venerdì, Marzo 29, 2024
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Revocazione ordinaria e straordinaria nel processo amministrativo

Sommario: 1. Considerazioni introduttive: il rimedio della revocazione nel processo amministrativo. – 2. Ricostruzione dei fatti all’origine della vertenza. – 3. I motivi dedotti in appello. – 4. Le conclusioni del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

  1. Considerazioni introduttive: il rimedio della revocazione nel processo amministrativo.

All’articolo 106 c.p.a., è ammessa la revocazione avverso le sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato. La disciplina contenuta nel codice del processo amministrativo è tuttavia scarna: non è infatti dettata una disciplina specifica inerente ai casi di revocazione, facendosi rinvio all’art. 395 c.p.c., considerando altresì il rinvio generale alla disciplina dello svolgimento del giudizio di primo grado di cui all’art. 38 c.p.a.

L’articolo 395 c.p.c. distingue ipotesi di revocazione straordinaria – nn. 1, 2, 3 e 6 – che può riguardare sentenze passate in giudicato, e di revocazione ordinaria – nn. 4 e 5 – consentita esclusivamente prima del passaggio in giudicato della sentenza revocanda[1].

Nello specifico, i casi di revocazione straordinaria riguardano:

  • sentenze effetto di dolo di una parte a danno dell’altra (art. 395, n. 1);
  • sentenze pronunciate in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sua pronuncia o che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate false prima di essa (art. 395, n. 2);
  • ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario (art. 395, n. 3);
  • sentenze affette da dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato (art. 395, n. 6).

Per contro, si ha revocazione ordinaria quando:

  • la sentenza sia affetta da errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (art. 395, n. 4)[2];
  • la sentenza sia contraddittoria con altra precedente passata in giudicato, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (art. 395, n. 5).

Sulle conseguenze connesse alla modifica, da parte del giudice, della qualificazione del ricorso per revocazione da straordinaria in ordinaria si è pronunciato dei recente il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con sentenza 05/03/2021, n. 192, che in questa sede si vuole commentare.

  1. Ricostruzione dei fatti all’origine della vertenza.

Con un ricorso avviato nel 1999, alcuni dipendenti in quiescenza della Camera di commercio industria e artigianato di Palermo transitati dal Comune di Palermo, chiedevano che venisse accertato che il periodo lavorativo prestato alle dipendenze del Comune dalla data di assunzione – nel 1979 – a quella di passaggio alla Camera di commercio – nel 1985 – doveva essere computato ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita.

S’instaurava un giudizio contro la Camera di commercio, il Comune di Palermo e l’INPDAP, in cui veniva chiesta la condanna del Comune al versamento degli oneri dovuti all’INPDAP, ove tutto o in parte non versati.

La Camera di commercio eccepiva preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedeva, nel merito, il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 2013 del 23 luglio 2014, il Collegio chiedeva al Comune di Palermo chiarimenti in ordine all’avvenuto effettivo versamento dei contributi previdenziali per i ricorrenti; in esecuzione di detta ordinanza il Comune, nell’agosto 2014, trasmetteva una nota del settore bilancio e tributi, da cui risultava l’avvenuto versamento dei contributi ai ricorrenti: di conseguenza, veniva accolto il ricorso, con riconoscimento del diritto al computo del servizio pre-ruolo ai fini della quantificazione dell’indennità di buonuscita. La relativa sentenza veniva pubblicata il 14 gennaio 2015.

La Camera di commercio, in esecuzione di siffatto giudicato amministrativo, richiedeva all’INPS (ex Inpdap) i contributi che in giudizio il Comune di Palermo aveva dichiarato di aver versato.

Successivamente, nel maggio del 2016, l’INPS comunicava che “il Comune di Palermo ha precisato, con propria lettera del 03 /03/2016, che non risultano modelli 103/S di regolarizzazione per gli anni successivi al 1979 e fino al 1985 e che il ruolo di iscrizione INADEL del 1979 documenta la retribuzione ai soli fini assistenziali e non anche previdenziali”.

A seguito di tali comunicazioni, la Camera di commercio proponeva ricorso dinanzi al Tar per la revocazione straordinaria della sentenza ex art. 395, nn. 1 e 2, c.p.c., deducendo che la sentenza in questione sarebbe stata effetto del dolo di una parte in danno dell’altra e di prove riconosciute false dopo la sentenza.

Il Tar ha tuttavia riqualificato la domanda ritenendo sussistente un caso di revocazione ordinaria, in particolare l’errore di fatto ex art. 395, n. 4 c.p.c., dal momento che la sentenza del 2015 si baserebbe su una svista di carattere materiale oggettivamente rilevabile: di conseguenza, revocata la sentenza, ha accolto la domanda originariamente proposta limitatamente all’anno 1979.

  1. I motivi dedotti in appello.

Una delle dipendenti in quiescenza ricorre in appello avverso la sentenza n. 2116/2017, con la quale il Tar Sicilia – Palermo, sezione III, ha accolto il ricorso per revocazione proposto dalla Camera di commercio di Palermo, deducendo tre motivi di censura, di natura processuale e di merito.

Con il primo motivo, si deduce la violazione delle norme che regolano la notifica dell’impugnazione per revocazione, alla parte personalmente, ex art. 330, ultimo comma, c.p.c.: si evidenzia che, nei giudizi d’impugnazione, la notificazione dell’atto introduttivo, qualora sia decorso oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente[3]. Nel caso di specie, la sentenza revocanda è stata pubblicata il 14 gennaio 2015, mentre il ricorso per revocazione è stato notificato in data 9 giugno 2016 ed iscritto a ruolo il successivo 27 giugno sicchè, in ragione della mancata costituzione in giudizio dell’appellante il giudice, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., avrebbe dovuto disporre la notificazione alla parte personalmente ex art. 330 c.p.c. Pertanto, dovrebbe dichiararsi la nullità o l’inesistenza della notifica del ricorso per revocazione e, di conseguenza, la nullità della sentenza appellata.

Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 92, c.p.a. e 395, nn. 1 e 2, c.p.c.: l’appellante rileva in proposito che il giudice di prime cure, una volta ricondotto il vizio revocatorio all’ipotesi di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., avrebbe dovuto, per conseguenza, ritenere il ricorso inammissibile perché tardivo, dal momento che il termine per proporre revocazione ordinaria segue quello per proporre appello.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 22, legge n. 440/1987, ritenendosi lesivo e pregiudizievole il mancato riconoscimento, in capo all’appellante, del diritto a percepire l’indennità di fine rapporto per il servizio pre-ruolo.

  1. Le conclusioni del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

Il Collegio accoglie l’appello con riferimento al secondo motivo di censura. In particolare, viene rilevato che il giudice di primo grado, avendo modificato la qualificazione del ricorso per revocazione da straordinaria in ordinaria ex art. 395, n. 4, c.p.c., avrebbe dovuto dichiarare quest’ultima inammissibile per tardività ed incompetenza del giudice adito.

Nella specie, dovevano applicarsi i diversi e più brevi termini previsti per la proposizione del rimedio revocatorio ordinario[4] che, al momento della notificazione del ricorso per revocazione, risultavano ampiamente superati.

In secondo luogo, il ricorso per revocazione ordinaria andava dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 106, comma 3, c.p.a., in base alla cui previsione contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con l’appello: ad avviso del Collegio, tale disposizione va interpretata nel senso che avverso le sentenze dei Tar non sia ammesso il rimedio della revocazione ordinaria. Più precisamente, poichè i termini di quest’ultima coincidono con quelli dell’appello, i vizi di revocazione ordinaria delle sentenze amministrative di primo grado si convertono in motivi di appello e con tale medesimo rimedio si devono far valere; ne discende che l’impedimento “oggettivo” a proporre appello ricorre solo nei casi di revocazione straordinaria[5].

Il Collegio specifica infine che non può trovare accoglimento la diversa interpretazione che dell’art. 106, comma 3, c.p.a. si dà nella pronuncia appellata, ove si fa riferimento all’impedimento “soggettivo” a proporre appello: quest’ultimo non sembra configurabile infatti né in astratto e né in concreto, poiché chi è parte del giudizio di primo grado, ancorché non costituita, può sempre proporre appello, mentre chi parte non è, può avvalersi del diverso rimedio dell’opposizione di terzo, ex art. 108, comma 1, c.p.a.

 

[1] Cfr., sul punto, N. Picardi, Manuale del processo civile, III ediz., Giuffrè Editore, 2013, p. 429.

[2] Deve trattarsi di errore di fatto che sia stato determinante per la sentenza e non deve concernere le valutazioni dei fatti compiute dal giudice, ma consistere in un’errata o omessa percezione del contenuto materiale degli atti o dei documenti prodotti in giudizio. Si tenga presente che, di questa ipotesi di revocazione, il Consiglio di Stato ha proposto un’interpretazione estensiva, senza riscontro nella giurisprudenza civile, ammettendo come motivo anche l’omessa pronuncia su una domanda della parte, se l’omissione possa essere ricondotta ad un errore del giudice nella percezione del contenuto dell’atto nel quale sia stata formulata quella domanda – sul punto Cons. Stato, ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21; id., 24 gennaio 2014, n. 5; id., 22 gennaio 1997, n. 3. In questo caso, nel processo amministrativo, non sarebbero ammessi altri rimedi, poiché la violazione per il Consiglio di Stato di provvedere su tutta la domanda non identifica un vizio inerente alla giurisdizione, che non può essere fatto valere con ricorso per cassazione, in questi termini A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, XIII ediz., Giappichelli Editore, 2019, p. 342.

[3] Si consideri, a riguardo, Cass. civ., Sezioni Unite, 4 febbraio 2016, n. 2197.

[4] Si specifica che, ex art. 92, comma 1, c.p.a., il termine per proporre la revocazione ordinaria è di 60 giorni dalla data di notifica della sentenza ovvero, nei casi di sentenza non notificata, di 6 mesi dal deposito della stessa.

[5] In tal senso si veda anche A. Travi, op.cit., p. 343.

Pierluigi Mascaro

Mi sono laureato in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma lo scorso 23 aprile, discutendo una tesi in Diritto delle autonomie territoriali dal titolo "L'apporto delle Regioni alla formazione del Diritto dell'Unione Europea" - Relatore Prof. Antonio D'Atena. Durante il percorso di studi universitari, ho frequentato il profilo amministrativistico, approfondendo le discipline giuridiche afferenti a questa area del diritto. Mi sono sempre particolarmente interessato al mondo della scrittura, in ambiti differenti e, per quel che riguarda, nello specifico, quello giuridico, mi cimento nella redazione di commenti e note a sentenza del giudice ordinario, amministrativo, della Suprema Corte, del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale. A partire dal mese di giugno scorso, ho il piacere e l'onore di collaborare per l'area Diritto Amministrativo della rivista giuridica "Ius in Itinere". Attualmente collaboro, a titolo di cultore della materia, con la Cattedra di Diritto dell'Ambiente presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUISS Guido Carli. Dal prossimo gennaio, inizierò il mio percorso nell'ambito del Master di II livello in Diritto Amministrativo presso l'Università LUISS di Roma.

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