giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Si può individuare l’autore del reato tramite Facebook?

Si può individuare l’autore del reato tramite Facebook?

Oggigiorno due persone su tre hanno un profilo Facebook tramite il quale essere connessi con il mondo circostante, ma non tutti sono a conoscenza dei rischi e della possibile responsabilità penale  a carico degli utenti a questo social network connesse.

E’ possibile parlare di responsabilità penale, riferibile a Facebook, in relazione a due diverse categorie di reati: la prima sarebbe inerente allo sfruttamento del social per intenti ed interessi propri, quali ad esempio l’invio di materiale pubblicitario non autorizzato (la c.d. attività di spamming), la raccolta e l’utilizzo indebito di dati personali, le attività espressamente vietate dal T.U. sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) o anche lo scambio di immagini pedo-pornografiche che integra gli estremi del reato di cui agli artt. 600-ter e ss. c.p.; la seconda categoria invece fa riferimento allo spingersi oltre le semplici relazioni amichevoli e pacifiche alle quali il sociale è ispirato e sfociare in atteggiamenti definiti dall’ordinamento illeciti come ad esempio l’inserimento di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche soltanto potenziali, sulla reputazione della persona ritratta andando ad integrare gli estremi del reato di diffamazione, punito dall’art. 595 c.p.

La diffamazione come disciplinata dall’art. 595 c.p. non sussiste qualora non rispetti il presupposto di cui al comma 1, secondo il quale è necessaria la comunicazione con più persone, non rilevando quindi la condotta di chi, invece, un fatto o una foto la condivide unicamente a titolo di “pettegolezzo” con un amico. La Cassazione, è stata chiara e ha precisato, in un  recente procedimento per diffamazione per pubblicazione di foto in un contesto lesivo della reputazione, che il consenso ad essere ritratti non comporta il consenso a utilizzare le foto, soprattutto se tale utilizzo avviene in contesti che espongono il soggetto a lesioni della propria reputazione.

Fatta questa breve premessa, ci si vuole occupare invece di un aspetto risultato assolutamente positivo per il versante procedurale, sempre avente ad oggetto l’utilizzo di Facebook.

A tutti è capitato di veder girare sul web notizie e fatti di reato, video di telecamere di sicurezza in occasione di rapine, di furti, è possibile infatti che tramite questo social network ci fosse la diffusione di fotogrammi di persone intente al compimento di un reato in un locale privato come ad esempio un negozio o un’abitazione. La Corte di Cassazione nel mese di ottobre, proprio in relazione all’individuazione del colpevole di un reato tramite il social network Facebook ne ha, con sentenza 45090/2017, statuito la possibilità.

Il caso era quello di un ragazzo straniero minorenne che, essendo stato già condannato in primo e in secondo grado per concorso in rapina e porto d’armi, aveva sollevato ricorso per Cassazione al fine di annullare le sentenze precedentemente emesse a suo carico. Il ricorrente lamentava che la motivazione data dal giudice di secondo grado era del tutto carente ed illogica nella parte in cui i giudici di merito avevano ritenuto valida la propria identificazione tramite Facebook e senza alcun successivo riconoscimento, non rispettando per altro i parametri imposti dagli artt. 213 e 214 c.p.p.

Gli art. 213 e 214 c.p.p. determinano le modalità attraverso le quali procedere alla ricognizione personale. Per quanto concerne la prima norma il giudice deve invitare chi deve eseguire la ricognizione, a descrivere la persona indicandone tutti i particolari che ricorda, gli deve chiedere poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento. Al comma 3 vediamo che il legislatore punisce con la nullità anche se relativa (così stabilito con sentenza della Cassazione 32941/2014) la ricognizione non effettuata secondo queste modalità. La seconda norma, l’art. 214 c.p.p., attiene invece allo svolgimento del riconoscimento e alla prassi che accompagna tale  procedura sancendo, anche questa volta, al comma 3 la nullità della ricognizione qualora questa non sia accompagnata da un verbale contenente l’iter eseguitosi.

Il ricorrente quindi alla luce di questi procedimenti proponeva ricorso in Cassazione per violazione di tali modalità procedurali; la Corte però in bando a ciò che l’imputato si aspettava respingendo il ricorso, ha confermato la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Milano statuendo che questa, a differenza di quanto l’imputato lamentasse, aveva emesso una sentenza con motivazione esaustiva, logica, congrua e del tutto coerente a seguito sia degli accertamenti svolti dalla Polizia sia in relazione all’individuazione del reo operata dalla persona offesa tramite Facebook statuendo quindi che “Il riconoscimento fotografico di persone, cui risulta riconducibile, il riconoscimento mediante Facebook, deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale prevista dall’art. 213 c.p.p. e, pertanto, a prescindere dalle procedure adottate, costituisce un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed alle modalità di controllo e di riscontro.”

Non è la prima volta che il social network in questione risulti essenziale come spunto di nuova giurisprudenza per la Corte, mettendo in luce la non semplicità di essere sempre al passo con i tempi e soprattutto con la tecnologia moderna, ma gli Ermellini non sembrano affatto intimoriti.

 

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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