giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Rimessa alle Sezioni Unite la questione circa l’affiliazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso. Cass. Pen., sez. I, 9.02.21, ord. n. 5071

È stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se la mera affiliazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso c.d. storica, nella specie ‘Ndrangheta, effettuata secondo il rituale previsto dall’associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato dalla norma previsto”. (Cass. pen., sez. I, 09.02.21, ord. n. 5071).

Il caso.

La questione in esame origina dal ricorso presentato dal difensore degli indagati contro l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria il quale aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti degli indagati per il reato di cui all’art. 416-bis, cc. 1,2,3,4 e 5, c.p..

Il quadro indiziario si fondava sugli esiti delle captazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari ed in particolare, dalle intercettazioni, si evinceva la modalità ‘ndranghetista dei ricorrenti e i soggetti che avevano partecipato al rituale consortile.

Si ritenevano, infine, sussistenti le esigenze cautelari indispensabili al mantenimento del regime restrittivo applicato, rilevanti ai sensi del combinato disposto dell’art. 274, c. 1, lett. c) c.p.p. e dell’art. 275, c. 3, c.p.p., in conseguenza dell’elevato disvalore delle condotte illecite contestate agli indagati e della loro riconducibilità ad una consorteria criminale storicamente radicata nell’area aspromontana.

Il gravame deduceva la violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 273 c.p.p. e all’art. 416-bis c.p. e con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 273 c.p.p. e 192, c. 2, c.p.p.

La motivazione.

La Corte di Cassazione, con riferimento al quadro indiziario, ritiene che gli esiti delle attività di intercettazione facessero emergere le modalità rituali con cui gli indagati erano stati affiliati alla locale cosca ‘ndranghetista; queste captazioni infatti, consentivano di affermare l’esistenza di rapporti consortili tra i ricorrenti e i vertici del sodalizio aspromontano

Tuttavia, rispetto a questo nucleo probatorio essenziale, i giudici di legittimità prendono atto di un problema ermeneutico preliminare, costituito dall’idoneità dell’affiliazione rituale alla ‘ndrangheta, non accompagnata da ulteriori indicatori fattuali, a fondare la conferma del giudizio di gravità indiziaria espresso dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria.

Tale problematica, a sua volta, postula la risoluzione di una questione ermeneutica più generale, che affonda le sue radici nell’opzione di politica criminale sottesa alla formulazione dell’art. 416-bis c.p., relativa alla possibilità che l’affiliazione, svolta con modalità rituali, a un’associazione di tipo mafioso riconducibile al novero delle c.d. mafie storiche – come la ‘ndrangheta – costituisca un fatto, di per se stesso, idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione del soggetto affiliato alla consorteria.

La Corte inoltre rileva che lo scopo preminente dell’associazione di tipo mafioso, secondo la formulazione dell’art. 416-bis, c. 3, c.p., è quello di realizzare – attraverso la forza di intimidazione del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano – il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti. L’associazione punta infatti ad aumentare la sua sfera di influenza sulle attività produttive del territorio dove opera ed esercita i suoi poteri di supremazia delinquenziale, acquisendo in tale contesto posizioni economiche di oligopolio o addirittura di monopolio, che, in ultima analisi, costituiscono l’obiettivo dell’organizzazione mafiosa.

Tuttavia, questa caratterizzazione, marcatamente territoriale e strutturale, del sodalizio mafioso, inevitabilmente allontana la fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p. dal modello di legalità formale proprio della dogmatica tradizionale, introducendo un modello di tipicità atipica o incompiuta, rispetto al quale la partecipazione associativa è sanzionata in quanto tale, con strumenti normativi che, per un verso, recano con sé la necessità di un ancoramento rigoroso alle emergenze probatorie, per altro verso, comportano un’attenzione costante ai principi costituzionali.

D’altra parte, se si ritiene che la partecipazione associativa debba essere integrata da elementi ulteriori rispetto alla mera affiliazione, estranei alla previsione dell’art. 416-bis c.p., occorrerà allora comprendere attraverso quale percorso ermeneutico si debba o si possa giungere all’individuazione di tali indicatori consortili, tenendo presenti i limiti che il modello di tipicità formale vigente nel nostro sistema penale pone all’operatività di ogni forma di creazionismo giurisprudenziale.

Si rende necessario, per la Suprema Corte, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite atteso che, sulla questione in esame, si fronteggiano due orientamenti giurisprudenziali, rispetto ai quali sembra difficile trovare una soluzione compromissoria.

Secondo il primo (Cass. pen., sez. V, 06.03.19, n. 27672), l’affiliazione a un’associazione di tipo mafioso costituisce fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità, atteso che il reato di cui all’art. 416-bis c.p. si consuma nel momento in cui il soggetto aderisce a una siffatta consorteria, senza che sia necessario il compimento di specifici e ulteriori atti esecutivi della condotta illecita programmata.

Il secondo (Cass. pen., sez. V, 17.10.16, n. 4864)  invece non ritiene l’affiliazione a un’associazione di tipo mafioso, di per sé sola, sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato, richiedendo la prova del compimento di specifici e ulteriori atti esecutivi della condotta illecita programmata. È quindi necessario, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso.

Il contrasto tra la soluzione interpretativa, tendente a ritenere sufficiente la mera affiliazione a un’organizzazione criminale operante secondo il modello prefigurato dall’art. 416-bis c.p. e riconducibile al novero delle c.d mafie storiche e la contrapposta opzione ermeneutica che ritiene tale adesione rituale inidonea a fondare un giudizio di responsabilità dell’imputato se non accompagnata da elementi concreti e specifici, rivelatori del ruolo attivo svolto dall’imputato nel sodalizio, non incide soltanto sulla vicenda oggetto di vaglio cautelare, ma richiama l’esigenza di assicurare l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale su una questione interpretativa di notevole rilevanza.

In conclusione quindi la Corte ritiene indispensabile comprendere se l’affiliazione di un soggetto a un’organizzazione mafiosa costituisca ex se un fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti dell’associato, quanto meno con riferimento all’operatività delle c.d. mafie storiche, strutturate e radicate territorialmente – nelle quali il recesso è estremamente difficile, per non dire, nella pratica, impossibile, salvo i casi di collaborazione con la giustizia -, atteso che la disposizione dell’art. 416-bis, c.1, c.p., si limita a prevedere la punizione di chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, senza fornire alcuna indicazione specifica sulle modalità con cui tale partecipazione si deve concretizzare, la cui individuazione sembrerebbe estranea al modello di tipicità recepito dalla fattispecie in esame.

Sulla scorta di tali riflessioni la Corte di Cassazione ha rimesso, ex art. 618, c. 1, c.p.p., alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se la mera affiliazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso c.d. storica, nella specie ‘Ndrangheta, effettuata secondo il rituale previsto dall’associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato dalla norma previsto”.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

Lascia un commento