giovedì, Marzo 28, 2024
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Sistema pensionistico italiano di base

Il sistema pensionistico italiano di base trae origine dal secondo comma dell’articolo 38 della Costituzione della Repubblica Italiana in cui è scritto: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

In questo comma è ben rappresentata la fattispecie della previdenza di base in quanto vengono definiti:

  • i soggetti in capo ai quali grava l’onere della contribuzione e quindi in capo ai quali sarà poi effettuata la prestazione previdenziale, i lavoratori;
  • le condizioni affinché i lavoratori possano esercitare il proprio diritto: infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria;
  • l’entità delle prestazioni che devono essere adeguate alle esigenze di vita.

Con il susseguirsi degli anni molteplici leggi della Stato hanno cercato di adeguare ai precetti costituzionali la moderna realtà della previdenza di base.

Dopo gli anni settanta del novecento, dopo gli anni del baby boom, la tendenza demografica in Italia si è molto modificata: è diminuito il tasso di fecondità ed è aumentata la speranza di vita. Circostanze che portano inevitabilmente all’invecchiamento della popolazione.

Per capire la portata di questo cambiamento dell’andamento demografico basti far notare che nel 1965 in Italia sono nati quasi un milione di bambini e quarant’anni dopo, nel 1995, non ne sono nati nemmeno mezzo milione.

Il tutto in un contesto in cui ogni manovra finanziaria del paese è fatta all’ombra di un gigantesco debito pubblico (pari, a fine 2017, a circa 2 256 000 000 000 €) e la crescita del PIL, tanto declamata, ancora stenta a decollare; ciò si traduce per il sistema previdenziale ad un ridotto numero di lavoratori quindi ad un ridotto ammontare di contributi versati e ad un ridotto rendimento riconosciuto su questi.

Il 17 luglio 1898 con la Legge numero 350 si istituisce la Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia degli operai; a questa data si fa risalire la prima forma di tutela pensionistica italiana.

In questa sede ci interessa però parlare della normativa più attuale quindi partirei dall’inizio della “seconda repubblica”.

Tratteggiare dal 1992, in ordine cronologico, il disegno delle leggi dello Stato più importanti che riformarono il sistema previdenziale italiano richiede di ricordare che fino ad allora vigeva un sistema retributivo per il quale il lavoratore in pensione percepiva una prestazione previdenziale legata ad un coefficiente di rendimento stabilito ex lege, all’anzianità contributiva e alla base retributiva tenuta in considerazione per il calcolo (non dipende in alcun modo dai contributi effettivamente versati). Si garantiva quindi, nel passaggio da lavoratore a pensionato, il mantenimento del medesimo tenore di vita, essendo il rapporto tra la prima prestazione annuale di pensione e l’ultima annualità di reddito da lavoro pari all’80%.

Il sistema ante 1992, ideato in un clima di illusione di ricchezza finanziaria a seguito della ricostruzione, del boom economico, dei baby boom, portò la classe politica a scegliere, anche in chiave elettorale, prestazioni troppo generose (si pensi alle baby pensioni del D.P.R. n. 1092 del 1973). La situazione creatasi era economicamente e finanziariamente insostenibile. Dal 1992 ad oggi le misure adottate sono state tutte nella stessa direzione: taglio/sospensione delle indicizzazioni; sistematico innalzamento dei requisiti per accedere alla pensione; innalzamento dell’aliquota contributiva. Le riforme hanno sempre operato a seguito di contingenze non più trascurabili; non si è mai optato per una riforma strutturale del sistema che puntasse alla sostenibilità e adeguatezza del sistema nel lungo periodo (forse perché i mandati politici si esauriscono sempre nel breve periodo).

Nel 1992 con il Decreto Legislativo n. 503 del 1992 (la cosiddetta “riforma Amato”) viene innalzata l’età per la pensione di vecchiaia; viene incrementata l’anzianità contributiva; viene ampliato il periodo di riferimento per la valutazione della retribuzione pensionabile; vengono abolite le baby pensioni istituite col D.P.R. n. 1092 del 1973. Data la conseguente riduzione del tasso di sostituzione[1] con il Decreto Legislativo n. 124 del 1993 vennero per la prima disciplinate le forme pensionistiche complementari.

Nel 1995 si  ha forse l’unico intervento strutturale di riforma del sistema previdenziale con la Legge n. 335 (la cosiddetta “riforma Dini”) che decide il graduale passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo; in questo modo le prestazioni previdenziali diminuirono perché legate all’effettivo ammontare di contributi versati, opportunamente rivalutati, nell’arco di tutta la vita lavorativa e ad un coefficiente di trasformazione, distinto per età e sesso e contenente parametri demografici, finanziari e normatici, che converte il montante contributivo in rendita.

Nel 2004 con la Legge delega n. 243 (la cosiddetta “riforma Maroni”) si introducono incentivi per chi rinvia la pensione di anzianità, si aumenta l’età per il diritto alle prestazioni previdenziali e la vigilanza del settore pensionistico viene attribuita alla COVIP[2].

Con la legge n. 122 del 2010 viene introdotto un meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti anagrafici e contributivi in base alle variazioni della speranza di vita.

Nel 2011 con l’art. 24 del Decreto legge “salva Italia” (Legge n. 214 del 2011), la cosiddetta “riforma Fornero”, si prevede l’utilizzo del sistema contributivo per tutti i lavoratori (anche per quelli che erano stati esentati dalla riforma Dini a cui era ancora permesso il più favorevole sistema retributivo), si continua ad innalzare l’età per accedere al pensionamento, vengono incrementate le aliquote contributive[3].

Per approfondire l’evoluzione normativa del sistema pensionistico è utile consultare COVIP, l’evoluzione del sistema pensionistico in Italia sul sito della COVIP http://www.covip.it/?cat=154.

Oggi, dopo 10 anni dalla crisi del 2008, l’economia europea sta finalmente migliorando le proprie aspettative ma urgono misure volte a consolidare queste prospettive. Assume sempre più rilievo una riforma strutturale del sistema previdenziale; queste devono avere la finalità di creare un sistema pubblico sostenibile garantendo, allo stesso tempo, prestazioni previdenziali adeguate, tenendo sempre conto della crescente longevità della popolazione, della diminuzione delle nascite e del mondo del lavoro sempre più flessibile; essendo questi fattori di rilevanza determinante per ogni sistema previdenziale.

Il primo pilastro del nostro sistema previdenziale è la pensione pubblica di base.

Caratterizzata da una modalità di gestione finanziaria a ripartizione, cioè i contributi versati dai lavoratori non sono accantonati per produrre il montante contributivo, che i singoli contribuenti percepiranno dopo la fine dell’attività lavorativa, ma servono immediatamente a pagare le prestazioni previdenziali di chi è già in pensione; è obbligatorio, perché ogni lavoratore dipendente, privato, pubblico, autonomo o libero professionista ha l’obbligo di partecipare al sistema previdenziale; infine la modalità di calcolo della pensione è di tipo contributivo, perché il quantum dei contributi versati è direttamente correlato con la prestazione previdenziale. Si prefigge l’obiettivo di fornire una prestazione di base per le cause di invalidità, vecchiaia e superstite.

A conclusione vorrei tornare sull’aspetto demografico, che si accennava all’inizio, troppo trascurato dalla politica. Nella valutazione di un sistema previdenziale è fondamentale valutare non solo la spesa attuale per pensioni, ma il debito pensionistico che si crea di anno in anno ed osservare l’andamento del sistema nel lungo periodo. L’onda demografica evidenziata nella figura (Angrisani M. ed altri, pensioni: guida a una riforma, Fondazione Ideazione Editrice, Roma. 2001) sarà uno tsunami per la sostenibilità del sistema previdenziale; il pensionamento delle generazioni dei baby boom metterà a dura prova la tenuta del sistema già in profondo disequilibrio finanziario… nel caso in cui la questione dell’adeguatezza delle prestazioni previdenziali non crei un insopportabile problema ancora prima che risulti la sua non sostenibilità.

Cenni sul sistema pensionistico italiano di base

[1]Si definisce tasso di sostituzione il rapporto tra la prima rata annua della prestazione previdenziale e l’ultima rata annua riferita alla prestazione lavorativa; misura quindi la variazione percentuale del reddito annuo in relazione al passaggio da lavoratore a pensionato.

[2]La COVIP è la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione e rappresenta l’autorità pubblica indipendente con il compito di far rispettare le regole di buon funzionamento dei fondi pensione, assicurando la trasparenza e la correttezza delle gestioni di questi, e di tutelare il risparmio investito dai contribuenti.

[3]COVIP, l’evoluzione del sistema pensionistico in Italia.

[4]A. Attias, M. F. Arezzo, A. Pianese e Z. Varga, A comparison of two legislative approaches to the pay-as-you-go pension system in terms of adequacy. The Italian case. Insurance: Mathematics and Economics 68 (2016) pp. 203-211

Riccardo Caramini

Riccardo Caramini nasce a Roma nel 1993. Dopo la laurea in Scienze Aziendali nel 2015 presso La Sapienza di Roma e il diploma in conservatorio nel 2016, nel 2018 si laurea con lode in finanza ed assicurazioni presso La Sapienza di Roma, specializzandosi nel comparto assicurativo. Dal 2018 ha deciso di collaborare con Ius in Itinere perché, citando Seneca nelle Epistulae ad Lucilium, «… nessuna cosa mi darà letizia, benché straordinaria e vantaggiosa, se la dovrò sapere unicamente per me. Se la sapienza mi fosse donata con questa clausola, affinché la tenga chiusa e non la diffonda, rinuncerei ...»

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