giovedì, Marzo 28, 2024
Litigo Ergo Sum

Come riconoscere una donazione indiretta?

In tema di “donazione indiretta”, in attesa di un “principio di diritto” dirimente, la Seconda Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per rimettere la materia alle Sezioni Unite e chiarirne l’ambito di applicazione e gli strumenti utilizzabili: il “petitum” della domanda attorea è la restituzione di una somma di denaro, posseduta dal di lei padre, che la convenuta-delegata aveva dato ordine di trasferire su proprio conto alla banca, in quanto trasferimento senza causa, effettuato undici giorni prima del decesso del de cuius in base ad atto nullo, poiché privo della forma solenne richiesta dalla donazione.

Numerosi sono i profili che emergono già da questo assunto, ma ciò che preme al giudice di legittimità è cercare di dissipare i dubbi interpretativi e applicativi propri di un istituto particolarmente complesso, qual è quello delle “donazioni indirette”.

Chiariamo di che cosa stiamo parlando.

Le “donazioni indirette” sono “atti di liberalità commessi attraverso un altro negozio”; la loro “causa” non è pertanto “l’animus donandi”, bensì quella del negozio mediante il quale si realizza e sono disciplinate ex art. 809 cc.

Esso prevede l’applicazione di norme in tema di “revocazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli” e quelle sulla “riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”, ma non prevede la forma prescritta ex art. 782, poiché è sufficiente quella del negozio principale.

L’interprete ha un ruolo molto difficile in materia, poiché è tenuto a dare contenuto a una norma che in realtà non chiarisce l’ambito di applicazione oggettivo dell’articolo 809, ecco perché attendiamo una pronuncia da parte delle Sezioni unite, che possa finalmente dare delle linee guida ed evitare potenziali contrasti interpretativi.

La necessità di un intervento in questa direzione, nasce dal fatto che esiste poca univocità su quale sia lo “strumento utilizzabile” e il suo “meccanismo di funzionamento”, a causa di una fitta casistica giurisprudenziale e dottrinale che si contrappongono a vicenda.

Per quanto riguarda il secondo profilo, la Seconda sezione chiarisce come questo fenomeno vada spiegato, ovvero, come la “combinazione di due negozi”, un negozio-mezzo e un negozio-fine, accessorio e integrativo, tesi avallata sia in giurisprudenza sia in dottrina (Sez.2 n. 21449 del 21/10/2015).

Tuttavia questa interpretazione non è sufficiente da sola a fare chiarezza, poiché molte sono le opinioni in materia, alcune a favore, altre divergenti: c’è chi ha sostenuto la sufficienza di un solo negozio, purché capace di procurare l’effetto indiretto di liberalità (Sez. 1 n. 11327 del 15/11/97).

E ancora, è stata affermata come “donazione indiretta” la dazione di una somma di denaro ove sia accertato lo specifico fine di permettere al beneficiario di ottenere l’acquisto di un bene con la medesima (Sez. 6-2 n. 18541 del 2/9/2014).

Infine rileva la possibilità di non far rientrare nelle “donazioni indirette” anche i titoli di credito, per natura astratti, suscettibili di realizzare in modo diretto qualsiasi scopo voluto dalle parti.

Riguardo al primo profilo invece, lo strumento da utilizzare, la difficoltà consiste nel chiarire se c’è bisogno di almeno due negozi, di uno solo o anche di un solo atto materiale.

La dottrina non offre soluzioni univoche perché troppo numerose le interpretazioni, finalizzate sia ad ammettere e/o ad escludere determinati negozi dall’art. 809.

La questione attuale è se è possibile inquadrare in un “autonomo atto negoziale” la disposizione data dal “de cuius” alla propria banca, trattandosi semmai, di un “mero atto”, che non si distinguerebbe da una qualsiasi disposizione di pagamento.

Parere opposto è invece quello che determina, dalla cointestazione ab origine del conto, l’intermediazione del negozio con cui s’intende perseguire lo scopo di liberalità.

La questione avrebbe soluzione diametralmente opposta, se invece fosse accolta un’interpretazione “ampia” dell’art. 809, per cui sarebbero da ricomprendere al suo interno qualunque mezzo utile allo scopo, sia esso fatto, atto giuridico in senso stretto o negozio giuridico.

In conclusione, come già prospettato in precedenza, urge un intervento delle Sezioni unite che, posta l’assenza del precedente vincolante nel nostro sistema giurisprudenziale, possa cercare di dissipare dubbi interpretativi e applicativi, inquinati anche dalle troppe pronunce dissonanti in materia, che ostacolano il lavoro dell’interprete.

 

 

 

Pasquale Cavero

Nato a Napoli nel 1993, studente presso la Federico II e iscritto all'ultimo anno di Giurisprudenza. Molto interessato alle materie processuali con profili sia civilistici che penali, concluderà il percorso universitario con una tesi sul "Giudizio in Appello". Collaboratore dell'area contenzioso, cerca di coniugare un'esposizione che sia tecnica ma al contempo scorrevole ed efficace.

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