venerdì, Aprile 19, 2024
Tax Driver

Riforma della giustizia tributaria: una questione non più procrastinabile

A cura di Federico Muzzati

 

 

Una vexata quaestio, la riforma della giustizia tributaria: una questione non più procrastinabile. La situazione attuale e le maggiori criticità di sistema, tra alcune proposte di legge e possibili soluzioni evocate da più attori, quali associazioni di Avvocati e Commercialisti.

 

  1. Un breve quadro della situazione attuale: alcuni punti critici

 

Il processo tributario è disciplinato dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Il primo articolo di tale atto legislativo attribuisce la giurisdizione in materia tributaria ad organi particolari, le Commissioni tributarie, provinciali e regionali (dipendenti dal MEF), ed inoltre richiama il codice di procedura civile per la regolamentazione dei casi non disciplinati dal testè detto decreto legislativo[1].

La giurisdizione tributaria ex art. 2.1 d.lgs. 546/1992 comprende, “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio”.

Inoltre, sono ricomprese nell’ambito giurisdizionale delle Commissioni le controversie in materia catastale, promosse dai singoli possessori. È ammesso oltretutto, il regolamento preventivo di giurisdizione, dinanzi alla Suprema Corte, secondo le norme in materia contenute nel codice di procedura civile.

Le Commissioni si articolano in Commissioni tributarie provinciali e regionali e sono composte da giudici onorari, e non professionali.

I membri delle Commissioni non sono perciò selezionati attraverso pubblici concorsi per esami, bensì sono scelti per titoli dal Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, secondo graduatorie formate in base a criteri e punteggi predeterminati; vengono nominati dal Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Possono far parte della Commissione provinciale, tra gli altri, i giudici ordinari, amministrativi contabili e militari, i dipendenti civili dello Stato, i ragionieri con dieci anni di attività, i laureati in giurisprudenza o economia da due anni, e altre figure professionali con almeno dieci anni di attività (ingegneri, architetti, geometri, periti agrari, edili e industriali e dottori agronomi). Possono essere perciò membri delle Commissioni anche magistrati non togati, e questo comporta che non si abbia la garanzia che tali soggetti siano dotati di adeguata preparazione in ambito giuridico-tributario.

Da qui l’esigenza di una riforma, che finalmente assicuri anche a questo particolare tipo di giurisdizione speciale i requisiti di terzietà, indipendenza, professionalità ed imparzialità ex art. 111 della Costituzione e risolva questi punctum dolens di non poco conto, andando a porre in essere finalmente un “vero” processo.

  1. La “genesi” Parlamentare dell’attuale “emergenza riformista”

Successivamente ai molteplici progetti, anche di recente, presentati in Parlamento, non andati però“in porto”, sembra si sia ora realmente formata la volontà politica di porre in essere una riforma del processo tributario (in particolar modo della nomina dei magistrati tributari), per arrivare finalmente all’avvento di un sistema giudiziario tributario davvero degno di tale appellativo anche nel nostro Paese, ma anche al fine di dare concreta giustificazione causale alla c.d. “pace fiscale” introdotta dal non molto nell’ordinamento giuridico domestico[2].

Ecco allora, che mai come in questo momento, questo delicato tema, sta assumendo i connotati di reale ed effettiva urgenza ed emergenza, e sta quindi rientrando “prepotentemente” nell’agenda politica italiana, assurgendo a vera e propria esigenza pratica anche nel dibattito pubblico, non essendo più perciò confinata solamente all’ambito nomopoietico, e ad “auliche” discussioni dottrinali.

Assistiamo perciò ad un vero e proprio fermento in sede Parlamentare, ove già nella penultima legislatura, ma anche, a fortiori, in quella attuale, erano venuti alla luce non pochi disegni di legge, che in vari modi e forme prospettavano alcune soluzioni di sistema, volte al fino ultimo di riformare in nuce e radicalmente la giustizia tributaria; nessuno di questi però è potuto venire alla luce, in quanto non sono arrivati nemmeno in sede di discussione in Aula.

La scintilla che ha fatto scattare una seria volitività politica di attuare finalmente una seria riforma della giustizia tributaria, sembra potersi riscontrare nell’approvazione della legge (di conversione di un precedente e sottostante decreto legge) 136/2018, la quale ha previsto una situazione non di certo nuova; si tratta dell’anzidetta “pace fiscale”, o condono o cimitero fiscale che dir si voglia; ciò, al di là della diatriba politica sul nomen da attribuirgli ha dimostrato nella sua (seppur breve) vita operativa, di non cogliere dei risultati poi così significativi, e soprattutto non così facilmente, come auspicato e previsto.

Ecco allora che nel legislatore si è pian piano maturato il seguente proposito e progetto: attuare (non solo “a parole”) una riforma globale del sistema tributario (e in particolar modo della giustizia tributaria), ove il condono o più politically correct parlando pace fiscale si viene ad inserire come “base” di un complessivo, organico, sistematico ed onnicomprensivo progetto riformistico, di cui il Paese ha un disperato bisogno oggigiorno.

  1. Le modalità di riorganizzazione dell’ordinamento tributario

Prima di passare ad analizzare alcune possibili modalità di riorganizzazione dell’ordinamento tributario in toto considerato pare allo scrivente necessario sottolineare una situazione venutasi a creare recentemente che appare quantomeno degna di nota, rappresentante una chiara spia di malfunzionamento del sistema, e in quanto tale assai preoccupante.

Si tratta del fatto che la Corte dei Conti (la c.d. magistratura contabile) ha “messo nel mirino” la giustizia tributaria, lanciando l’alquanto singolare e inusuale idea di “concentrare in una stessa magistratura la salvaguardia degli interessi dell’Erario e del Fisco” [3] , venendo così di fatto a superare il (fallimentare) assetto delle Commissioni tributarie (provinciali e regionali).

Tale proposta ha suscitato grandi perplessità e sollevato critiche provenienti non solo (ovviamente) dall’Associazione dei magistrati tributari, ma anche e soprattutto dai principali operatori del settore (avvocati e commercialisti); infatti, secondo il Consiglio nazionale dei commercialisti “è come se ad arbitrare una partita fosse il giocatore di una delle due squadre”; si tratta di una metafora calcistica che pur semplificando la questione, rende chiaramente il quadro d’insieme che si potrebbe venire a creare se ciò davvero accadesse realmente.

Esaurita questa breve, ma doverosa premessa su un fatto recentemente accaduto, è necessario ora ritornare su quelle che potrebbero (secondo alcuni) essere le modalità di riorganizzazione dell’ordinamento tributario nel suo complesso.

Nel corso della scorsa legislatura, alcuni erano addirittura arrivati a paventare come “soluzione” quella di devolvere in blocco e sic et simpliciter la giurisdizione tributaria alle sezioni specializzate (del Tribunale) del giudice ordinario, mentre pochi altri (molto più saggiamente) avevano già intuito e propugnato la necessità di “portare a compimento l’evoluzione stessa della giustizia tributaria quale giurisdizione speciale lentamente formatasi dall’originaria commistione con la funzione amministrativa di prelievo, attraverso ricorrenti interventi legislativi e cospicui contributi da parte della Corte costituzionale, sino ai giorni nostri, nell’ambito di una continua opera di revisione costituzionalmente garantita dalla pur fragile copertura della sesta tra le Disposizioni transitorie e finali della nostra Carta fondamentale”.

In tale ultima direzione, nel preparare i lavori di riforma, si sono venute a porre sostanzialmente tre questioni problematiche, di non poco conto, che nello specifico concernono: a) la compatibilità delle ipotizzate e in fase di progettazione novità organizzative dei magistrati tributari con i divieti tassativi e imperativi della creazione di nuovi giudici speciali previsti dal dettato costituzionale; b) i rapporti intercorrenti tra i giudici tributari e il corpus amministrativo che li ha sino ad oggi inquadrati al suo interno; c) la revisione del vertice apicale, in quanto così strutturato, oggettivamente non è assolutamente funzionale ed efficace.

In relazione al primo punctum pruriens, non si può assolutamente eludere l’alto insegnamento reso della Consulta, che, com’è noto, ha riconosciuto la valida permanenza della “magistratura tributaria” nel nostro ordinamento in quanto questi giudici speciali si trovino a rientrare nell’ambito di una revisione che non vada per così dire a snaturare, la loro continuità rispetto a quelli preesistenti alla entrata in vigore della Costituzione, rappresentandone invece la fisiologica prosecuzione in senso evolutivo, e in ispecie, maggiormente informato ai valori di indipendenza, di imparzialità e di terzietà previsti ex art. 111 dalla Carta costituzionale. Mutatis mutandis, viene quindi a modificarsi la denominazione, e si viene così a individuare i Tribunali tributari come giudici di prime cure e in sede di gravame (giudici di seconde cure), le Corti d’appello tributarie; appare noto come tale “maquillage” del nomen iuris non venga posto in essere al sol fine di evidenziare una netta separazione rispetto alle precedenti Commissioni tributarie, ma “semplicemente” per evidenziare e rimarcare il pieno  e fedele conseguimento in via evolutiva di tutti i connotati caratteristici degli organi giurisdizionali richiesti dal dettato costituzionale.

Pienamente in maniera coerente con tutto ciò poc’anzi detto, per ciò che invece inerisce alla composizione dei neo organi giurisdizionali (Tribunali e Corti d’appello tributarie), si è prevista in primis una massima divisione, ma anche allo stesso tempo commistione, tra i giudici tributari c.d. togati, propriamente detti, che vengono costituiti affinché possano svolgere tale ruolo, e selezionati rigorosamente e tassativamente per mezzo di un concorso pubblico aperto a chiunque presenti una serie di predeterminati requisiti attitudinali; questi magistrati debitamente retribuiti, e preservati da rigorose caratteristiche di indipendenza e terzietà, e non di meno di assoluta e totale incompatibilità con l’appartenenza ad altri ordini giurisdizionali, ed infine giudici tributari onorari, che, a differenza dei togati, potranno essere parte dei Tribunali e delle Corti d’appello tributarie solo e soltanto previo superamento di un giudizio d’idoneità espresso da una specifica e apposita Commissione, costituita ed istituita presso il Consiglio Superiore della giustizia tributaria.

Per ciò che riguarda invece il secondo punctum dolens, ovvero quello relativo al rapporti intercorrente tra giudici tributari e apparato amministrativo ministeriale, che sino ad ora li inquadrati, è stato “risolto” con il totale sganciamento della gestione organizzativa dei giudici speciali tributari dal MEF, e con il susseguente e conseguente affidamento della stessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche per quello che concerne gli ausiliari dei cancellieri, al precipuo fine di riconoscere l’assoluta e più totale autonomia e indipendenza di tutto l’organismo (speciale) tributario rispetto ad un apparato di tipo amministrativo che, volenti o nolenti, era pur sempre denotato da una serie di intensi legami con una (la principale) tra le parti necessarie del giudizio tributario.

Per concludere, quanto alla terza problematica, cioè quella relativa alla ristrutturazione completa del vertice apicale realizzata al fine di facilitare una completa revisione e riorganizzazione della Sezione tributaria della Suprema Corte, si è anzitutto stabilito di limitare il numero dei ricorsi presentabili, in particolar modo, grazie all’esclusione della generale impugnabilità in ultima istanza delle sentenze di merito nelle controversie di valore non superiore a euro ventimila.

 

  1. Alcune proposte e soluzioni de iure condendo“ambiziose”

Nel medio tempore dei lavori riformatori si era pure prospettata l’idea di far confluire nel “codice” del processo tributario, una serie di precetti generali preliminari di natura sostanziale, con l’essenziale scopo di individuare i capisaldi della disciplina del prelievo, su cui si va poi conseguentemente e susseguentemente ad innestarsi l’esercizio della giurisdizione tributaria. Benchè, tale prospettiva de iure condendo fosse tutt’altro che insensata, si è poi realisticamente pervenuti alla conclusione della impraticabilità, al momento di un risultato di questa portata, dato l’imperversare del caos (normativo) in materia, che di fatto va ad impedire la piena, totale e soddisfacente attuazione di un siffatto disegno riformista, imponendo, piuttosto, in un futuro che si spera sia abbastanza prossimo, la formazione finalmente di un vero e proprio “Codice tributario”, cioè di un corpus normativo organico e omogeneo in materia fiscale (e non una semplice fonte di ricognizione della normativa già esistente in materia tributaria), che naturalmente già esiste in molti Paesi.

Pare significativo dire che si è svolto a Roma un confronto tra i più rilevanti players del settore (avvocati, commercialisti e alcuni giudici tributari) quali: il Presidente del Consiglio di giustizia tributaria Antonio Leone, Francesco Giuliani, Giuseppe Bilancia, Paolo Brescia, Giovanni Mameli, Valentina Guzzanti ed altri insigni studiosi del panorama nazionale.

Il ricco e fervente dibattito ha portato alla luce diverse anomalie e inefficienze del processo tributario, che si è provato sopra a descrivere in breve, e quindi senza assolutamente alcuna pretesa di esaustività, quali: il deficit di terzietà del sistema, le remunerazioni insufficienti dei componenti delle Commissioni, e la qualità delle sentenze, che altro non è che un logico riflesso di tutte le problematiche appena citate.

Il Presidente Leone, si pone alcune domande, che sono sintomatiche delle patologie dello stato della giustizia tributaria, e che hanno il seguente tenore: “Cosa deve pensare il contribuente quando scopre che l’aula della sua udienza è accanto all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate? O all’idea che a giudicarlo sia un magistrato la cui retribuzione proviene dal MEF?”

Sempre secondo Antonio Leone, è necessario “ricominciare da zero” con un concorso aperto a chiunque abbia i titoli, e creare una vera specializzazione, e bisogna inoltre affrontare un problema non meno delicato, quello della carenza del personale amministrativo; oggi la giustizia tributaria ha milleottocento settanta dipendenti, quando la Corte dei Conti che gestisce un numero enormemente inferiore di ricorsi di dipendenti ne ha duemila.

L’insigne avvocato Francesco Giuliani, uno dei protagonisti principali dell’incontro, ha preparato una proposta in cui si prevede la creazione di una “vera” giurisdizione tributaria, in cui le priorità sono (come già ampiamente detto in precedenza) la terzietà, l’imparzialità e l’indipendenza del giudice, oltre alla disciplina della difesa tecnica, del gratuito patrocinio, la revisione del processo cautelare, il reclamo e la mediazione, la possibilità di introdurre la prova testimoniale (ravvicinando quindi il giudizio tributario a quello civile e penale in relazione a questo ambito probatorio), e più generalmente parlando andando a garantire effettivamente il principio di parità delle armi.

Come si può chiaramente evincere, e com’è ovviamente giusto che sia, la stella polare che si segue nella formulazione di queste (macro) proposte, è l’art. 111 della Costituzione, una bussola fondamentale per garantire tutte le garanzie a corredo del giusto processo.

[1]F. Tesauro, Compendio di diritto tributario, edizione 2016

[2]C. Glendi, “La riforma della giustizia tributaria”, luglio 2019, disponibile qui: http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/main.html#mask=main,ds_name=ABB,pos=0,opera=SF,id=SFAR0000259285ART1,sel_tab=ABB,mode=biblio,_menu=riviste,highlight=riforma%20giustizia%20tributaria,_npid=1097898211,__m=show_riv

[3]Il Dubbio, “Giudici tributari, ora siano autonomi e professionali”, novembre 2019, disponibile qui: https://ildubbio.news/ildubbio/2019/11/12/giudici-tributari-ora-siano-autonomi-e-professionali/

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento