venerdì, Marzo 29, 2024
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Serrata: quando il datore di lavoro sciopera

Lo sciopero si configura come il mezzo tradizionale di lotta sindacale, operato dal lavoratore, storicamente parte debole del rapporto di lavoro subordinato: l’esercizio del diritto di sciopero è garantito dall’art. 40 Cost., incluso nel titolo III della Parte I dedicato ai “Rapporti economici”, il quale recita “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.

Tuttavia, l’evoluzione dei rapporti sociali ha mostrato come la tensione nelle relazioni industriali possa sfociare in comportamenti oppositivi attivi del datore di lavoro, ed in particolare nel tipico mezzo di lotta padronale: la serrata.

Per serrata s’intende la decisione temporanea del datore di lavoro, a fini di pressione e lotta, di chiudere gli impianti e/o d’interrompere l’attività lavorativa, in modo totale o parziale, con conseguente rifiuto di accettare e retribuire le prestazioni offerte dai dipendenti; come ogni genus, anche la serrata si compone di diversificate species, progressivamente formulate:

-serrata individuale o collettiva, a seconda se l’astensione coinvolga una o più imprese, concordemente o contestualmente tra loro;

-serrata sospensiva o risolutiva, a seconda se codesta comporti una sospensione o una cessazione dei rapporti di lavoro;

-serrata offensiva o difensiva, a seconda se tale forma di lotta costituisca una misura anticipatoria della successiva rivendicazione sindacale. o intervenga in risposta ad una mobilitazione preesistente.

Sebbene l’esercizio della serrata sia riscontrabile nella realtà effettuale, la Carta fondamentale tutela esplicitamente solo il diritto di sciopero: dottrina e giurisprudenza, dunque, si sono interrogate sulla teorizzazione della serrata quale diritto soggettivo ed, in caso di esito negativo, sull’eventuale copertura costituzionale che sottragga la lotta padronale alla repressione penale (il codice penale del 1930, infatti, sanzionava la serrata agli artt. 502-506).

La prima delle questioni affrontate è di facile risoluzione: l’opinione unanimemente condivisa è che la serrata non costituisca un diritto, anche alla luce della ratio della Carta costituzionale.

Per quanto riguarda l’eventuale esclusione della rilevanza penale della serrata, invece, si deve sottolineare che è dibattuta la configurazione di quest’ultima come “libertà costituzionalmente tutelata”, come tale sottratta ad incriminabilità da parte della legge penale(e parimenti discusse sono le norme che fonderebbero la protezione in parola), e che la Corte Costituzionale si è spesso soffermata sulla legittimità costituzionale delle norme che vietano l’esercizio della serrata.

Prima di passare alla giurisprudenza costituzionale in materia, appare utile ricordare che il codice penale disciplina la lotta padronale agli artt. 502, 1° comma(“serrata per fini contrattuali”), 503(“serrata per fini non contrattuali”), 504(“serrata di coazione alla pubblica autorità”), 505(“serrata a scopo di solidarietà e di protesta”)e 506(“serrata di esercenti di piccole industrie o commerci”).

Il pilastro della Corte Costituzionale in materia è rappresentato dalla sentenza n.29 del 1960: una volta puntualizzato che la lettera dell’art. 40 Cost. non lascia spazio ad ampliamenti interpretativi, la Consulta riconduce la serrata al 1° comma dell’art. 39 Cost., in quanto quest’ultimo non tutelerebbe una “mera libertà organizzativa”, ma una “libertà di azione sindacale” da riconoscere ad entrambe le parti; la qualificazione della serrata come libertà, ovvero come comportamento penalmente lecito, conduce allora alla dichiarazione d’illegittimità costituzionale della serrata per fini contrattuali(oltre che di ogni futura legge incriminatrice che si ponga sulla medesima direttrice).

Sebbene tale indirizzo, in linea di principio, confermi i divieti posti dagli artt. 503-506 c.p., con la sentenza costituzionale n.141 del 1967 la Consulta, in analogia con le aperture palesate dalla stessa giurisprudenza in tema di sciopero d’imposizione politico-economica e di solidarietà, ha ipotizzato una più flessibile articolazione della libertà di serrata, soprattutto con riferimento alla serrata di solidarietà e protesta ex art. 505(ove per serrata di protesta s’intende la doglianza contro una presunta inadempienza dei sindacati e dei lavoratori).

Per quanto concerne, invece, la rilevanza civile della serrata, bisogna evidenziare che, sebbene la qualificazione della serrata quale posizione costituzionalmente protetta escluda un suo rilievo penale, tale comportamento persiste come illecito civile, come violazione dei doveri ed obblighi derivanti dal contratto di lavoro: la condotta illecita, idonea a fondare la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro, se per taluni consiste in un semplice inadempimento dell’obbligo retributivo(pagamento degli stipendi e dei salari), per altri autori (G. Ghezzi) assume rilevanza quale peculiare ipotesi di mora del creditore ai sensi dell’art. 1206 c.c.; il datore di lavoro, secondo quest’operazione ermeneutica, rifiuterebbe ingiustificatamente le prestazioni di lavoro, non cooperando allo svolgimento delle medesime(anche art. 1175 c.c.).

La tutela del lavoratore sotto il profilo retributivo è prevista da una norma risalente ma ancora in vigore, ovvero l’art. 6 del R.D.L. n.1825 del 1924 sull’impiego privato: ritenuta applicabile anche alla categoria operaia, la disposizione prescrive che “in caso di sospensione di lavoro per fatto dipendente dal principale, l’impiegato(rectius, lavoratore subordinato)ha diritto alla retribuzione normale”; è stato ritenuto, inoltre, che ai fini dell’emersione del diritto all’intera retribuzione interrotta, sia irrilevante quanto guadagnato altrove dal dipendente durante il periodo di sospensione dell’attività aziendale, il cosiddetto aliunde perceptum.

In ultima analisi, occorre segnalare che la recrudescenza delle relazioni collettive ha dato luogo alla cosiddetta serrata di ritorsione, attuata in occasione dello sciopero articolato e/o nei confronti del personale attualmente non scioperante.

Rossella Giuliano

Rossella Giuliano nasce a Napoli nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 2012, inaspettatamente, interessata alle implicazioni giuridiche della criminologia, decide d'iscriversi al corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Ateneo Federico II: durante il percorso accademico, si appassiona a tutto ciò che gravita attorno all'universo giuridico; volendo coniugare la sua passione per la cultura tedesca con la propensione per la tutela dei soggetti svantaggiati, sta attualmente redigendo una tesi sulle influenze del regime dell'orario di lavoro sulle politiche di tutela dell'occupazione nel diritto italiano e tedesco. Suoi ambiti d'interesse sono le lingue, letterature e culture straniere, i cani, la musica, la cinematografia.

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