giovedì, Marzo 28, 2024
Uncategorized

Si può estendere il diritto di accesso civico generalizzato all’interno delle procedure di affidamento dei contratti pubblici?

La terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza del 5 giugno 2019, n. 3780, si è pronunciata sull’appello avverso la sentenza del T.A.R di Parma, con la quale respingeva il ricorso relativo al diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato in relazione agli atti concernenti l’affidamento di servizio di manutenzione e riparazione degli automezzi.

Tale pronuncia riveste particolare importanza nel panorama giurisprudenziale in quanto riconosce ed estende, per la prima volta, il diritto d’accesso civico generalizzato nel settore delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, il quale ha da sempre incontrato dei limiti.

Il diritto di accesso civico generalizzato, o cd. FOIA, previsto dal d.lgs. 97/2016, e disciplinato dall’all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013, “favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”[1].

Tuttavia, nonostante sia stato introdotto nel nostro ordinamento già da alcuni anni, non sono ancora chiari i parametri esatti di tale istituto. Infatti, uno dei nodi principali si ravvisa nella possibilità o meno di estendere tale diritto anche all’interno delle procedure di affidamento. Sul punto la giurisprudenza amministrativa non è stata univoca, si sono registrati diversi orientamenti che hanno sostenuto in via prevalente l’esclusione del FOIA all’interno dei contratti pubblici.

Una prima pronuncia intervenuta sull’inapplicabilità dell’accesso civico generalizzato nelle procedure di affidamento è la sentenza n. 197 del 18 luglio 2018, della prima sezione del Tar Emilia-Romagna[2]. Le ragioni di questo filone giurisprudenziale risiedono nel comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013, il quale stabilisce una esclusione nei casi in cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”. Tale articolo, letto in combinato disposto con l’art. 53 del d.lgs. 50/2016, rende pacifico, a detta del Tar emiliano, che il settore delle procedure ad evidenza pubblica sia escluso alle più ampie modalità di accesso previste dal d.lgs. 33/2013.

Il divieto di accesso finalizzato alla tutela del know how aziendale ha trovato giustificazione anche sulla base della specifica tutela collegata alle libertà di impresa e di concorrenza che verrebbero senza dubbio lese in caso di accesso alle procedure di gara al fine di conoscere i segreti tecnici e commerciali dei concorrenti[3].

Questa linea interpretativa è stata condivisa anche dal Tar Lazio, sentenza n.425/2019 e Tar Lombardia, sentenza n.630/2019. Secondo i Collegi, infatti, nonostante il d.lgs. 97/2016 sia successivo al Codice dei contratti pubblici, risulta giustificata la scelta del legislatore, all’art. 53 del d.lgs. 50/2016, di prevedere dei limiti, e dunque di sottrarre anche solo implicitamente una possibilità indiscriminata di accesso alla documentazione di pree post aggiudicazione, da parte di soggetti non qualificati. Inoltre, secondo il Tar capitolino l’esclusione è giustificata sia dal fatto che la documentazione del procedimento di affidamento delle commesse pubbliche subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla vigilanza (es. ANAC); sia perché vi è un coinvolgimento di interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili, e dunque astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013.

A stravolgere completamente le posizioni sin qui riportate, assunte dalla giurisprudenza maggioritaria in tema di accesso civico generalizzato nelle procedure ad evidenza pubblica, è intervenuto il Consiglio di Stato.

Con tale sentenza in commento, che si esprime sull’appello avverso la pronuncia del Tar Emilia-Romagna (sezione distaccata di Parma), n. 197/2018, la quale nel caso di specie respingeva il ricorso avverso il diniego dell’istanza di accesso civico generalizzato in relazione agli atti concernenti l’affidamento di servizio di manutenzione e riparazione degli automezzi, si apre una nuova stagione del nuovo istituto FOIA.

Le motivazioni espresse da Palazzo Spada sono costruite in modo tale da essere in linea con la ratio sottesa all’introduzione del diritto di accesso civico generalizzato nel nostro ordinamento: ampliare il contenuto e le modalità di realizzazione del principio di trasparenza.  Infatti, si muove dall’assunto che se l’intenzione del legislatore è quella di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, non vi è ragione che nell’ambito dei contratti pubblici vi sia un limite implicito che coinvolge l’intera “materia”, non previsto espressamente da alcuna disposizione normativa, e non si cerchi di valutare la situazione caso per caso, verificando se – a fronte di un bilanciamento degli interessi – sussistono alcune incompatibilità o limitazioni.

È pur vero che l’ambito delle procedure di affidamento, oltre ad essere particolarmente complesso, coinvolge anche molteplici interessi tra loro contrastanti, tuttavia secondo il Consiglio di Stato, se la normativa prevede delle limitazioni oggettive su alcune materie specifiche (previste sia dall’art. 24 della L. 241/90, che dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. 33/2013) e poi alcuni “casi” in cui – per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso – si prevedono “specifiche condizioni, modalità e limiti”, si ritiene che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa[4]. Dunque, con una interpretazione restrittiva si escluderebbe l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale ricavabile dalla Costituzione stessa: il principio di trasparenza.

Il Collegio, inoltre, si pone in maniera contrapposta anche rispetto al richiamo – ritenuto decisivo dal giudice di prime cure – dell’art. 53 del d.lgs. 50/2016 nella parte in cui rinvia alla disciplina degli artt. 22 e ss. della L. 241/90 come motivo di esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti.

Secondo i giudici infatti, il d.lgs. 97/2016, cd. decreto trasparenza, è successivo rispetto al Codice dei contratti, e purtroppo sconta un mancato coordinamento tra testi normativi. In tal senso si dovrebbe ipotizzare una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso, così da valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, assolutamente non limitabile da norme preesistenti ma solo dalle prescrizioni “speciali” e dai vincoli espressamente previsti.

In ultimo, il Consiglio richiama il parere della Commissione Speciale 515/2016 al fine di evidenziare di come l’accesso civico, introdotto nel nostro ordinamento sulla base anche di disposizioni europee, sia un mezzo utile ed efficiente per prevenire e contrastare la corruzione, oramai fenomeno dilagante nelle procedure di appalto.

Questa apertura dunque – azzardatamente – segnava un nuovo inizio. Tuttavia, a distanza di pochi mesi, la sez. V del Consiglio di Stato, con sentenza 5503/2019 ritorna sui passi delle principali pronunce dei Tribunali amministrativi regionali di cui sopra.

Secondo (altri) giudici ermellini, l’accesso civico generalizzato non è estendibile anche all’area dei contratti pubblici in quanto “mentrel’accesso civico è stato introdotto nell’ordinamento con il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, dunque anteriormente al vigente Codice dei contratti pubblici, istituito invece con d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il FOIA è stato introdotto nel corpo del d.lgs. n. 33 del 2013 con il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, sicché ben avrebbe potuto essere inserito nel Codice dei contratti con il c.d. correttivo di cui al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, se si fosse voluto consentire l’accesso civico generalizzato per la materia dei contratti pubblici. Invece, anche in applicazione del noto brocardo ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit, la circostanza sarebbe indicativa della volontà di escludere tale materia dall’ambito di applicazione del predetto istituto[5]”.

La domanda, dunque, sorge spontanea: come possiamo sottrarre l’applicazione del FOIA – la più alta forma di estrinsecazione del principio della trasparenza – dalle pronunce ondivaghe della giustizia amministrativa?

[1]Sul diritto di accesso in generale, si veda Cardone M., “La declinazione del principio di trasparenza nelle forme del diritto di accesso”, in iusinitinere 9 giugno 2019.

[2]Nello specifico, il Tar si è pronunciato sulla legittimità del diniego di accesso da parte di un’amministrazione, che respingeva la richiesta di accesso presentata ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 avente ad oggetto la documentazione di una gara nella sua interezza, il contratto stipulato e diversi documenti relativi alla esecuzione del medesimo. Tar Emilia-Romagna – Parma, sez. I, 18 luglio 2018, n. 197.

[3]Consiglio di Stato, sez. V, 21 novembre 2011, n. 6136

[4]Consiglio di Stato, sez. III, 5 giugno 2019 n. 3780

[5]Consiglio di Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503

Martina Cardone

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Napoli Federico II, con il massimo dei voti. Ha conseguito un Master di II livello in Management and policies of Public Administration presso l’Università Luiss Guido Carli. Ad oggi è dottoranda di ricerca in diritto e impresa, presso la Luiss.

Lascia un commento