giovedì, Marzo 28, 2024
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Sanzioni per violazioni gravi e persistenti dei valori fondanti dell’UE: il caso ungherese

Il Parlamento europeo ha recentemente votato la risoluzione che attiva il meccanismo sanzionatorio contro l’Ungheria per violazioni gravi e persistenti dei valori fondanti dell’UE, di cui all’art. 2 del TUE.

Definizione e significato dei valori dell’Unione europea

L’Unione europea si è data dei valori, che risultano dall’art. 2 del Trattato UE (riformato a Lisbona, nel 2007). In esso i 28 Stati membri proclamano la fede nella dignità umana, nella libertà, democrazia, uguaglianza e nello stato di diritto, nel rispetto dei diritti umani, in particolare la tutela delle minoranze.

Questi valori identificano un requisito fondamentale e indispensabile sia per l’ingresso di nuovi Paesi nell’UE, alla luce di quanto disposto dall’art. 49 – “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione” – sia per la permanenza di uno Stato già membro dell’Unione. Già in passato, si erano predisposti dei criteri per l’adesione di nuovi Stati membri, i c.d. criteri di Copenaghen, adottati dal Consiglio europeo nel 1993 e migliorati in occasione di quello di Madrid nel 1995, tra i quali viene in rilievo la necessità che lo Stato, che domandi di entrare nell’Unione, abbia al suo interno istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ancora, prima che tali valori entrassero ufficialmente nel Trattato UE, in una sentenza del 1986, la Corte di Giustizia rese operativo nell’allora CEE il principio dello stato di diritto, sottolineando che essa era “una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato[1].

Stato di diritto e democrazia fanno parte del patrimonio genetico dell’Europa contemporanea: da un lato, l’obbedienza di qualsiasi potere e organo pubblico alla legge, così come i gli atti legislativi da essi emanati nell’osservanza della legge, la separazione e il bilanciamento reciproco dei poteri pubblici per una gestione sana e trasparente delle funzioni dello Stato; dall’altro, un modo di intendere i rapporti tra Stato e cittadino tali da far derivare il primo dal secondo, la c.d. sovranità popolare, che si concretizza nel momento elettivo – e non solo – e che per mezzo della libertà di espressione partecipa consapevolmente e attivamente alla res publica e contribuisce alla sua evoluzione. L’attività dell’Unione e il suo funzionamento accoglie questi valori nelle sue istituzioni, nella formazione degli atti normativi e in qualsiasi altra funzione, proprio come gli Stati membri che la compongono.

La violazione grave e persistente. Il caso ungherese

Ma cosa succede se uno Stato membro viola un valore, di cui all’art. 2? Lo stesso Trattato offre una risposta chiara ed efficace a questo interrogativo.

Recentemente, una situazione del genere si è verificata in Ungheria, dove il governo di Viktor Orbàn, dichiaratamente euroscettico e propenso a distruggere l’integrazione europea, ha realizzato diverse riforme, che minano la tenuta legalitaria e democratica del Paese. I magistrati sono stati sottoposti ad un severo controllo dell’esecutivo; la nuova legge elettorale ha reso più facile per il partito di maggioranza la conquista di quasi tutti i seggi nel Parlamento, riducendo le possibilità per un confronto politico democratico con le opposizioni. A ciò si deve aggiungere che la nuova Costituzione, entrata in vigore nel 2012, ha ridotto i margini di libertà della stampa e leso diritti fondamentali. L’esecutivo di Orbàn ha inoltre espresso più volte l’ostilità all’accoglienza dei migranti e dei rifugiati ed è nota la vicenda della costruzione di un muro al confine con Serbia, Croazia e Slovenia, il cui costo – è stato preteso – graverebbe per il 50% sull’Unione europea[2]. Chiaramente ci si trova di fronte ad un’ evidente violazione grave e persistente dei valori fondamentali, sopra esposti.

Qualsiasi Stato membro incorra in questa situazione è sottoposto al meccanismo sanzionatorio, di cui all’art. 7 del Trattato UE. Il procedimento, introdotto dalle modifiche ai Trattati apportate ad Amsterdam nel 1997, si articola in più fasi[3]:

A causa di preoccupazioni sorte in seguito alle elezioni in Austria nel 2000, che hanno visto la partecipazione alla formazione dell’esecutivo del Paese di un partito dichiaratamente xenofobo e ultranazionalista (il c.d. Affare Haider), prima nella versione di Nizza nel 2001, poi nella versione consolidata dal Trattato di Lisbona del 2007, è stata istituita una procedura di preallarme (par. 1). Una delibera del Consiglio europeo, presa a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, previa approvazione del Parlamento e su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione, può constatare l’esistenza di un rischio di violazione, prima ancora che questa si verifichi. Certamente, si tratta di una procedura circondata da garanzie per lo Stato membro, in cui si presume siano stati violati certi valori; il Paese in questione ha il diritto di essere ascoltato e può essere destinatario di raccomandazioni da parte del Consiglio, onde evitare che la violazione si verifichi.

Qualora il rischio persista e si traduca in una grave e persistente violazione dei valori tutelati, dopo aver invitato lo Stato a presentare osservazioni, il Consiglio procede alla constatazione tramite delibera della violazione in atto. La delibera è adottata dal Consiglio, questa volta all’unanimità, sempre previa approvazione del Parlamento e su proposta motivata di un terzo degli Stati o della Commissione (par. 2).

Dopo l’avvenuta constatazione, è sempre il Consiglio europeo a comminare le sanzioni allo Stato membro che ha commesso la violazione, attraverso una delibera presa a maggioranza qualificata. Le sanzioni consistono nello specifico in una sospensione di alcuni diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei Trattati (par. 3), tra cui il diritto di voto in seno al Consiglio. Le sanzioni non hanno carattere definitivo, ma sono valide per tutta la durata della violazione: il Consiglio monitora la situazione nel Paese (par. 4).

Ritornando al caso ungherese, la decisione del Parlamento europeo contro l’Ungheria è storica perché è la prima volta, nella storia dell’Unione, viene attivata la procedura di infrazione di cui all’art. 7. La proposta, presentata dalla parlamentare olandese Judith Sargentini e votata dal Parlamento EU nel Settembre 2018, dopo l’elenco delle varie preoccupazioni su una serie di tematiche (ad es. funzionamento del sistema costituzionale, indipendenza magistratura, libertà politiche (…) invita “il Consiglio a stabilire se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori di cui all’articolo 2 TUE e a rivolgere all’Ungheria raccomandazioni adeguate al riguardo” [4].

Ora l’ultima parola è rimessa al Consiglio europeo, ma vi sono non pochi dubbi circa un esito positivo della delibera, poiché la Polonia ha già annunciato che ostacolerà qualsiasi delibera contro l’Ungheria. È il caso di ricordare che anche la Polonia è sotto inchiesta, dal 2017, per alcuni provvedimenti giuridici contrari alla democrazia e allo stato di diritto e questo spiega la solidarietà nei confronti dell’Ungheria, nelle istituzioni dell’Unione.

[1] Corte di Giustizia CE, sentenza del 23 aprile 1986

[2] N. Ronchetti, “L’Ungheria è ostaggio di un tiranno: l’Europa ci aiuti” (http://espresso.repubblica.it/internazionale/2017/09/28/news/l-ungheria-e-ostaggio-di-un-tiranno-l-europa-ci-aiuti-1.310983)

[3] U. Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, edizione 2016

[4] Relazione del Parlamento Europeo su una proposta recante l’invito al Consiglio a constatare, a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea, l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2018-0250+0+DOC+XML+V0//IT )

Giuseppe Saviotti

Dottore in scienze politiche, relazioni internazionali e studi europei presso l'Università di Bari, attualmente in fase di completamento degli studi di relazioni internazionali. Collaboratore dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il diritto e le politiche dell'Unione Europea.

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