Rimessione alla Corte di Giustizia: finanziamento di scopo ed ospedali privati convenzionati
Una società a responsabilità limitata ha impugnato, innanzi al TAR Lazio, i provvedimenti amministrativi con cui delle strutture pubbliche hanno affidato direttamente la fornitura gratuita del radiofarmaco 18F-FDG, ad una struttura sanitaria di ispirazione religiosa (formalmente privata quantunque inserita nel sistema pubblico di programmazione sanitaria della Regione in conformità di una apposita convenzione) in virtù della sua qualità di ospedale classificato equiparato, senza il previo esperimento di una gara pubblica e ponendo il solo costo di trasporto del prodotto a carico delle amministrazioni destinatarie della fornitura.
L’impugnativa avanzata ricomprende anche atti connessi e presupposti ai provvedimenti adottati dalla Regione. In particolare la società ha impugnato un finanziamento di funzione (700.000 euro) erogato dalla P.A. all’ente religioso, sempre senza il previo esperimento di una gara pubblica, destinato a coprire “il costo dell’impegno di fornire gratuitamente a tutte le aziende sanitarie regionali interessate il radiofarmaco, dietro rimborso, da parte dei singoli ospedali aderenti, delle sole ulteriori spese di trasporto del prodotto”; di seguito veniva altresì impugnata la “convenzione tipo”, predisposta dalla Regione, costituente il rapporto di fornitura tra le singole strutture e l’ente religioso. Infine venivano avanzate una pluralità di censure aventi ad oggetto: violazione dell’art. 2 della Direttiva 2004/18/CE, degli artt. 49, 56, 105 ss. del Trattato UE, degli artt. 2 e 27 del D.lgs. n. 163/2006, dei principi di concorrenza, economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, nonché di tutti i principi generali in materia di evidenza pubblica.
L’interesse della ricorrente nasce dal suo essere un’azienda specializzata nella produzione di radiofarmaci, concessionaria esclusiva per l’Italia del radiofarmaco 18F-FDG, con regolare autorizzazione all’immissione in commercio (A.I.C.) rilasciata in favore di una sua società affiliata. Fornendo il prodotto in questione a numerose strutture sanitarie pubbliche della Regione, in esito a regolari gare pubbliche conformi alla normativa nazionale ed europea, la società affermava “di avere un preciso e attuale interesse all’annullamento del contestato affidamento diretto, nonché degli altri provvedimenti regionali e statali connessi, e al conseguente svolgimento di una selezione pubblica del fornitore del prodotto, secondo le regole imposte dalla Direttiva n. 18 del 2004 e della disciplina nazionale di cui al codice dei contratti pubblici n. 163/2006, all’epoca vigenti”. Secondo tale tesi, la concomitanza di tali atti comportava un affidamento diretto ed oneroso di una fornitura ad un soggetto privato, risultando evidente il nesso tra il finanziamento di scopo e la produzione del radiofarmaco. Inoltre, la stessa (presunta) natura gratuita della fornitura non permetterebbe di procedere tramite affidamento diretto, visti i vantaggi derivanti “in termini di immagine e pubblicitari conseguibili dal fornitore del radiofarmaco”.
Il TAR Lazio respinge il ricorso. La gratuità della fornitura sussiste in quanto non risulta un “nesso di diretta corrispettività” tra il finanziamento e l’assegnazione dei prodotti ai singoli presidi pubblici e, per quanto riguarda il rimborso dei costi di trasporto, “naturaliter, va accollato al soggetto beneficiato della fornitura gratuita.” Tantomeno è ravvisabile un illegittimo affidamento diretto della fornitura ad un operatore economico: il rapporto giuridico contestato dalla ricorrente ha ad oggetto una particolare modalità organizzativa del servizio sanitario pubblico (S.S.P). Gli ospedali “classificati o equiparati”, benché di natura formalmente privata (derivante dalla loro origine assistenziale religiosa), sono stabilmente inseriti nel S.S.P. in virtù di apposite convenzioni previste dalla legislazione nazionale “che, tradizionalmente, intende valorizzare la vocazione assistenziale di interesse generale svolta da qualificate istituzioni ospedaliere private, anche di ispirazione religiosa”. La collocazione dell’ente religioso, all’interno del sistema sanitario regionale, pone tale struttura “al di fuori del sistema concorrenziale tra aziende private accreditate nonché dalle regole e dagli interessi che lo connotano, assegnandole un ruolo di autoproduzione e fornitura non onerosa, del tutto interno al sistema sanitario pubblico e in un rapporto di sostanziale equiordinazione esclusivamente con le altre strutture aventi analoga natura”.
La società ricorrente propone appello innanzi al Consiglio di Stato, prospettando censure già avanzate in primo grado sia di rilevanza nazionale che europea. Il Collegio respinge le questioni attinenti alla normativa nazionale, in conformità con quanto già statuito dal TAR Lazio; non risulta condivisibile neppure l’inquadramento del finanziamento come illegittimo aiuto di stato in violazione dell’art. 12 della L. n. 241/1990, in quanto la relativa disciplina deve essere ricavata da fonti diverse (evocate dalle P.A. appellate: art. 8-sexies D.lgs n. 502/1992, D.G.R. n. 4855/1998 e n. 4081/2000). L’illegittimità della produzione e distribuzione del radiofarmaco non trovano conforto nemmeno nell’assenza dell’A.I.C.: quest’ultima “non è necessariamente richiesta anche per effettuare la fornitura gratuita in questione esclusivamente per la finalità di autoproduzione del sistema pubblico” (D.lgs n.219/2006 attuativo delle Direttive 2001/83/CE e 2003/94/CE). Altresì legittima appare la sua produzione, secondo il D.M. 19 novembre 2003, il D.lgs n.219/2006 di concerto con “fonti specifiche evocabili per la preparazione del radiofarmaco (L. n. 1860/1962, D.lgs. n. 230/1995 e D.lgs. n. 52/2007)”, poiché approvata dal Ministero della Salute nonché destinata in concreto “a soddisfare, in assenza di condizioni di lucratività, le esigenze di autoproduzione della rete pubblica”.
Dal punto di vista della normativa europea, il Consiglio non condivide l’assunto del TAR riguardante la gratuità dell’affidamento. Quest’ultima “non potrebbe collegarsi alla mera circostanza che, prima della concessione del finanziamento di funzione, preesistesse un rapporto convenzionale con un diverso e più circostanziato oggetto” ed inoltre, la posizione differenziata attribuita agli ospedali classificati è legata “alla sola tipica attività assistenziale e terapeutica che contrassegna l’essenza dell’attività ospedaliera, senza comprendere la produzione di farmaci destinati ad altri presidi pubblici”.
A parer del Collegio, l’argomentazione fornita dal TAR potrebbe dar luogo a “dubbi attinenti alla corretta interpretazione delle direttive europee” in relazione alla nozione di onerosità cui all’art.1 paragrafo 2, lett.a) della Direttiva 2004/18/CE, secondo la quale “Gli «appalti pubblici» sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva”. Ai fini dell’assoggettamento alla disciplina europea in materia di appalti pubblici, risulta preliminare stabilire “se il rapporto scaturito dalla combinazione dei diversi atti impugnati possa qualificarsi come oneroso”. Sul piano interpretativo si stagliano, un’interpretazione letterale secondo cui l’onerosità investe il contenuto intrinseco del contratto (nel caso di specie, l’affidamento sarebbe gratuito), cui se ne contrappone una sistematica, la quale riconosce il carattere dell’onerosità anche nel caso in cui “l’esecutore della fornitura riceva un significativo vantaggio economico da parte di un’altra amministrazione pubblica, allorché sia ragionevole ritenere, che detto finanziamento sia finalizzato proprio alla realizzazione del servizio o della fornitura in favore di altre amministrazioni pubbliche”.
Nell’aderire a quest’ultima concezione sostanziale di onerosità, il rapporto giuridico contestato pone in essere un appalto oneroso di fornitura. Tuttavia, poiché questa lettura potrebbe risultare “in contrasto con la formulazione letterale, il Collegio ritiene indispensabile proporre una questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea”.
L’inapplicabilità delle regole nazionali ed europee deriverebbe, secondo il TAR, dalla qualificazione dell’affidamento come accordo tra P.A. ex art. 15 L. 241/90, dunque escluso dall’applicazione del codice n.163/2006 e della normativa europea (parere Sez. II CDS, Adunanza di Sezione n. 1178/2015). Al riguardo bisogna osservare che il vigente codice dei contratti pubblici (D.lgs n.50/2016) risulta applicabile al caso di specie, “essendo ricognitivo di un quadro normativo e giurisprudenziale già pienamente consolidato”; all’art.5 comma 6 stabilisce che: “Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.”
Secondo il diritto europeo, non è possibile per due o più P.A. stipulare un contratto volto ad instaurare un rapporto di cooperazione senza aver indetto primariamente una gara di appalto, salvo il caso in cui ricorrano alcuni requisiti. La Corte di Giustizia, con le cause C-564/11, C-386/11 e C-352/12, ha confermato il proprio orientamento secondo cui i contratti onerosi tra P.A., laddove una di queste sia autorizzata ad operare sul mercato, “costituiscono contratti di appalto, anche qualora l’amministrazione che si trova ad operare quale contraente privato non persegua un preminente scopo di lucro, non abbia una struttura imprenditoriale e non assicuri una continua presenza sul mercato”. L’onerosità non può esser messa in dubbio nemmeno nel caso in cui sia riscontrabile solamente in relazione ad un mero rimborso spese per i costi di fornitura. Gli unici casi in cui l’applicabilità delle norme in materia di appalti può essere esclusa riguardano, l’ipotesi in cui la P.A. “stipuli il contratto con un altro ente pubblico distinto sul quale eserciti però un “controllo analogo” a quello che essa esercita sui propri servizi” (in applicazione dei principi della sentenza della Corte, causa C-107/98, Teckal) ed il caso in cui contratto sia finalizzato “ad istituire una cooperazione finalizzata al solo adempimento di una funzione di servizio pubblico comune alle due amministrazioni”.
Lo stabilire il ricorrere o meno di quest’ultima ipotesi è compito dell’interprete ed a tal riguardo la Corte ha fornito dei criteri guida. Il contratto di collaborazione deve essere stipulato esclusivamente tra enti pubblici e la cooperazione deve fondarsi su ragioni inerenti al perseguimento di interessi pubblici. Tali criteri si pongono come cumulativi, costituendo così un’eccezione alla regola della Direttiva 2004/18/CE per il caso di contratto d’appalto stipulato da una P.A. ex art. 1 della medesima. Nella causa C-386/11, infatti, la Suprema Corte li ha applicati restrittivamente “poiché il contratto permetteva di ricorrere ad un soggetto privato per l’espletamento della missione, così ponendo tale terzo in condizione privilegiata rispetto alle altre imprese operanti in tale settore”. Infine non vale ad escludere l’applicazione delle norme in tema di appalti, nemmeno la ricorrenza di circostanze straordinarie in sede di stipulazione (causa C-352/12); in tal caso vale invece la deroga dell’art. 31, punto 1, lett. c) della direttiva succitata che, oltretutto, opera solo allorquando l’evento straordinario renda materialmente impossibile utilizzare le procedure di gara.
Secondo il Consiglio di Stato nel presente giudizio sono riscontrabili tutte le condizioni poste dall’art. 5 co.6 D.lgs 50/2016, tuttavia bisogna verificarne l’applicazione riguardo al caso di specie, ossia in relazione ad un accordo tra soggetti qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici ed un “ospedale Classificato o equiparato, di cui è controversa la natura giuridica, tanto secondo il diritto nazionale, quanto secondo il diritto dell’Unione Europea”. La tesi sostenuta dal TAR afferma la piena equiparazione dell’ente ad un’amministrazione pubblica aggiudicatrice in quanto, la normativa nazionale adotta un’ampia nozione di “ospedale pubblico”; in tal guisa vengono comprese strutture formalmente private individuate secondo rigorose procedure di classificazione, “volte a valorizzare il ruolo assunto, anche storicamente, da enti assistenziali, prevalentemente di ispirazione religiosa, eretti o finanziati da privati, i quali hanno svolto – e svolgono tuttora – una funzione essenziale nell’attività sanitaria, assumendo un ruolo oggettivamente pubblico e di interesse generale”. La loro natura sostanzialmente pubblica non risulterebbe svilita nemmeno dalla circostanza che, in materia di lavoro con riguardo all’istituto della mobilità del personale delle P.A., la Corte di Cassazione ha ritenuto di non qualificarli come amministrazioni pubbliche (Cass. Civ. Sez. Lav. S. n.14672/2009).
In particolare secondo l’Alto Collegio l’equiparazione di detti enti a quelli del S.S.N. rileva ai soli fini “della valutazione del servizio e dei titoli del relativo personale per i concorsi per le assunzioni ed i trasferimenti, questi ultimi all’interno, però, di ciascun ordinamento”; perdipiù secondo la “prassi operativa” gli ospedali classificati non risultano tenuti all’applicazione del diritto europeo allorquando assumano la veste di committenti nella stipula di contratti di lavori, servizi e forniture. La soluzione interpretative prospettata, nondimeno potrebbe porsi in contrasto con la disciplina sovranazionale poiché, definendo questa la figura dell’amministrazione aggiudicatrice (e le altre figure soggettive sottoposte alla disciplina in materia di contratti pubblici) secondo parametri rigorosi, risulta difficile il loro adattamento tramite interpretazioni analogiche od estensive, rendendosi dunque necessario un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Pur individuando in modo puntuale i requisiti secondo cui un soggetto privato possa essere sottoposto alla normativa, il diritto europeo non considera la particolare ipotesi di “organismi funzionalmente inseriti all’interno di complessi rapporti organizzativi attraverso cui è erogato il servizio pubblico sanitario”. Dal punto di vista del diritto nazionale, i rapporti tra gli ospedali classificati ed altri soggetti del S.S.N. sono qualificati come relazioni a carattere pubblicistico, impedendo così l’applicazione delle regole in materia di affidamento di contratti pubblici. Gli ospedali classificati sono individuati dall’art. 1 co.5 L.162/1968 come “istituti ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l’assistenza ospedaliera”; l’art. 20 della medesima prevede che detti soggetti possano essere classificati, ove in possesso dei requisiti prescritti dalla legge, come ospedali di zona, provinciali o regionali, ai fini dell’applicazione del titolo IV della L. 162/1968, intitolato “Programmazione Ospedaliera”. Questo regime è stato confermato dall’art. 41 della L. 833/1978 la quale sottrae gli ospedali classificati all’ordinario regime di accreditamento previsto per gli enti privati che concorrono all’erogazione del S.S., inserendoli direttamente nella programmazione pubblica in virtù di apposite convenzioni. Queste ultime prevedono che l’onere economico sia posto a carico del settore pubblico per l’erogazione del servizio di assistenza sanitaria ed ospedaliera, configurando così modalità di remunerazione del costo sostenuto dall’ente.
Da ultimo tale disciplina è stata confermata sia dal D.l. n.502/1992 che da un orientamento espresso dal CDS nella sent.735/2013, secondo cui “gli ospedali convenzionati classificati partecipano all’erogazione diretta dei servizi del servizio sanitario”. Sulla scia degli orientamenti sopraelencati il Collegio afferma che “l’Ospedale appellato partecipa all’erogazione delle prestazioni offerte direttamente dal servizio sanitario in posizione di vantaggio, non essendo soggetto al regime dell’accreditamento.” In base a questo assunto, le parti appellate sostengono la legittimazione dell’ospedale a partecipare ad attività strumentali a quelle convenzionate (come quella in trattazione) e che, l’esaurimento di queste “nell’ambito interno al servizio sanitario regionale escluderebbe che il suo affidamento abbia comportato un vantaggio concorrenziale”, considerando che non vi è alcuna offerta di prestazione sul mercato (ed anzi come quest’ultimo manchi totalmente, trattandosi di autoproduzione).
In conclusione, considerando che la disciplina sovranazionale conosce un unico metodo tramite cui una P.A. può legittimamente affidare a soggetti formalmente privati, estranei ad essa, determinate prestazioni (cd: in house providing), risultando altresì estranea alla medesima la particolare fattispecie in esame ed infine, incidendo la tesi interpretativa proposta sulla portata delle direttive del 2004, il Consiglio di Stato respinge in parte l’appello e dispone la sospensione del giudizio, rimettendo alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti:
1) se la disciplina europea in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e, segnatamente, gli articoli 1 e 2 della Direttiva 2004/18/CE, comprenda nel proprio ambito applicativo anche le operazioni complesse mediante le quali un’amministrazione pubblica aggiudicatrice intenda attribuire direttamente ad un determinato operatore economico un finanziamento di scopo, interamente finalizzato alla realizzazione di prodotti destinati ad essere forniti gratuitamente, senza ulteriore procedura di gara, a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di un qualsiasi corrispettivo al predetto soggetto fornitore; se, di conseguenza, la citata normativa europea osti ad una disciplina nazionale che consenta l’affidamento diretto di un finanziamento di scopo finalizzato alla realizzazione di prodotti destinati ad essere forniti, senza ulteriore procedura di gara, a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di un qualsiasi corrispettivo al predetto soggetto fornitore;
2) se la disciplina europea in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e, segnatamente, gli articoli 1 e 2 della Direttiva 2004/18/CE, e gli artt. 49, 56, 105 ss. del Trattato UE, ostino ad una normativa nazionale che, equiparando gli ospedali privati “classificati” a quelli pubblici, attraverso il loro inserimento nel sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale, regolata da speciali convenzioni, distinte dagli ordinari rapporti di accreditamento con gli altri soggetti privati partecipanti al sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie, in assenza dei requisiti per il riconoscimento dell’organismo di diritto pubblico e dei presupposti dell’affidamento diretto, secondo il modello dell’in house providing, li sottrae alla disciplina nazionale ed europea dei contratti pubblici, anche nei casi in cui tali soggetti siano incaricati di realizzare e fornire gratuitamente alle strutture sanitarie pubbliche specifici prodotti necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, ricevendo contestualmente un finanziamento pubblico funzionale alla realizzazione di tali forniture.
Consiglio di Stato, Sez. III sent. n. 4631/2017
Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato “Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana” , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice.
Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all’età di 26 anni ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli.
Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi
di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”.
Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est.
Da ultimo ha coordinato l’agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con “Napoli con Ruotolo”, per il candidato Sandro Ruotolo.
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