sabato, Ottobre 5, 2024
Di Robusta Costituzione

Sicurezza pubblica tra centro e periferia: commento a Corte Costituzionale, sentenza n. 236/2020.

A cura di Vittoria Padovani

Abstract: con la pronuncia numero 236, emessa lo scorso 21 ottobre e pubblicata il successivo 18 novembre, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della legge della Regione Veneto, numero 34 dell’8 agosto 2019, incentrata sul fenomeno del “controllo di vicinato”. Nel disciplinare tale istituto la legge de qua è stata infatti dichiarata in contrasto con gli articoli 117, comma 2, lett. g) e h), e 118, comma 3, Cost., avendo violato la competenza esclusiva dello Stato in materia di pubblica sicurezza.

Si tratta dell’ulteriore occasione per la Consulta di chiarire i confini di competenza tra Stato e Regioni, con particolare attenzione al ruolo di quest’ultime nell’ambito della c.d. “sicurezza secondaria” o “integrata”. Il presente contributo si propone pertanto di analizzare le questioni principali che emergono dalla sentenza in esame, attraverso un confronto sincronico tra legge regionale e statale.

Sommario: 1. In fatto-parte I: La legge n. 34 del 2019 della Regione Veneto e il “controllo di vicinato”; 2. In fatto-parte II: Il d.l. n. 14 del 2017 e le doglianze del Governo avverso la legge veneta; 3. In diritto: le considerazioni del giudice delle leggi; 4. Conclusioni.

 

1. In fatto-parte I: La legge n. 34 del 2019 della Regione Veneto e il “controllo di vicinato”.

La legge regionale oggetto di impugnazione si è concentrata sull’attuazione di un’articolata disciplina sul controllo di vicinato; ai fini della presente trattazione rilevano in particolare le disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 5. Le disposizioni de quibus hanno infatti previsto l’impegno della Regione a incentivare la collaborazione fra amministrazioni statali, istituzioni locali e società civile al fine di sostenere processi di partecipazione alle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza urbana ed integrata, di incrementare i livelli di consapevolezza dei cittadini circa le problematiche del territorio e di favorire la coesione sociale e solidale” (art. 1). È stato individuato come mezzo per raggiungerla il summenzionato “controllo di vicinato”, definito all’art. 2, comma 2 che segue. Tale termine trae ispirazione dall’istituto di origine anglosassone noto come “neighbourhood watch“, nato negli anni ’60 in Nord America al fine di incentivare la partecipazione attiva dei cittadini, in collaborazione con le forze di polizia locali, a forme di controllo del territorio in un’ottica di prevenzione della criminalità[1]. La norma precisa invero che non costituisce oggetto di tale istituto l’assunzione di iniziative di intervento per la repressione di reati o di altre condotte a vario titolo sanzionabili.

L’articolo 2, comma 4 dispone più specificatamente che la Giunta regionale “promuove la stipula di accordi o protocolli di intesa per il controllo di vicinato con gli Uffici Territoriali di Governo da parte degli enti locali in materia di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, nei quali vengono definite e regolate le funzioni svolte da soggetti giuridici aventi quale propria finalità principale il controllo di vicinato, secondo la definizione di cui alla presente legge“. L’articolo 3 definisce ed elenca i programmi di intervento per ambiti per l’attuazione di tale modalità di controllo partecipato e infine, ai sensi dell’articolo 5, commi 1 e 2 rubricato “Analisi del sistema di controllo di vicinato“, la Giunta prevede la creazione di una banca dati per il monitoraggio di tale attività “in relazione a situazioni concernenti potenziali tipologie di reati e il loro impatto sul sistema territoriale“. Quest’ultima è stata infatti pensata per raccogliere “le misure attuative dei protocolli di intesa e dei patti per la sicurezza urbana sottoscritti nel territorio regionale che prevedano forme di coinvolgimento di vicinato[2].

La norma, peraltro oggetto di censura nella sua interezza, così come formulata ha esorbitato dalle proprie competenze, poiché presenta(va) un contenuto omogeneo e unitario nel senso di dettare una disciplina organica ed esaustiva del controllo di vicinato, espressione della c.d. “sicurezza primaria”, oggetto di competenza assoluta dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere g) e h[3] per le ragioni di seguito riportate.

 

2. In fatto-parte II: Il d.l. n. 14 del 2017 e le doglianze del Governo  avverso la legge veneta.

Il decreto legge n. 14 del 2017, convertito in legge n. 48 del 18 aprile 2017, è stato emanato in attuazione del principio di sussidiarietà, di cui all’articolo 118, comma terzo, Cost., nella allocazione delle funzioni amministrative in materia di pubblica sicurezza, al fine di incentivare forme partecipate della stessa[4]. La legge de qua ha infatti previsto modalità di coinvolgimento e di accordo multilivello con Regioni ed Enti locali, espressione di quella che viene definita “sicurezza integrata”[5]. Si tratta infatti di un intervento legislativo finalizzato ad innalzare i livelli di sicurezza urbana e quindi rimuovere quegli elementi capaci di creare terreno fertile per i fenomeni di criminalità.

Date tali premesse, risulta evidente che la competenza in ordine alle modalità di coordinamento territoriale e alla predisposizione di linee di azione comune debba essere attribuita in via esclusiva allo Stato. L’articolo 1, comma 2, della norma dispone invero che “La sicurezza integrata è definita quale “l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali“. Ciò ad ulteriore conferma che in materia di sicurezza secondaria lo Stato riveste il ruolo di guida, promuovendo forme di collaborazione con gli altri enti territoriali nel rispetto delle competenze ad essi attribuite.

Autorevole dottrina ha inoltre evidenziato che dette linee generali di collaborazione afferiscono per lo più ad un concetto di sicurezza “in senso lato”, diversamente dai “patti per l’attuazione della sicurezza urbana”, stipulati tra Prefetti e Sindaci, che realizzano una sicurezza “in senso stretto”[6]Bisogna tuttavia sottolineare che altri autori hanno invece evidenziato che la formulazione del testo normativo, a causa del suo limitarsi a stabilire molteplici canali di collaborazione e coordinamento, producendo quindi una frammentarietà delle politiche sulla sicurezza, potesse condurre a sovrapposizioni, soprattutto tra livello regionale e locale[7].

Con ricorso presentato il 7 ottobre 2019 la Presidenza del consiglio dei Ministri ha adito il giudice delle leggi onde dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge veneta nella sua interezza, come anticipato. Nella premessa si legge infatti che “La legge regionale all’esame – nella sua interezza e, comunque, con le disposizioni riportate in epigrafe -, se per un verso eccede l’ambito della competenza legislativa regionale, dall’altro invade quello attribuito al potere legislativo statale, così impingendo nella violazione tanto dell’art. 117, comma 2, lett. h) della Costituzione – che riserva allo Stato la materia dell'<ordine pubblico e sicurezza> – quanto dell’art. 118, comma 3, della Carta – che parimenti rimette alla legge statale la disciplina delle forme di coordinamento fra Stato e Regione nella materia de qua -; inoltre, e nel contempo, intervenendo, come si dirà, sulle attribuzioni di organi ed uffici statali, viola pure il limite di cui all’art. 117, comma 2, lett. g) della Costituzione che ancora una volta riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato”.

Nelle motivazioni in diritto parte ricorrente ha successivamente specificato che la disciplina sul controllo di vicinato afferisce alla competenza dello Stato, invero solo ed unico soggetto istituzionale deputato a prevedere forme di accordo e collaborazione con amministrazioni statali, regionali e locali. L’Avvocatura dello Stato ha infatti affermato che “proprio nell’esercizio di queste attribuzioni il legislatore statale ha provveduto, con il d.l. n. 14/2017, non soltanto a disciplinare la materia ma, in ossequio a quel principio di reciproco rispetto delle rispettive competenze costantemente ribadito dallo stesso decreto, a delineare – e a circoscrivere -, con assoluta precisione, il ruolo dei vari attori istituzionali – e, tra questi, e in primis, quello delle Regioni -, gli ambiti di intervento dell’uno e dell’altro nonché le relative modalità.Quanto alla sicurezza integrata, le competenze delle Regioni e delle Province autonome, da esercitarsi nel quadro ed in attuazione delle linee generali convenute in sede di Conferenza unificata, sono limitate, essenzialmente su base pattizia – a mezzo di “specifici accordi con lo Stato, recita l’art. 3, comma 1, del decreto -, ai settori d’intervento indicati dal precedente art. 2, settori tra i quali non figura il controllo di vicinato e che essenzialmente attengono, per un verso, allo scambio di informazioni e all’interconnessione, a livello territoriale, tra la polizia locale e le forze di polizia e, per un altro, all’aggiornamento professionale dei relativi operatori“.

I rischi di eventuali sovrapposizioni, come paventati dalla summenzionata dottrina, sono emersi com maggiore evidenza in relazione all’articolo 5 della legge veneta. L’Avvocatura dello Stato ha infatti sostenuto che “la previsione da parte della Giunta regionale, di una “banca dati” parallela, alimentata dagli elementi informativi forniti da enti locali che svolgono attività di controllo di vicinato, suscettibile, ancora una volta, di interferire con l’attività degli organi statali competenti“. Essa infatti si pone in contrasto con le banche dati disposte dallo Stato e gestite dal Centro Elaborazione Dati (CED) interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge n. 121/1981.

 

3. In diritto: le considerazioni del giudice delle leggi.

Alla luce di quanto riportato, la Corte Costituzionale si è pronunciata aderendo alle considerazioni della difesa statale, operando delle rilevanti considerazioni in relazione all’effettivo ruolo delle Regioni in tema di pubblica sicurezza. Ciò sul presupposto che, ai sensi dell’articolo 118, comma 3, Cost., il d.l. 14 del 2017, successivamente convertito in legge n. 48, ha dettato un’articolata disciplina in materia di sicurezza integrata, improntata sull’utilizzo dei c.d. “patti per la sicurezza” e di forme di coordinamento tra livelli di governo territoriale.

La Consulta ha innanzitutto dichiarato ammissibile l’impugnazione del testo legislativo regionale nella sua interezza, per poi operare a fortiori un ampio rimando alla consolidata giurisprudenza sul ruolo delle Regioni nell’ambito della sicurezza c.d. “secondaria”. La stessa si è riportata in particolare a due sue recenti pronunce, la numero 285 del 2019 e la 177 del 2020. Quest’ultime offrono infatti delle rilevanti considerazioni in ordine al ruolo di Regioni ed Enti locali in materia, che confermano l’esorbitanza della legge veneta rispetto alla normativa di settore.

La pronuncia 285 del 2019 al punto 2.3 delle considerazioni in diritto afferma infatti che: “Non a caso l’ordinamento conosce, accanto al nucleo duro della sicurezza di esclusiva competenza statale, discipline regionali in settori prossimi ancorché con essa non coincidenti. La sicurezza può ben assumere una possibile declinazione pluralista, coerente con la valorizzazione del principio autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione: ad una sicurezza in «senso stretto» (o sicurezza primaria) può essere affiancata, infatti, una sicurezza «in senso lato» (o sicurezza secondaria), capace di ricomprendere un fascio di funzioni intrecciate, corrispondenti a plurime e diversificate competenze di spettanza anche regionale. Alle Regioni è così consentito realizzare una serie di azioni volte a migliorare le condizioni di vivibilità dei rispettivi territori, nell’ambito di competenze ad esse assegnate in via residuale o concorrente, come, ad esempio, le politiche (e i servizi) sociali, la polizia locale, l’assistenza sanitaria, il governo del territorio.”[8]. Per tale ragione sono state invece dichiarate legittime normative regionali incentrate sul miglioramento del contesto sociale e territoriale di riferimento e sulla prevenzione della criminalità attraverso programmi di promozione culturale e di creazione di osservatori sulla legalità con funzioni consultive e di studio del territorio.

Per quanto attiene alla formazione della banca dati di cui al summenzionato articolo 5 della legge n. 34/2019, la Corte si riporta alla pronuncia numero 177 emessa lo scorso luglio, con cui la stessa ha riconosciuto la violazione dell’articolo 117, co. 2, lettere h) e l), da parte della Regione Puglia, laddove quest’ultima ha esorbitato dalle proprie competenze disponendo una banca dati parallela a quella nazionale unica sulla documentazione antimafia[9].

La Consulta ha quindi dichiarato illegittima la legge veneta, in quanto in contrasto con le disposizioni costituzionali in tema di sicurezza primaria, essendosi posta al di fuori della cornice costituzionale che delimita le competenze tra centro e periferia. Tale violazione si è infatti realizzata attraverso l’adozione di una legge generale e uniforme in tema di controllo di vicinato. Come evidenziato dalla Corte, Lo Stato è l’unico ente deputato a disporre attività di prevenzione e repressione dei reati -primariamente affidata alle forze di polizia- tramite accordi su tutti i livelli; diversamente, alle Regioni è affidato il compito di “prevedere interventi a sostegno della cosiddetta “sicurezza secondaria”, in particolare mediante azioni volte a rafforzare nel contesto sociale una cultura della legalità, nonché a rimuovere le condizioni nelle quali possono svilupparsi fenomeni di criminalità“. La Corte tende a sottolineare in diversi passaggi l’importanza del ruolo di Regioni ed Enti locali in materia di sicurezza “secondaria” o “integrata”, la quale infatti si sostanzia non nel contrasto ai fenomeni criminosi tout court, bensì in una forma di sicurezza “in senso lato” come anzidetto, posta a tutela della qualità della vita urbana. Si tratta di un’attività che si indirizza alla cura dei luoghi pubblici, del contesto urbano, dei servizi di trasporto e che richiede pertanto il contributo dei livelli di governo più vicini ai consociati[10].

 

4. Conclusioni.

Alla luce delle sovraesposte considerazioni risulta evidente che la competenza Regionale in materia di sicurezza ed ordine pubblico debba spiegarsi, ai sensi dell’articolo 118, comma terzo Cost., attraverso l’esercizio dell’azione amministrativa orientata alla diffusione della cultura della sicurezza sul territorio di appartenenza, nonché alla realizzazione di attività di prevenzione e tutela urbana, in ossequio a quelle forme di coordinamento di cui solo lo Stato è promotore e responsabile.

La stessa Corte Costituzionale ha evidenziato -e in parte sembrerebbe aver suggerito- la necessità di portare a compimento quegli specifici accordi tra lo Stato e le singole Regioni, già previsti nella Conferenza unificata del 24 gennaio 2018, volti a disciplinare gli interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento. La disciplina del controllo di vicinato si offre dunque come occasione per rendere effettive tali forme di coordinamento tra livelli istituzionali -già oggetto di protocolli tra Prefetture e Comuni su tutto il territorio nazionale- così evitando eventuali conflitti di attribuzione.  

 

Note:

[1]  cfr. https://bja.ojp.gov/sites/g/files/xyckuh186/files/Publications/NSA_NW_Manual.pdf

[2] testo consultabile sul sito https://bur.regione.veneto.it

[3] lettera g) “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”; lettera h) “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”.

[4] la norma ha operato modifiche a diverse disposizioni del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), R.D. n. 773/1931 (art. 100), del Testo unico degli Enti locali (TUEL), d.lgs. n. 267/200 (artt. 50, 54), del Codice della Strada, d.lgs. n. 285/1992 (art. 7), del Codice antimafia e delle misure di prevenzione, d.lgs. n. 159/2011 (artt. 1, 6) e del Codice penale, R.D. n. 1398/1930 (art. 639). Sul punto cfr. M. IANNELLA, Le “sicurezze” nell’ordinamento italiano: l’allontanamento dal modello stato-centrico e l’affermazione di una rete plurale, in Forum di Quaderni Costituzionali, fasc. 4/2020, 11 novembre 2020, rinvenibile sul sito http://www.forumcostituzionale.it.

[5] cfr. Corte Costituzionale, 23/02/2012, (ud. 15/02/2012, dep. 23/02/2012), n. 35: La promozione della legalità, in quanto tesa alla diffusione dei valori di civiltà e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica, non è attribuzione monopolistica, né può divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione e di governo: è tuttavia necessario che misure predisposte a tale scopo nell’esercizio di una competenza propria della Regione, per esempio nell’ambito dell’organizzazione degli uffici regionali, non costituiscano strumenti di politica criminale, né, in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza n. 325 del 2011)“, estratto da www.dejure.it.

[6] cfr. C. RUGA RIVA – R. CORNELLI – A. SQUAZZONI – P. RONDINI – B. BISCOTTI, La sicurezza urbana e i suoi custodi (il Sindaco, il Questore e il Prefetto). Un contributo interdisciplinare sul c.d. decreto Minniti, in Diritto Penale Contemporaneo, 2017, pp. 11-13; in questo senso cfr. V. ANTONELLI afferma che: “La direzione suggerita dall’analisi dei patti è quella di affrontare la “questione sicurezza” in una prospettiva più ampia rispetto al tradizionale approccio di ordine pubblico attinente ai tipici profili dell’attività di prevenzione e di contrasto riconducibile alle forze di polizia. La sicurezza riguarda più in generale la qualità della vita: migliori servizi sociali, progetti di area per il lavoro e lo sviluppo, politiche di intervento per le vittime di violenze o di altri delitti, programmi di risanamento del degrado urbano, piani di contenimento delle aree di emarginazione, nuove prospettive di educazione e promozione sociale e culturale.”, in La collaborazione tra Stato ed enti territoriali in materia di sicurezza locale: i patti per la sicurezza, in Astrid online, par. 12, p. 25. 

[7] cfr. T.F. GIUPPONI, Sicurezza integrata e sicurezza urbana nel decreto legge n. 14/2017, in Istituzioni del Federalismo, vol. 1, 2017, p. 27-28.

[8] cfr. Corte Costituzionale, 23/12/2019, (ud. 19/11/2019, dep. 23/12/2019), n. 285, estratto da https://dejure-it; in senso conforme la precedente Corte Costituzionale, 06/05/2010, n. 167: “[…] Premesso altresì che le auspicabili forme di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali, volti a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, la norma regionale censurata dispone, pur in assenza di indicazioni del legislatore statale, che “nell’esercizio delle funzioni di p.s. previste dalla normativa statale, la polizia locale assume il presidio del territorio tra i suoi compiti primari, al fine di garantire, in concorso con le forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana degli ambiti territoriali di riferimento”, disciplinando non solo modalità di esercizio delle funzioni di p.s. da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della polizia dello Stato, in evidente violazione della competenza esclusiva statale in tema di sicurezza pubblica”; Corte Costituzionale, 07/05/2004, (ud. 29/04/2004, dep. 07/05/2004), n. 134, estratti da https.//dejure.it.

[9] cfr. Corte Costituzionale, 30/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 30/07/2020), n. 177, paragrafo 9.3 delle considerazioni in diritto, laddove la Consulta ha affermato che: “La predisposizione della «banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale» interferisce con la funzione della Banca dati nazionale unica per la documentazione antimafia, operante presso l’ANBSC, istituita ai sensi dell’art. 96 del d.lgs. n. 159 del 2011. Così, sovrapponendosi alla struttura già disciplinata nel legittimo esercizio della competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, entro cui la normativa “antimafia” è senz’altro ricompresa, essa invade gli spazi di potestà esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.“, consultabile in .

[10] cfr. M. IANNELLA, op. cit., p. 172, laddove sottolinea la centralità degli enti territoriali nella tutela del territorio in relazione alla sicurezza integrata affermando che “Le politiche di governo del territorio diventano quindi l’elemento centrale su cui poggiare la risposta ai nuovi bisogni di sicurezza, da riconnettersi alla percezione invece che al concreto verificarsi di fenomeni criminosi“.

Vittoria Padovani

Attualmente dottoranda di ricerca (PON Ricerca e Innovazione - XXXVII° ciclo) in Diritto amministrativo nell'Università degli Studi di Verona presso il Corso di Dottorato in Scienze Giuridiche Europee ed Internazionali. Si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna "Alma Mater Studiorum" nel luglio 2018 con una tesi in Diritto amministrativo sulla responsabilità per danno erariale del rup nel settore degli appalti e nel luglio 2020 ha conseguito il titolo di Specialista in Studi sull'Amministrazione Pubblica presso la SP.I.S.A. di Bologna, con una tesi in Diritto regionale dal titolo "L’autonomia differenziata in materia sanitaria tra solidarietà ed esigenze di bilancio. Il caso della Regione Veneto".

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