate dai creditori nei confronti del fallito. Essa mira a rendere privi di effetto tutti gli atti compiuti dal fallito durante lo stato di insolvenza (periodo sospetto) che avessero lo scopo di ledere le garanzie creditizie del comitato dei creditori.
La L. 14 maggio 2005, n. 80 prima e la L. 7 agosto 2012, n. 134 dopo hanno introdotto alcune modifiche che hanno reso l’azione revocatoria fallimentare aggiuntiva, ma non sostitutiva, dell’azione revocatoria ordinaria, con lo scopo di:

  • Allargare la portata dell’azione stessa facendovi rientrare atti non soggetti alla revocatoria ordinaria come i pagamenti di debiti scaduti;
  • Riduzione del periodo sospetto sino, a seconda dei casi, ad un anno o sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento”[2].

Questo perché il legislatore da un lato non ha voluto frenare eccessivamente le attività e traffici commerciali del paese inducendo di fatto i terzi che entrassero in contatto con imprenditori in sospetto stato di insolvenza a non intrattenere rapporti commerciali con questi ultimi per paura di subire facilmente un’azione revocatoria; sia perché ha voluto, attraverso l’introduzione di termini fissi del periodo di insolvenza sospetto antecedente al fallimento, responsabilizzare proprio i terzi nell’espletamento delle loro attività commerciali dovendo questi ultimi far sorgere la fondata preoccupazione di un dissesto, se non in atto, già per lo meno in potenza.
All’azione revocatoria fallimentare si applica in ogni caso la disposizione prevista dall’art 69-bis l.f.; dunque anche quest’ultima non potrà essere promossa decorsi 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e 5 anni dal compimento dell’atto. Secondo quando previsto dall’art 66 l.f.  “il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile [2901-2904 c.c.]. L’azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro [2901 4 c.c.].”

Sarà dunque il curatore a promuovere la revocatoria fallimentare allo scopo di reintegrare la massa attiva del fallimento rendendo inefficaci nei confronti dei creditori gli atti compiuti antecedentemente al fallimento a meno che il terzo non provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore.
In caso di azione revocatoria fallimentare, il Tribunale può utilizzare, ai fini della decisione, i risultati dell’indagine, estimativa o contabile, fatta espletare dal Giudice delegato nell’ambito della procedura concorsuale per verificare la fondatezza e la consistenza delle ragioni della procedura”. Questa è la massima espressa dalla Cassazione civile con la sentenza del 23 maggio 2018, n 12850; e risulta essere un’importantissima innovazione nell’ambito del libero convincimento del giudice circa la sussistenza o meno dei requisiti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, potendo quest’ultimo addivenire ad una decisione sulla base del lavoro precedentemente espletato dal giudice delegato per verificare la fondatezza e la consistenza della procedura, avendo quest’ultimo valore di perizia stragiudiziale[3].

Tale concetto è espresso ancora più chiaramente dai giudici di piazza Cavour nella parte della sentenza in cui scrivono: “In vero il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purchè fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione, in applicazione del principio del libero convincimento del giudice (Cass. 12/12/2011 n. 26550; Cass. 4/1/1977 n. 17).
Questa corte, applicando detto principio di ordine generale al procedimento di verifica delle insinuazioni al passivo, ha precisato che nel caso in cui il giudice delegato abbia disposto nell’ambito della procedura concorsuale un’indagine al fine di verificare la fondatezza e la consistenza delle ragioni della procedura, tale elaborato peritale può essere utilizzato dal Tribunale, in sede di opposizione, alla stregua di una perizia stragiudiziale di parte al fine di trarne elementi di convincimento, o anche di condividerne le conclusioni, in presenza di adeguate ragioni (si vedano in questo senso Cass. 11/11/1981 n. 5972; Cass. 4/1/1977 n. 17)”[4].

In conclusione tale nuovo orientamento giurisprudenziale risulta essere importantissimo per il curatore nell’ambito della corretta amministrazione del patrimonio del fallito e della liquidazione dello stesso per il soddisfacimento dei creditori, in quanto potrà dimostrare più facilmente la sussistenza delle ragioni per un’azione revocatoria fallimentare con conseguente reintegrazione della massa attiva del fallimento; e potrà esserlo soprattutto per quella categoria di atti a titolo oneroso, come quelli costitutivi di  un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi se compiuti  nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, e per i quali vige una presunzione a favore dei terzi beneficiari (incombe sul curatore l’onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore).

 

 

 

 

[1] C. MELLONE, “ La revocatoria fallimentare

(http://www.dirittoprivatoinrete.it/fallimento/la_revocatoria_fallimentare.html)

[2] A.GRAZIANI  G.MINERVINI U.BELVISO V.SANTORO “Manuale Di Diritto Commerciale” edizione 2015

[3] A. PAGANINI,” Anche la perizia stragiudiziale di parte può concorrere a fondare il convincimento del Giudice” (http://www.dirittoegiustizia.it/news/13/0000089405/Anche_la_perizia_stragiudiziale_di_parte_puo_concorrere_a_fondare_il_convincimento_del_Giudice.html?cnt=3)

[4] Cass. Civ. Sez I, Sentenza n. 12850, 23 maggio 2018

https://www.iusexplorer.it/Dejure/Sentenze?idDocMaster=7354389&idDataBanks=2&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina=0&NavId=972877962&pid=19

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