lunedì, Dicembre 2, 2024
Litigation & Arbitration

Il sequestro probatorio: analisi di uno strumento investigativo in contrasto con la libertà fondamentale dell’individuo

I profili normativi

“L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo di reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti”.

Così recita il primo comma dell’art. 253 c.p.p. volto a disciplinare l’istituto del sequestro penale, inquadrabile nell’ambito dei mezzi di ricerca della prova.

Dunque, dobbiamo prioritariamente chiederci: qual è l’oggetto del sequestro?

È lo stesso art. 253 c.p.p. a venirci in soccorso, definendo, al secondo comma, il corpo del reato come “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.

 Per definire il  prodotto del reato bisogna riferirsi al risultato che l’autore del reato ottiene tramite la condotta criminosa, per profitto al vero e proprio vantaggio in termini economici derivante dal reato e, infine, per prezzo al compenso fornito o promesso ad un soggetto affinchè questi vada a commettere un reato.

Il secondo elemento che possiamo evidenziare è la stretta continuità che sussiste tra la perquisizione ed il sequestro, data la comunanza dell’oggetto.

Nella maggior parte dei casi, infatti, le cose che sono state rinvenute tramite la perquisizione saranno sottoposte al sequestro.

Da ciò si potrebbe trarre la conseguenza per cui, nel caso di perquisizione illegittimamente eseguita, si determini l’illegittimità derivata del sequestro e la conseguente inutilizzabilità della prova.

Le Sezioni unite, tuttavia, non si sono mostrate concordi con tale orientamento, ritenendo che nel caso di sequestro del corpo di reato o delle cose pertinenti al reato, risulta irrilevante il modo in cui siano questi stati acquisiti, in quanto prevale il carattere necessario del sequestro.

Passando, invece, all’aspetto propriamente procedurale, ai fini del sequestro penale si richiede un decreto motivato che, ai sensi del terzo comma dell’art. 253 c.p.p., potrà essere adottato dall’autorità giudiziaria in persona o dall’ufficiale di polizia designato con lo stesso decreto.

A questo punto sorge spontanea una domanda: il vincolo del sequestro si protrae a tempo indeterminato?

La risposta è chiaramente negativa, si prevede infatti la restituzione delle cose al momento del venire meno della esigenza probatoria che aveva determinato l’adozione del provvedimento.

A tal proposito il primo comma dell’art. 262 c.p.p. prevede che le cose sequestrate vengano restituite “a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza”.

Si aggiunge, poi, un’altra eventualità, ovvero quella della conversione del sequestro probatorio in sequestro cautelare.

Tale passaggio non avverrà automaticamente, bensì tramite un apposito provvedimento adottato dal giudice qualora ravvisi la necessità di mantenere il vincolo a titolo di sequestro conservativo o preventivo, dopo aver verificato la sussistenza dei presupposti cautelari richiesti dalla legge.

Frequente è anche l’ipotesi inversa, ovvero quella in cui il sequestro preventivo perda efficacia a causa di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

In questo caso, laddove esistano più esemplari della cosa sequestrata e questa presenti “interesse ai fini di prova” verrà disposto il sequestro probatorio di un solo esemplare della cosa stessa, ordinando, contemporaneamente, la restituzione degli altri. (Circa un approfondimento in merito al sequestro preventivo rinvio all’articolo di Giovanni Sorrentino, “Le misure di prevenzione: disciplina e controversie”).

Infine per quanto riguarda il procedimento di restituzione delle cose sottoposte a sequestro ricordiamo che l’autorità competente ad adottare la decisione sarà il giudice procedente, nel caso, invece, in cui ci si trovi nella fase delle indagini preliminari, sulla restituzione delibererà il pubblico ministero con decreto motivato.

In generale il provvedimento potrà essere adottato de plano qualora risulti indubbia l’appartenenza delle cose sequestrate, al contrario, in caso di controversia circa la proprietà delle stesse, la questione verrà rimessa al giudice civile, fermo restando il vincolo del sequestro.

La problematica inerente l’onere di motivazione

La disposizione normativa richiede un decreto motivato ai fini del sequestro, ebbene a tal proposito si è espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza 9/4/2014, n. 23212, evidenziando la necessità di una “idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine”.

Dunque l’autorità giudiziaria nella motivazione dovrà esplicare la destinazione del sequestro, al fine di garantire una verifica sulla legalità, in ordine all’an e al quantum di durata, della misura stessa.

Il decreto di sequestro del corpus delicti, invero, genera un effetto senza dubbio pregiudizievole privando il soggetto in questione del potere dispositivo e di quello di godimento sull’oggetto, ecco perché la motivazione, in analogia con l’art. 13 Cost., assume un ruolo di garanzia imprescindibile.

Ci si chiede, inoltre, se è necessario esprimere con chiarezza quel è la finalità probatoria sottesa al sequestro del corpo di reato.

Secondo una parte della dottrina, il P.M. ha l’obbligo di motivare espressamente anche in ordine alla finalità probatoria. La qualifica di corpo del reato, infatti, non implica necessariamente un’efficacia probatoria in relazione all’avvenuta commissione del reato e alla possibilità di attribuire il reato al soggetto, dunque questa dovrà essere verificata caso per caso.

Recentemente si è espressa a favore di questo orientamento anche la Corte di Cassazione, con la sentenza 11/03/2014, n. 19615: “il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo di reato, deve essere necessariamente sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti”.

Secondo un altro orientamento, invece, il P.M. non ha l’obbligo di motivare in ordine alla finalità probatoria. Tale soluzione interpretativa fa leva sulla distinzione tra cose pertinenti al reato e corpo del reato. Allorquando l’oggetto del sequestro ricade sul corpus delicti, secondo tale tesi, “l’esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa”.

Sulla questione si sono espresse anche le Sezioni Unite, con la sentenza del 28 gennaio 2004 n. 5876 a favore del primo orientamento. Afferma la Corte: “anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti”.

Le Sezioni Unite si appellano in primo luogo al dato letterale, affermando che l’art. 253 c.p.p.  fornisce una visione unitaria dell’istituto, non operando alcuna distinzione tra le cose pertinenti al reato e le cose che costituiscono il corpo del reato. per cui, accogliendo il secondo orientamento, si introdurrebbe una illegittima discriminazione non supportata dal dato letterale.

In secondo luogo, le Sezioni Unite di soffermano sul funzionamento del sequestro come mezzo di prova: in alcune ipotesi l’ablazione del corpus delicti può risultare superflua, dato che la rilevanza processuale della cosa va valutata in concreto, caso per caso.

La motivazione avrebbe il compito, quindi di spiegare perché – in quel caso concreto – il sequestro sia ritenuto necessario ai fini probatori. A conferma di ciò, come abbiamo visto in precedenza, l’art. 262 c.p.p. prescrive che, quando non sia più necessario mantenere il sequestro a fini di prova, venga disposta la restituzione della res, dimostrando implicitamente come l’esigenza probatoria deve sussistere al momento dell’instaurazione del vincolo e deve persistere per tutta la sua durata.

In conclusione, la dottrina guarda con favore alla pronuncia delle Sezioni Unite, in quanto presenta il merito di aver configurato correttamente i rapporti tra l’intrinseca capacità rappresentativa dell’oggetto del sequestro e l’ulteriore requisito della necessità della res a fini di accertamento.

Claudia Ercolini

Claudia Ercolini, ha ventiquattro anni ed è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti. Il suo obiettivo è accedere alla magistratura, la considera la carriera più adatta alla sua personalità, al suo istinto costante di ricercare meticolosamente le ragioni alla base di ogni problema. Svolge il tirocinio presso la Procura generale della corte di appello. Ha partecipato al progetto Erasmus in Portogallo dove ha sostenuto gli esami in lingua portoghese e ha proceduto alla scrittura della tesi. Ha deciso di fare questa esperienza all’estero per arricchirsi e scoprire come viene affrontato lo studio del diritto al di fuori dell’Italia. Ha conseguito il livello B2 di lingua inglese presso il British Council e il livello A2 di lingua portoghese. La sua tesi di laurea è relativa ad una recente legge di procedura penale: il proscioglimento del dibattimento per tenuità del fatto. Con questa tesi ha coronato quello che rappresenta il suo sogno sin da bambina: si è iscritta, infatti, a giurisprudenza proprio per la sua passione per il diritto penale, per il suo forte carattere umanistico e perché da sempre si interroga sul connesso concetto di giustizia. E ‘ membro della associazione ELSA che le ha permesso di partecipare alla “moot competition” relativa al diritto internazionale. Ha già partecipato alla stesura di articoli di giornale relativi al diritto penale e alla procedura penale. Le è sempre piaciuto scrivere, anche semplici pensieri e riflessioni, conciliare dunque la scrittura con la materia che maggiormente la fa sentire viva, rappresenta per lei una grandissima soddisfazione. Chiunque la volesse contattare la sua mail è: claudia.ercolini@virgilio.it

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