Risarcibilità del danno non patrimoniale da morte o lesione dell’animale d’affezione
A cura del Dott.re Alberto Benvenuti
Statuto giuridico dell’animale d’affezione
La questione concernente la possibilità in capo all’attore di vedersi risarcito il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. conseguente la lesione del legame affettivo che questi vantava rispetto al proprio animale d’affezione è questione per lo più etica, la quale però, una volta rapportatasi al tessuto legislativo non può in nessun caso, a parere di scrive, esser legittimata e/o negata basandola su prese di posizione preconcette.[1]
Innegabile risulta l’asserzione secondo la quale l’ordinamento italiano non riconosce all’animale, sia questo animale da compagnia o animale tenuto a scopo essenzialmente di lucro, la natura di soggetto di diritto.[2]
Tale ultima affermazione porta necessariamente l’operatore di diritto a ricomprendere tali entità nella categoria delleresinanimate e conseguentemente a ritenere riferibile a questi l’art 810 c.c. Da ciò, a cascata, discende che l’animale, ad esempio, può pacificamente essere oggetto di compravendita; al compratore, inoltre, il codice civile all’art. 1496 c.c. riserva una particolare tutela concernente i vizi dell’animale acquistato; l’articolo in questione, rubricato “ vendita di animali”, sancisce infatti che « Nella vendita di animali la garanzia per vizi è regolata dalle leggi speciali o, in mancanza, dagli usi locali. Se neppure questi dispongono, si osservano le norme che precedono » [3]
Nonostante ciò, risulta altrettanto inconfutabile, specialmente se rapportata al giorno d’oggi, la teoria coniata in campo etologico secondo la quale gli animali sono esseri senzienti, i quali, in quanto dotati di raziocinio e della conseguente capacità di distinguere tra dolore e piacere, tendono necessariamente a distinguersi agli occhi umani dalle cose inanimate.[4]
Indubbiamente, dunque, all’interno del panorama sociale la considerazione che l’uomo ha dell’animale è mutata con il tempo; infatti l’essere umano tende sempre più a considerare l’animale domestico quale parte integrante dalla famiglia e non quale mero oggetto dal quale poter ricavare un vantaggio puramente economico.
Ciò detto, bisogna però render conto del fatto che, dinanzi all’evoluzione ontologica che la figura dell’animale ha progressivamente acquisito all’interno della societas hominis, il diritto comunitario non è rimasto inerte, così come a tale sensibile tematica non son rimasti indifferenti i rispettivi legislatori nazionali. A sostegno di tale ultima affermazione si pone più di un indice di carattere positivo.
Così, all’interno della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, firmata a Parigi nel 1987 presso l’Unesco, si legge all’art. 1 che « Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza» riconoscendo a questi, seppur implicitamente, uno statuto che necessariamente si differenzia da quello delle res,e all’art 6 che « ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità.» Ancora, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia conclusa a Strasburgo nel 1987 e ratificata dal parlamento italiano con legge 4 Novembre 2010 n. 210, si legge al primo comma dell’art 3 che « Nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia.» Ed ancora, il TFUE all’art 13 riconosce esplicitamente all’animale la qualifica di “essere senziente” delle cui esigenze l’Unione e gli Stati membri devono necessariamente tener conto.
Per quanto concerne l’ambito prettamente nazionale, trascurando la legislazione speciale, due sono gli interventi del legislatore italiano meritevoli di menzione. Il primo concerne la legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo (l. 14 Agosto 1991, n. 281), all’interno della quale all’art 1 si legge che « Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente» [5]
Il secondo è rappresentato dalla legge 20 Luglio 2004 n. 189, attraverso la quale il legislatore mediante l’introduzione nel codice penale del titolo IX bis, titolato « Dei delitti contro il sentimento per gli animali » ha predisposto quattro fattispecie penali volte a reprime l’uccisione e il maltrattamento d’animali, nonché l’impiego di quest’ ultimi in combattimenti o manifestazioni non autorizzate.
Svolte tale premesse, diviene ben possibile affermare che è essenzialmente anacronistica quella corrente di pensiero che identifica lo statuto esistenziale dell’animale con quello della resimmateriale; nonostante ciò, in mancanza di un intervento mirato da parte del legislatore italiano, nello ius quo utimur,l’animale deve necessariamente essere ricompreso nella categoria delle res; ciò comporta la necessaria negazione in capo a questo della qualifica di soggetto di diritto e la conseguente applicazione all’animale della disciplina disposta dal legislatore per i beni.[6]
Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte o lesione dell’animale d’affezione
Sebbene l’animale, come abbiamo avuto modo di vedere, sia sempre stato identificato da un punto di vista giuridico quale res inanimata, la giurisprudenza, almeno fino all’arresto disposto dalle Sezioni Unite del 2008 con le note sentenze di San Martino [7], nella maggior parte dei casi ha ritenuto risarcibile in capo al padrone il danno non patrimoniale derivante dalla morte dell’animale d’affezione.[8]
Per quanto concerne la risarcibilitàdel danno patrimoniale da morte o ferimento dell’animale d’affezione, non si pongono problemi di sorta; così, nell’ipotesi in cui venga ucciso l’animale da compagnia, alla parte lesa, sotto la voce del danno emergente, sarà accordato il risarcimento del danno rappresentato dal costo dell’animale ucciso, cumulato a quello delle possibili spese veterinarie sostenute dall’attore e a quello concernente il prezzo impiegato ai fini dell’ipotetico smaltimento del corpo; mentre sotto la voce del lucro cessante, una volta debitamente assolto l’onere della prova, il soggetto leso potrà vedersi risarcire il danno identificabile nel mancato guadagno che la morte dell’animale gli ha causato; si pensi a titolo d’esempio al mancato ricavo derivante dalla morte del cavallo da corsa impiegato regolarmente dall’attore in gare d’equitazione.[9]
Più spinosa appare invece la questione concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla morte dell’animale.
Merita a tal punto della trattazione ripercorrere, seppur per sommi capi, l’evoluzione giurisprudenziale che il danno non patrimoniale in questione ha subito nel corso del tempo. Tra le prime pronunce riguardanti il tema de quo, merita attenzione la sentenza n. 824 pubblicata in data 17 Ottobre 1968 dalla Corte di Cassazione in ambito penale, la quale, a fronte dell’uccisione da parte di un cane di alcuni animali da cortile, accordò alla parte lesa la risarcibilità del danno non patrimoniale essendo quest’ultimo identificabile in un «danno morale risarcibile» [10]
A distanza di qualche anno, la Pretura di Rovereto, in data 15 Giugno 1994, ritenne risarcibile il danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione stante il danno morale che la morte dell’animale da compagnia, procurata da atto illecito altrui, causa nei confronti di chi lo accudisce o ne detiene le cure.[11]
Nel 2002 il Tribunale di Roma, dinanzi ad una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale promossa dalla proprietaria di un cane di razza Yorkshire sbranato da altri due cani, negò la sussistenza di un danno morale risarcibile stante la mancanza di prove fornite dall’attrice, affermando però che tale voce di danno, se effettivamente provata, trova all’interno del nostro ordinamento legittimità giuridica.[12]
Nel 2007, dinanzi alla richiesta di risarcimento del danno esistenziale avanzata da una coppia di coniugi, i quali fondavano la propria pretesa sull’avvenuta morte di un cavallo consequenziale al tamponamento dell’apposito furgone di trasporto-animali, la sezione III della Corte di Cassazione negò la sussistenza del danno non patrimoniale vista l’impossibilità di ricondurre la lesione del rapporto affettivo in questione nel novero delle lesioni di interessi costituzionalmente protetti. [13]
L’inversione di tendenza, sulla scia della pronuncia del 2007, si ebbe nel 2008 con le note sentenze di San Martino.[14]
Come è noto, con le citate sentenze le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermarono che ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., l’interesse leso, costituente la pretesa del risarcimento del danno non patrimoniale, dovesse essere riconducibile al genusdegli interessi costituzionalmente rilevanti; oltre a tale requisito, la S.C. sancì che al giudice dovesse essere precluso accordare qualsiasi ristoro di natura non patrimoniale se la lesione dal quale questo scaturiva non fosse risultata grave (con ciò richiedendo, ai fini della concessione della pecunia doloris, il superamento della normale soglia di tollerabilità ritenuta vigente secondo i canoni dell’attuale solidarietà sociale), nonché l’impossibilità di risarcire il danno non patrimoniale se questo fosse stato ritenuto dal giudice di merito, futile.[15]Oltre all’ipotesi appena citata, secondo l’impostazione dettata dalle sentenze novembrine del 2008, il danno non patrimoniale continua ad essere ritenuto risarcibile nel caso in cui la tutela aquiliana sia espressamente prevista dal legislatore mediante apposita legge e nel caso in cui il fatto illecito concernente il danno costituisca reato, stante il disposto combinato dell’art 185 c.p. con l’art. 2059 c.c.
Orbene, con riferimento al risarcimento del danno esistenziale da morte dell’animale d’affezione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intenzionate a porre fine a quella condotta tenuta in prevalenza dai giudici di pace e volta ad accordare ristori patrimoniali alle parti attrici che lamentavano di aver subito danni c.d. bagatellari, premesso che il danno esistenziale allegato in giudizio da colui che viene privato dell’animale da compagnia può essere paragonato al danno non patrimoniale patito dalla sposa alla quale si rompe il tacco della scarpa durante la celebrazione del matrimonio o al danno non patrimoniale procurato dall’attesa che il turista, al quale viene rimandato il volo in aeroporto, è costretto a subire, ne sancì la non risarcibilità costituendo questo «pregiudizio di dubbia serietà» ed essendo il rapporto uomo-animale rapporto privo di una specifica copertura costituzionale.[16]
Dunque, che l’animale ai sensi dell’ordinamento Italiano sia effettivamente ricompreso nella categoria delle resimmateriali, come abbiamo avuto modo di vedere, è un dato di fatto; innegabilmente però, il paragone effettuato dalle S.U. tra il rapporto che vanta l’uomo rispetto al proprio animale da compagnia e il rapporto che ipoteticamente può venire a costituirsi tra la sposa e un paio di scarpe con il tacco, desta nel lettore una certa perplessità. Nonostante ciò, quantunque da un punto di vista ideologico anche a chi scrive tale equiparazione appare anacronistica, per non dire “primitiva”, da un punto di vista prettamente legale la statuizione delle sentenze di San Martino concernente la non risarcibilitàdel danno non patrimoniale da morte o lesione dell’animale d’affezione non può esser soggetta a critiche di tipo sostanziale.
Sulla scia del dictum delle sentenze gemelle del 2008, la giurisprudenza di merito intraprese inizialmente un cammino volto alla negazione della risarcibilità del danno esistenziale in questione. Così, la sezione V del Tribunale di Milano, in data 20 Luglio 2010, con sentenza n. 9453 negò la risarcibilità del danno non patrimoniale sofferto dalla ricorrente, la quale, previa consulenza medico-veterinaria, aveva sottoposto il proprio gatto ad un intervento chirurgico presso uno studio veterinario appartenente ad un amico del consulente prima facie interpellato, studio veterinario presso il quale fu eseguito l’intervento di mastectomia parziale che causò la morte dell’animale.[17]Ai fini del rigetto della domanda attorea concernente il risarcimento del danno non patrimoniale, il Tribunale di Milano si limitò a riproporre le statuizioni concernenti la quesito disputanda presenti in Cass. Sez. Un. 11 Novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975.
Ad un anno di distanza dalla precedente pronuncia, presso il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, Tizio conveniva in giudizio Caia al fine di vedersi risarcito il danno non patrimoniale derivatogli dalla morte del cane volpino, il quale mesi prima era stato attaccato da due cani di proprietà della convenuta. Il giudice, sulla base del principio della ragione più liquida, rigettava la domanda attorea stante la mancanza di uno degli elementi costituivi legittimanti la pretesa dell’attore e, seppur in via di obiter dictum,affermava l’impossibilità di risarcire il danno non patrimoniale da morte dell’animale di compagnia adducendo le medesime motivazioni presenti nelle sentenze novembrine.[18]
Infine, alla richiesta del risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dal proprietario di un cane morto a seguito dell’amputazione della gamba posteriore presso uno studio veterinario, il Tribunale di Roma in data 19 Aprile 2010 dette risposta negativa, sancendo che « il rapporto che si instaura con un animale domestico è privo di una copertura costituzionale» e conseguentemente in-risarcibile.[19]
Nonostante il proliferare di sentenze concernenti statuizioni di tal tipo, presso la giurisprudenza di merito non mancò chi dalle sentenze gemelle di San Martino prese le distanze.
Nel 2009, la sezione III della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4493 pubblicata in data 25 Febbraio, al fine di ritagliare all’interno del panorama legislativo italiano uno spiraglio volto a concedere alla parte lesa la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione, sancì che nei giudizi di competenza del giudice di pace ex art. 113 co. 2 c.p.c., stante la possibilità per quest’ultimo di giudicare applicando l’equità c.d. formativa o sostitutiva, al giudice onorario non sarebbe stata preclusa la possibilità di accordare il risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, aggirando così, si perdoni la ripetizione, la riserva di legge disposta dal legislatore all’art 2059 c.c. Inoltre, affermava la Suprema Corte, che al fine del ristoro del danno non patrimoniale nei suddetti processi, nessuna rilevanza doveva essere accordata al carattere costituzionalmente protetto dell’interesso leso, potendo il giudice di pace reintegrare il danno non patrimoniale anche nel caso in cui l’offesa non avesse danneggiato un diritto protetto dalla Carta Costituzionale.[20]
Agli occhi di scrive, dinanzi una statuizione siffatta, persino il più convinto dei causidici apparirebbe disorientato.[21]
In primis, accordando la tutela risarcitoria ai soli soggetti le cui cause instaurate non eccedono il valore di millecento euro, si palesa in modo evidente una netta discriminazione tra chi decide di ricorrere al giudice di pace e tra chi, di contro, decide di ricorrere al Tribunale perché ritiene il proprio danno eccedente il valore richiesto dall’art 103 co. 2 c.p.c. Inoltre, le stesse sentenze di San Martino nel fornire l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art 2059 c.c. sancirono che « I limiti fissati dall’art 2059 c.c., non possono essere ignorati dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore ad euro millecento, in cui decide secondo equità.» [22]
Merita comunque segnalare che le statuizioni presenti in tale decisone non hanno trovato nessun seguito nella giurisprudenza italiana.
Appurata la non percorribilità della strada tracciata da Cass. 25 Febbraio 2009, n. 4493 si capisce che, in Italia, al fine di legittimare la risarcibilitàdel danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione è necessario, stante la visione costituzionalmente orientata che dell’art. 2059 c.c. hanno dato le sentenze di San Martino, ricondurre il rapporto d’affezione che intercorre tra uomo e animale nel novero dei diritti costituzionalmente garantiti.
Le vie intraprese dalla giurisprudenza di merito al fine di raggiungere tale obiettivo sono essenzialmente due: la ri-comprensione del rapporto uomo-animale all’interno della categoria di quelle situazioni giuridiche costituzionalmente protette per il tramite della clausola aperta dell’art 2 Cost., il quale, come è noto, tutela quei diritti inviolabili dell’uomo che gli permettono di realizzarsi e svilupparsi come persona e la riconduzione del risarcimento del danno non patrimoniale alla lesione del diritto di proprietà, il quale, nell’ottica di tali decisioni si pone quale diritto costituzionalmente garantito dalla Carta Costituzionale per il tramite dell’art. 42 Cost.[23]
Appare utile, ai fini della trattazione che stiamo affrontando, l’analisi delle statuizioni poste alla base della concessione del risarcimento del danno non patrimoniale de quo svolte dal Tribunale di Vicenza con sentenza n. 24 pubblicata in data 3 Gennaio 2017.[24]
La fattispecie sottoposta al vaglio del giudice di merito può così essere riassunta: i proprietari di un cane sottopongono l’animale a intervento chirurgico presso una certa clinica veterinaria a seguito di una lesione riportata dall’animale al crociato della zampa sinistra. Il cane, svolta l’operazione, viene trattenuto presso la clinica veterinaria al fine di potergli garantire le necessarie cure post-operatorie. Il giorno seguente, il direttore sanitario della clinica veterinaria informa i padroni dell’animale dell’avvenuta fuga dalla struttura sanitaria di quest’ultimo. Il cane non viene più ritrovato. I padroni chiedono, ai fini che qua rileva, che gli sia risarcito il patimento del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione.
Orbene, il giudice di merito, premettendo che la presenza nel nostro ordinamento di leggi quali la legge 14 Agosto del 1991 n. 28 o le legge n. 189 del 2004, consente all’interprete di ritenere mutata la visione che dell’animale ha il legislatore (non più mera resinanimata, ma essere vivente che in determinati casi assurge a membro integrante del quadro familiare), sancisce che nessun dubbio di sorta si pone circa la ri-comprensione del rapporto uomo-animale all’intero delle attività realizzatrici della persona tutelate all’art. 2 Cost. Tale passaggio il giudice lo legittima sulla base delle stesse statuizioni presenti all’interno delle sentenze di San Martino. Infatti, proprio nelle sentenze novembrine è possibile leggere che « La tutela(non patrimoniale, aggiungiamo noi) non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.»
Svolte tali considerazioni, prosegue il giudice asserendo che, oltre alla tesi sovra-citata, la risarcibilità del danno esistenziale da morte dell’animale d’affezione può essere concessa, come più volte è avvenuto in Italia, sulla base della lesione del rapporto di proprietà che il padrone vanta nei confronti dell’animale, il quale viene tutelato dalla Costituzione all’art 42, nonché dall’art 7 CEDU letto in combinato disposto con l’art 6 del Trattato istituivo dell’Unione Europea, comportando la perdita, in questo caso del cane, oltre che un danno meramente patrimoniale, anche un danno di natura non patrimoniale. [25]
Dunque, ambedue le tesi non convincono.
Prendendo le mosse dalla prima delle due argomentazioni giuridiche ora esaminate, si può affermare che,in primis,appare azzardato l’accostamento del bene giuridico tutelato dalla legge n. 189 del 2004 alla pecunia doloris richiesta dal soggetto il cui animale d’affezione sia stato ucciso. Il primo, rappresentato dal sentimento umano provato dall’uomo per gli animali d’affezione è infatti un bene prettamente sovra-individuale, a differenza del secondo il quale altro non rappresenta che un mero diritto soggettivo di natura individuale.[26]A ciò deve essere aggiunto che l’attitudine autopoietica che vantano i diritti inviolabili non dovrebbe, in linea di principio, attingere alla mera sensibilità sociale che la popolazione vanta circa un dato tema in un determinato periodo storico, dovendo questa invece trarre linfa vitale dai volari portanti della Carta Costituzionale quali la dignità umana, il principio di uguaglianza e il libero sviluppo della personalità.[27]
Ciò premesso, resta da dimostrare se il rapporto che un certo soggetto vanta verso un proprio familiare, quale può essere il fratello, può essere paragonato a quello vantato dal medesimo soggetto verso il proprio animale d’affezione. Ebbene, nonostante da un punto di vista etico sia possibile affermare che, a volte, il rapporto affettivo intercorrente tra uomo e animale può addirittura essere ritenuto più “forte” di quello intercorrente tra familiari, da un punto di vista giuridico tale concezione trova necessariamente la propria strada sbarrata. Riconoscere all’animale da compagnia la qualità di “membro familiare” comporta necessariamente l’attribuzione a questo di diritti e prerogative che, in concreto, l’animale non ha ed al giorno d’oggi, non può avere.[28]Inoltre, se il discorso viene affrontato da un punto di vista prettamente esistenzialistico, l’ammissione del patrocinio aquiliano nelle cause concernenti il risarcimento del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione spalancherebbe le porte alla risarcibilità, ad esempio, del danno non patrimoniale sofferto dal soggetto il cui amico d’infanzia sia venuto a mancare.
Difatti, se è nel patema d’animo sofferto dal padrone privato dell’animale che si rinviene la legittimazione in capo a quest’ultimo del risarcimento del danno non patrimoniale, medesima situazione, incontestabilmente, si rinviene nell’esempio dinanzi esposto.
Non varrebbe addurre, al fine di screditare quanto poc’anzi detto, la constatazione che a differenza dell’amico, l’animale instaura con l’uomo un rapporto più “familiare”, stante il fatto che ben la convivenza dell’animale con l’uomo può essere rinvenuta nel rapporto che vantano due coinquilini tra i quali sia venuta ad instaurarsi una grande amicizia, ed ancora, chi sostiene la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione è ben incline a riconoscere tale forma di ristoro prescindendo dal dato dell’effettiva convivenza dell’animale con l’uomo, essendo il rapporto leso un rapporto di tipo puramente affettivo ai fini del quale l’effettiva vicinanza fisica non incide in alcun modo[29]; e se anche a tali osservazioni si dovesse replicare asserendo che l’animale, stante il rapporto di dipendenza che lo lega all’uomo, tende necessariamente a differenziarsi dalla figura dell’amico, allora necessariamente si ricadrebbe nell’identificazione del rapporto d’affezione con il rapporto di proprietà.[30]
Appare invece fin troppo rigorista quella corrente di pensiero secondo la quale la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione legittimerebbe nell’ordinamento italiano l’accordo della tutela aquilana anche nel caso in cui venisse a mancare, perché ad esempio distrutto a causa di fatto illecito altrui, un oggetto verso il quale la parte lesa vantava un rapporto unico e irripetibile, come, si porta a titolo di esempio, la penna avuta quale regalo per la laurea.[31]Il rapporto che l’uomo può provare verso un altro essere vivente seppur appartenente a una diversa specie, quale può essere un cane, è un rapporto oggettivamente differente da quello che l’uomo può vantare nei confronti di unaresinanimata e, se rispetto al primo possono sorgere dubbi, in nessun caso quest’ultimo potrebbe essere ricompreso nel novero degli interessi tutelati dall’art 2 Cost.
Dunque, a parere di chi scrive, deve essere tacciata di erroneità quella ricostruzione seguita da una parte della giurisprudenza, ad oggi nemmeno più minoritaria nonostante il dictum delle Sezioni Unite del 2008[32], che rinviene il risarcimento del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione nella lesione di un interesse costituzionalmente garantito dalla Costituzione all’art 2 Cost.
Passiamo adesso alla disamina concernente la seconda delle ricostruzioni che in giurisprudenza sono state avanzate al fine di legittimare la reintegrazione per la parte lesa del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione: la lesione del diritto di proprietà ex art. 42 Cost.
Orbene, stante l’annosa questione circa la ri-comprensione del diritto di proprietà all’interno della categoria dei diritti inviolabili della persona, mi sembra possibile in tal sede limitarsi ad affermare che all’interno della Carta Costituzionale il diritto di proprietà fu intenzionalmente disciplinato nel titolo relativo ai “rapporti economici”, dunque né tra i “principi fondamentali” né tra i diritti di libertà. Tralasciando comunque tali osservazioni di carattere puramente formale, basti ricordare che all’interno del nostro ordinamento, la Costituzione all’art. 42 co. 2 affida al legislatore il potere di determinare il contenuto del diritto di proprietà allo scopo di « assicurar(ne)la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti », con ciò sancendone la non inviolabilità.[33]
Orbene, che piaccia o meno, per quanto concerne l’ambito risarcitorio del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione, il dictum valevole ai fini della concessione della tutela aquilana è quello fornitoci dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel Novembre 2008 ed avendo quest’ultima esplicitamente richiesto ai fini della risarcibilità del danno de quola lesione di un diritto inviolabile, si deve propendere, se concordi con quella parte della dottrina che non ritiene il diritto di proprietà diritto inviolabile, per l’espunzione di questo dal novero di quei diritti la cui lesione comporta in capo alla parte lesa il risarcimento del danno di natura non patrimoniale.
Conclusioni
Svolte le considerazioni che precedono, verrebbe da pensare che in caso di morte o lesione dell’animale d’ affezione alla parte lesa non potrà mai essere accordato il risarcimento del danno non patrimoniale de quo. Ebbene, volgendo uno sguardo complessivo al sistema, ben si capisce che così non è.
In primis, ogniqualvolta venga posto in essere un comportamento sussumente una delle fattispecie incriminatrici introdotte del legislatore mediante la legge n. 189 del 2004, il danno non patrimoniale da morte o lesione dell’animale d’affezione sarà risarcibile stante il disposto dell’art 185 c.p.
Così, si ritiene risarcibile il danno non patrimoniale causato dalla morte dell’animale d’affezione ogniqualvolta ricorra il reato di cui all’art 544 -bis c.p. rubricato “uccisione di animali” e nell’ipotesi coniata dal legislatore all’art 544-ter c.p., la quale concerne il reato di maltrattamento degli animali. Ancora, la tutela aquiliana potrà essere disposta dal giudice nel caso in cui l’animale sia stato illecitamente impiegato in spettacoli o manifestazioni vietate, purché ricorrono tutto gli elementi costitutivi richiesti dal legislatore all’art. 544-quater c.p ed infine nel caso in cui venga posta in essere la condotta incriminata dal legislatore all’art 544-quinques c.p, il quale prevede la disciplina della fattispecie penale concernente il reato posto in essere dal soggetto che promuove, dirige o organizza combattimenti non autorizzati tra animali.
Giunti a tal punto, resta da indagare circa la legittimità della scelta del giudice di merito di accordare alla parte lesa la pecunia doloris de quo prescindendo dalla qualifica di quest’ultima quale vittima di un reato. Orbene, in tutti i casi in cui l’animale da compagnia sia venuto meno e la parte lesa riesca a dimostrare mediante l’allegazione dei fatti in processo l’insorgenza di una vera patologia suscettibile di accertamento medico legale quale può essere, uno per tutti, l’appurato stato di depressione, al giudice sarà concesso accordare a quest’ultima il risarcimento del danno biologico. Quest’ultimo infatti trova la propria legittimazione nella lesione all’integrità psico-fisica che ha subito il soggetto leso quale conseguenza del fatto illecito posto in essere dal convenuto.
Con ciò però non si esauriscono i casi nei quali al giudice in conseguenza della morte di un animale da compagnia è concesso disporre alla parte lesa il patrocinio aquiliano. Prendiamo, a titolo di esempio, il caso in cui l’animale da compagnia sia utilizzato dall’uomo al fine di realizzare interventi assistiti con gli animali (IAA), generalmente denominati nella prassi comune come interventi di “Pet therapy”, i quali consistono, come affermato dal Ministero della Salute, in una serie di progetti volti all’effettivo miglioramento della salute e del benessere del soggetto assistito dall’animale.
Nel caso in cui il padrone dell’animale riesca a dimostrare che dalla morte, ad esempio del cane, sia effettivamente scaturita una lesione concernente il proprio diritto alla salute ex art. 32 Cost. al giudice non resterà che risarcire i danni non patrimoniali da questo sofferti.[34]
In determinati casi, sempre previa prova del fatto a carico della parte lesa, non mi sembra azzardato affermare che la morte dell’animale da compagnia possa addirittura comportare una lesione alla stessa dignità umana; si pensi, a titolo di esempio, alla morte del cane guida dell’anziano il quale, non avendo figli e non essendo spostato, aveva quale unico “appoggio” l’animale da compagnia.
Si noti bene che nella casistica soprammenzionata, tralasciando il caso della morte del cane-guida, ad esser risarcito è sempre il danno non patrimoniale scaturente dalla lesione del diritto alla salute della parte lesa e non il danno scaturente dalla lesione del rapporto affettivo che il padrone dell’animale vantava in riferimento a quest’ultimo. Come abbiamo avuto modo di vedere infatti, al giorno d’oggi, in nessun caso può esser ritenuto risarcibile il danno da lesione del legame affettivo instaurato tra uomo e animale. Quest’ultimo lo si potrà ritenere munito del patrocinio aquiliano solo previo intervento del legislatore, al quale spetterebbe prevedere, tramite apposita norma di legge, la risarcibilità del danno da lesione del rapporto d’affezione istituitosi tra l’uomo e il proprio animale da compagnia.[35]
[1]Per interesse d’affezione s’intende, in senso ampio, qualsiasi rapporto che ipoteticamente potrebbe venire ad instaurarsi tra il titolare di una certa situazione giuridica soggettiva e la situazione giuridica stessa, così anche F. M. Scaramuzzino, “Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte o ferimento dell’animale d’affezione”, in La responsabilità civile, 2012, p. 619 in nota n. 1 al testo. Specificamente, in riferimento al danno patito dal padrone dell’animale, in dottrina si è parlato anche di «danno interspecifico», con ciò riferendosi a quel particolare tipo di danno non patrimoniale scaturente dalla lesione del rapporto instauratosi tra un essere umano e un essere vivente appartenente ad altra specie al quale la coscienza sociale, previo riscontro con determinati indici di natura positiva, è concorde a riconoscere la tutela aquiliana, così P. Donadoni, “Una nuova frontiera per la Corte di Cassazione: il danno non patrimoniale «interspecifico»”, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 575 ss.
[2]Così, ex multis, G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, in Nuova giur. civ. comm., II, 2012, p. 603 ss.; M. Albanese, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”, in Giur. It.,2011, p. 2067; R. Foffa, “Il danno da perdita dell’animale d’affezione”, in Nuova giur. civ. comm., I, 2011, p. 668
[3]A tali considerazioni, ed a riprova di ciò che è stato affermato nel testo, può essere aggiunto che nel nostro ordinamento giuridico l’animale può essere soggetto a pignoramento. Circa un approfondimento concernente tale tematica si rimanda a C. A. Jemolo, “Il legislatore non ha sentimentalismi”, in Riv. dir. civ., 1971, II, p. 366 ss. Inoltre, l’animale nell’ordinamento italiano può essere oggetto di usufrutto ex art. 994 c.c., può essere acquisito per occupazione ex art. 923 c.c. ed infine, il parto dell’animale viene ricompreso dal Codice Civile del 1942 nella categoria dei frutti naturali ex art. 820 c.c.
[4]A tal proposito si rimanda all’ interessante opera di J. R. Krebs e N. B. Davies, “Ecologia e comportamento animale”, Torino, 2016; in ambito prettamente giuridico, concorde a ritenere ormai anacronistica la visione volta a ricondurre la categoria degli animali nel genusdelle resinanimate, uno per tutti, P. Donadoni, “Una nuova frontiera per la Corte di Cassazione: il danno non patrimoniale «interspecifico»”, cit. p. 575 ss. Il quale, in riferimento al danno interspecifico, afferma come tale particolare categoria di danno « non riguarda oggetti, riconducendo la nozione di animale d’affezione a quella di essere vivente (cani e gatti, ed es., sono mammiferi come l’uomo), evitando la sua indebita cosificazione».
[5]La concreta attuazione della legge quadro 14.8.1991, n. 281, essendo questa, appunto, una legge quadro o legge cornice che dir si voglia, è rimessa in totoall’ intervento in materia da parte delle Regioni, della quale dovranno rispettare i principi fondamentali. Nonostante l’art. 2 sia rubricato sotto il generico nome di « Trattamento dei cani e di altri animali d’affezione», tale legge si ritiene però comunemente riferita ai soli cani e gatti, essendo questi gli unici tipi di animali d’affezione presi in considerazione nel testo. Così anche G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, cit., p. 605 in nota n. 10 al testo
[6]In altri ordinamenti al nostro affini, quali quello tedesco, lo statuto giuridico degli animali è espressamente diversificato da quello delle resinanimate. Così, a titolo di esempio, il par. 90 del BGB disciplina che « Tiere sind keine Sachen», che significa « gli animali non sono cose ». Tale notazione è fatta presente anche da M. Albanese in, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”, cit. p. 2067, in nota al testo n. 12. Ancora, recentissima è l’approvazione in Spagna della « Proposición deLey de modificación del Código Civil, la Ley Hipotecaria y la Ley de Enjuiciamiento Civil, sobre el régimen jurídico de los animales» la quale esplicitamente riconosce all’animale la natura di “essere senziente” ed apporta le necessarie modifiche al Código Civil che da tale impostazione derivano.
[7]Cfr. Cass. SS. UU. 11 Novembre 2008, sentenze n. 26972, 26973, 26974, 26975, in Danno e resp., 2009, p. 19 ss. con nota di A. Procida Mirabelli Di Lauro,“Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un “de profundis” per il danno esistenziale”; S. Landini, “Danno biologico e danno esistenziale nelle sentenze della Cass. SS. UU. 26972, 26973, 26974, 26975/2008”
[8]Oltre alle sentenze che verrano analizzate nel prosieguo del testo, cfr., ex multis, Giud. pace Ortona 8 Giugno 2007, in Resp. civ. prev., 2008, p. 471; Conc. Udine, 9 Marzo 1995, in Nuova giur. civ. comm., I, p. 784 ss.; Trib. Milano, 22 Gennaio 2008, in Danno e resp., 2008, p. 909
[9]Così anche G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, cit., p. 608; tra le molte, in tema d’ammissibilità del risarcimento patrimoniale da morte dell’animale d’affezione, cfr. la recente Trib. Rieti, 4 Maggio 2019, in Danno e resp. 2020 p. 664 ss. con nota di P. Merli, “Si dice che, quando abbaia, non è un affetto risarcibile”
[10]Cfr. Cass. Pen. 17 Ottobre 1968, sentenza n. 824, in Cass. Pen.1969, p. 1068
[11]Cfr. Pret. Rovereto, 15 Giugno 1994, in Nuova giur. civ. comm.,1995, I, pp. 133 ss. La decisione circa la concessione del patrocinio aquiliano a colei che accudisce l’animale o ne detiene le cure si inserisce in quel filone giurisprudenziale volto a ritenere irrilevante ai fini della concessione del risarcimento del danno non patrimoniale da morte dell’animale da affezione la registrazione del padrone presso la c.d. “anagrafe canina”. Quest’ultima essendo una mera registrazione disposta a fini pubblicistici non comporta in capo al soggetto registrato la qualifica di padrone risarcibile, dovendo essere questa dedotta sulla base di indici di natura concreta dai quali poter ricavare l’effettivo potere di governo del soggetto sull’animale. Così P. Zatti, “Chi è il padrone del cane?”, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, pp. 135 ss.
[12]Cfr. Trib. Roma 17 Aprile 2002, in Giur. mer.,2002, pp. 1254 ss.
[13]Cfr. Cass. 27 Giugno 2007, sentenza n. 14846, in Nuova giur. civ. comm.,2008, I, p. 789
[14]Cfr. Cass. SS. UU. 11 Novembre 2008, sentenze n. 26972, 26973, 26974, 26975, cit.
[15]Nel caso in cui ad esser leso sia un interesse costituzionalmente rilevante, ai fine della concessione del risarcimento del danno non patrimoniale il giudice di merito non potrà mai prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi strutturali richiesti dal legislatore all’art. 2043 c.c. Affermano difatti le SS. UU. al §2.3 di Cass. SS. UU. 11 Novembre 2008, sentenza n. 26972, cit. che il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da lesione di interesse costituzionalmente protetto « postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile extracontrattuale definito dall’art. 2043 c.c.»
[16]Cfr. Cass. SS. UU. 11 Novembre 2008, sentenza n. 26972, cit. onde al §3.2 si legge che «Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fastidiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell’animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall’individuazione dell’interesse leso, e quindi del requisito dell’ingiustizia»
[17]Cfr. Trib. Milano, 20 Luglio 2010, in Giur. it.,2011, p. 2063 ss. con nota di M. Albanese, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”
[18]Cfr. Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 12 Gennaio 2011, in Giur. it., 2011, pp. 2063 ss. con nota di M. Albanese, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”. Precisa il giudice di merito del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in via di obiter dictume sulla scorte delle statuizioni presenti in Cass. 27 Giugno 2007, sentenza n. 14846, cit.,che la parte attrice, essendosi limitata ad addurre al processo la sola circostanza secondo la quale il volpino in questione sarebbe stato utilizzato ai fini della terapia di pet therapy, non avrebbe soddisfatto l’onere probatorio stante l’impossibilità per il giudice di risarcire il danno non patrimoniale dedotto in giudizio in re ipsaal quale l’attrice riconduce una generica lesione delle qualità della vita.
[19]Cfr. Trib. Roma 19 Aprile 2010, consultabile presso la banca dati online De Jure
[20]Cfr. Cass. 25 Febbraio 2009, sentenza n. 4493, in Resp. civ. e prev.,2009, pp. 1010 ss. La controversia giunta dinanzi ai giudici di legittimità era stata in primo grado instaurata dinanzi al giudice di pace di Roma ad opera di una clinica veterinaria, la quale richiedeva la condanna della controparte al pagamento delle prestazioni svolte a favore di un gatto che era morto a seguito di un intervento. In via riconvenzionale il convenuto aveva proposto domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione.
[21]Concordi a ritenere errate le statuizioni presenti in Cass. 25 Febbraio 2009, sentenza n. 4493, cit., G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, cit. p. 612, M. Albanese, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”, cit. p. 2066; M. Lo Faro, “Danno non patrimoniale da perdita o maltrattamento dell’animale d’affezione e di compagnia”, in 24oreavvocato, 2015, p. 49; F. Azzarri, “Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile”, in Resp. civ. e prev., I, 2012, pp. 16 ss.
[22]Cfr. il § 3.12 di Cass. SS. UU. 11 Novembre 2008, sentenza n. 26972, cit.
[23]In dottrina circa la possibilità di ricondurre il legame affettivo uomo-animale all’interno delle situazioni giuridiche costituzionalmente protette dall’art. 2 Cost si veda M. Bona, “Argo, gli aristogatti e la tutela risarcitoria: dalla perdita/menomazione dell’animale d’affezione alla questione dei pregiudizi c.d. «bagattellari»”, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 1036; P. Donadoni, “Una nuova frontiera per la Corte di Cassazione: il danno non patrimoniale «interspecifico»”, cit. p. 636 ss.; G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, cit. p. 614; P. Merli, “Si dice che, quando abbaia, non è un affetto risarcibile”(nota a sentenza), in Danno e resp.2020 p. 664 ss.; M. Albanese, “«Tiere sind keine Sachen»: il danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione”, cit., p. 2068 ss.; Zatti, “Chi è il padrone del cane?”, cit. pp. 135 ss. Propendono per l’ammissione della risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione stante la lesione del diritto di proprietà costituzionalmente garantito ex art. 42 Cost. N. Sapone e M. Vorano, “Il danno non patrimoniale da perdita di animale domestico”, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 570; tali autori, oltre alla tesi appena menzionata, ipotizzino una possibile tutela costituzionale del rapporto uomo-animale tramite il disposto dell’art. 9 Cost. Questi, affermano infatti che «Ora, per guardare al complessivo sistema costituzionale, si può fare riferimento ad esempio, all’art. 9, comma 2, da cui apprendiamo che la Repubblica tutela il paesaggio. Si può pensare che la Costituzione tuteli boschi, foreste, laghi e fiumi, cervi e castori, e non anche i cani e i gatti di casa? » In giurisprudenza, ritengono legittima la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione stante la lesione ex art. 2 Cost. Trib. Rovereto, 12 Ottobre 2009, consultabile presso www.personaedanno.it; Trib. Pavia 16 Settembre 2016, sent., parte della quale è consultabile presso www.altalex.com; riconduce la risarcibilità del danno non patrimoniale de quoalla lesione procurata al diritto di proprietà tutelato ex art. 42 Cost. Trib. di Bari, Sezione distaccata di Monopoli, 22 Novembre 2011, consultabile presso www.lider-lab.sssup.it
[24]Cfr. Trib. Vicenza 3 Gennaio 2017, consultabile presso www.studiocataldi.it
[25]Il giudice di merito di Vicenza, una volta affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale de quo stante la lesione venuta a concretizzarsi nei confronti del diritto di proprietà tutelato ex art. 42 Cost, a sostegno della propria tesi ripropone le considerazioni svolte dal giudice di merito del tribunale di Monopoli, (cfr. Trib. di Bari, Sezione distaccata di Monopoli, 22 Novembre 2011, cit.) il quale affermò essere totalmente incoerente un sistema risarcitorio all’interno del quale viene risarcito il danno patrimoniale da morte dell’animale d’affezione a discapito di quello non patrimoniale, dovendosi rinvenire nella funzione “affettiva” la maggiore utilità del “bene” oggetto della lesione.
[26]Così anche F. M. Scaramuzzino, “Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte o ferimento dell’animale d’affezione”, cit. p. 623 sulla scorta delle considerazioni svolte da Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 12 Gennaio 2011, cit. e Trib. Catanzaro, 5 Maggio 2011, in Danno e resp.,2012, p. 187 ss. con nota di G. Ponzanelli, “Nessun risarcimento per la perdita dell’animale di affezione: la conferma del giudice di Catanzaro”
[27]Così anche F. Azzarri, “Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile”, cit. pp. 16 ss.
[28]Così anche F. Azzarri, “Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile”, cit. pp. 16 ss. il quale sostiene mancare in capo agli animali il diritto alla vita ed il diritto alla libertà nell’accezione con la quale solitamente quest’ultimi vengono riferiti all’essere umano. Non ci pare colga nel segno quella dottrina che legittima la ricostruzione criticata nel testo sulla base della sempre più diffusa tendenza all’interno della giurisprudenza di merito a risarcire il danno non patrimoniale, non solo ai congiunti, ma anche al convivente non qualificato. Così G. A. Parini,“Morte dell’animale di affezione e tutela risarcitoria: è ancora uno scontro tra diritto e sentimento?”, cit. p. 613 la quale a riprova delle proprie considerazioni porta la sentenza di Trib. Milano 21 Febbraio 2007, in Fam. e dir., 2007, p. 938 tramite la quale il giudice di merito ritenne risarcibile il danno non patrimoniale sofferto dal convivente della madre di un ragazzo deceduto; i due danni aquiliani sono oggettivamente differenti.
[29]Si pensi, a titolo di esempio, alla risarcibilità del danno non patrimoniale scaturito dalla morte del cavallo verso il quale la parte lesa provava un profondo affetto. In tal caso, indubbiamente chi è favorevole alla risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione per il tramite dell’art. 2 Cost. espunge dai requisiti richiesti ai fini della concessione del patrocinio aquiliano l’effettiva convivenza tra uomo e animale.
[30]A ciò deve essere aggiunto che, come già fatto presente alla nota n. 11, la qualifica di padrone dell’animale deve essere ricercata sulla base di indici di natura concreta, non rilevando in nessun caso, ad esempio, la registrazione presso l’anagrafe canina del proprietario del cane. Cfr., uno per tutti, Pret. Rovereto, 15 Giugno 1994, cit. Ciò rende ancor più evanescente l’effettiva differenza intercorrente tra il rapporto affettivo che viene a instaurarsi tra l’uomo e l’animale e quello costituitosi tra una coppia di buoni amici.
[31]Così F. Azzarri, “Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile”, cit. pp. 16 ss.
[32]Difatti, come fa notare E. Serani, in “Il risarcimento del danno da perdita dell’animale d’affezione a 10 anni dalle SS. UU. 2008: il lungo cammino di un danno controverso”, in Danno e resp., 2019, II, p. 208, delle 24 sentenze pervenute all’Osservatorio in tema di danno da perdita dell’animale d’affezione fino al 2019, soltanto 10 di queste hanno negato alla parte lesa la risarcibilità del danno non patrimoniale in questione. Risulta palese dunque, anche alla luce degli indici ricavabili dalla giurisprudenza di merito, il mutamento che ha subito la concezione del rapporto uomo-animale nel tempo.
[33]A ciò deve essere aggiunto che una volta reputato privo dell’attributo dell’inviolabilità un certo diritto, questi non potrà in nessun caso essere ritenuto inviolabile a seconda della situazione all’interno del quale si esplica, essendo l’inviolabilità –attributo non suscettibile di variare a seconda del bene su cui il diritto viene esercitato.-. Così espressamente F. Azzarri, “Il sensibile diritto. Valori e interessi nella responsabilità civile”, cit., in nota al testo n. 109. Inoltre, ritenere risarcibile il danno non patrimoniale stante la lesione del diritto di proprietà ex art. 42 Cost. consentirebbe al proprietario di agire in giudizio ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale sofferto a causa della distruzione, ad esempio, di un oggetto al quale fosse molto affezionato. Così anche G. Ponzanelli, “Danno da perdita di animale di affezione: un no campano”, in Danno e resp., 2011, p. 665 In tal caso infatti, nessuna differenza intercorrerebbe tra il rapporto instauratosi tra l’uomo e l’animale e quello intercorrente tra l’uomo e la resinanimata, essendo questi, entrambi, rapporti di tipo proprietario vantanti dal soggetto su di un bene giuridico.
[34]Cfr. Trib. Foggia 24 giugno 2012 consultabile presso www.tribunale .foggia.it.; Trib. Rimini 11 Novembre 2016, sent.; Trib. Bologna 21 Luglio 2015, sent. il contenuto delle quali viene analizzato da E. Serani, in “Il risarcimento del danno da perdita dell’animale d’affezione a 10 anni dalle SS. UU. 2008: il lungo cammino di un danno controverso”, cit. pp. 208 ss. La prima tra le sentenze del grappolo ora citato risarcisce il danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione quale sub speciedi personalizzazione del danno biologico, la seconda quale danno biologico post-traumatico da stress e la terza quale danno biologico da shockemotivo.
[35]Chi scrive non intende in alcun modo, date le conclusioni alle quali siamo pervenuti nel testo, screditare quel rapporto che può ipoteticamente venire ad instaurarsi tra l’uomo e l’animale. Ciò risulterebbe oltremodo ipocrita, avendo potuto io stesso in prima persona godere più volte dell’affetto che gli animali riescono a trasmettere. Allo stesso tempo però è necessario essere consapevoli del fatto che nel campo del diritto la certezza assurge a principio cardine. La stessa ammissibilità della tutela aquiliana in caso di lesione di diritti inviolabili per il tramite dell’art. 2 Cost., come scrive F. Gazzoni è foriera di problematicità. Afferma infatti l’ A. riguardo al tema che « In tal modo però la riserva di legge non è più osservata, considerando che l’art. 2 Cost. non individua detti diritti, onde non può essere quella legge puntuale, cui l’art. 2059 rinvia. Il rinvio ad un rinvio non ha infatti senso e giustifica l’opinione di un grande Maestro del diritto, secondo cui la Costituzione « fa in molti giuristi l’effetto che su Don Chisciotte facevano i libri di Cavalleria. » Così F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli 2017, p. 736. Ciò detto, mi sembra dunque possibile affermare che al fine della concessione della tutela risarcitoria aquiliana per il tramite dell’art 2 Cost. debbono ricorrere indici legislativi nazionali certi che ad oggi, nonostante gli interventi legislativi in materia da parte del legislatore sovra-nazionale e nazionale, la tutela del rapporto uomo-animale nel nostro ordinamento non vanta. Come già detto nel testo, auspicabile appare a chi scrive una riforma legislativa concernente la stessa categoria di diritto nella quale viene ad oggi in Italia ricompreso l’animale; riforma prospettata in termini cristallini recentemente da C. Fossà, in “Frammenti di oggettività e soggettività animale: tempi maturi per una metamorfosi del pet da bene (di consumo) a tertium genus tra res e personae?”, in Contratto e Impr.,2020, pp. 514 ss. alla quale potrebbe seguire un’apposita disciplina di legge concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione quale quella introdotta nell’ordinamento elvetico per il tramite dell’art. 43, Abs. 1-bis dell’Obligationenrecht. Circa la disciplina concernente il risarcimento del danno non patrimoniale da morte o lesione dell’animale d’affezione nell’ordinamento elvetico si rimanda a F. M. Scaramuzzino, “Il risarcimento del danno non patrimoniale da morte o ferimento dell’animale d’affezione”, cit., pp. 625 ss. Sfortunatamente il legislatore Italiano appare cieco dinanzi alla mutata considerazione che la coscienza sociale attribuisce alla figura dell’animale domestico, complice sicuramente il fatto che ulteriori questioni, forse anche di maggior importanza, debbano necessariamente a questa essere anteposte. Con ciò concludiamo nella speranza che tra non molto tempo rispetto al tema concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione qualcuno possa scrivere: per aspera ad astra.