domenica, Dicembre 1, 2024
Diritto e Impresa

Società titolare di farmacia e di parafarmacia: limiti e ammissibilità

Con il presente contributo si intende affrontare la questione, di notevole rilevanza pratica, avente ad oggetto la possibilità, da parte di una società, di essere titolare di una o più farmacie e al contempo di una o più parafarmacie.

Per fornire una risposta a tale quesito, di indiscussa attualità, occorre preliminarmente inquadrare la natura giuridica dell’istituto della “farmacia” per poi analizzare il quadro normativo di settore, che dal 2017 ha subìto un profondo mutamento.

Quanto al primo aspetto, è stato più volte sostenuto che nella nozione di farmacia debba essere ricondotta non soltanto la professione sanitaria in sé, che si sostanzia nella preparazione ed erogazione di prodotti terapeutici, bensì anche il servizio di diagnosi e cura a essi legato e, non ultimo, il complesso dei beni organizzati a tale scopo (in altre parole, l’azienda farmaceutica, sia pubblica che privata)[1].

Quanto al secondo aspetto, occorre rilevare che la legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 124 del 2017 ha introdotto diverse novità concernenti il servizio farmaceutico, prime fra tutte l’apertura al mercato dei capitali e dunque la possibilità che tutti gli enti societari, qualunque sia la loro veste, possano divenire titolari e gestori di farmacie[2], fatti salvi alcuni limiti dimensionali[3].

Ma ripercorriamo, anzitutto, le tappe fondamentali che hanno condotto alla attuale formulazione della normativa di settore[4].

In origine la gestione delle farmacie si sostanziava in un’attività riservata essenzialmente ai farmacisti in qualità di liberi professionisti. In quest’ottica, l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di una farmacia privata rivestiva carattere personale, tant’è vero che il Testo unico delle leggi sanitarie (R.D. 1265 del 1934) prevedeva l’incedibilità e l’intrasferibilità di tale autorizzazione, e la responsabilità della gestione dell’attività ricadeva interamente sul titolare autorizzato[5].

Successivamente, con la legge n. 475 del 1968, il legislatore nazionale, in parziale modifica della previgente disciplina, aveva eliminato il predetto divieto di circolazione, stabilendo, all’opposto, che la titolarità della farmacia potesse essere trasferita – beninteso, solo in favore di altro farmacista, iscritto all’albo, in possesso dei requisiti di idoneità o avente almeno due anni di pratica professionale certificata – a condizione che fossero decorsi almeno tre anni dal conseguimento della stessa e purché venisse contestualmente trasferita anche la connessa azienda commerciale[6].  

Diversi anni dopo, con la legge n. 362 del 1991, veniva per la prima volta riordinata l’intera materia e introdotta la possibilità di svolgere l’attività di farmacia anche in forma societaria, seppur con riferimento alle sole compagini a base personalistica: società di persone (ad esclusione, ovviamente, delle società semplici) e società cooperative costituite in forma di srl[7].

L’intento legislativo di far prevalere la componente professionale su quella imprenditoriale emergeva comunque dalla previsione secondo cui la società titolare dell’esercizio della farmacia privata dovesse svolgere tale attività in via esclusiva e dal fatto che i soci (ivi incluso quello di loro che avesse svolto il ruolo di direttore responsabile) dovessero essere tutti farmacisti iscritti nell’apposito albo[8].

Nel 2006 il legislatore (con il cosiddetto “Decreto Bersani” – D.L. n. 223 del 2006, convertito in l. 248 del 2006) era intervenuto nuovamente in modo molto incisivo sulla materia, eliminando alcuni limiti qualitativi e dimensionali, in aderenza al principio di libera concorrenza del mercato. 

E, così, veniva previsto – tra le varie modifiche – che le società di cui sopra potessero esser titolari financo di quattro farmacie nell’ambito della provincia e che il singolo farmacista potesse partecipare anche a più di una di esse[9]. Inoltre veniva liberalizzata la vendita di alcune tipologie di farmaci, come si dirà più oltre.

Dirompente, da ultimo, è stato l’impatto, sulla disciplina in esame, della legge annuale per il mercato e la concorrenza 4 agosto 2017 n. 124, la quale ha scardinato gli ultimi presidi a difesa dei farmacisti quali membri di una categoria “protetta”.

Infatti, similmente a quanto accaduto con la “società tra avvocati”, introdotta dal medesimo provvedimento[10], si sono definitivamente aperte le porte delle farmacie al mercato dei capitali[11].

Ne consegue che oggi qualunque società, anche a base azionaria, può acquisire la titolarità e la gestione di una farmacia, purché la direzione della stessa sia affidata ad un farmacista idoneo ai sensi dell’art. 12 l. 475/1968. 

Prescrive, infatti, il nuovo art. 7 della l. 362 del 1991 che “sono titolari dell’esercizio della farmacia privata le persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, le società di persone, le società di capitali e le società cooperative a responsabilità limitata” (comma 1) e che “la direzione della farmacia gestita dalla società è affidata a un farmacista in possesso del requisito dell’idoneità (…) che ne è responsabile” (comma 3).

Tralasciando l’esame degli altri aspetti di novità introdotti dalla nuova legge, tra cui si segnala l’aumento delle ipotesi di incompatibilità tra la qualifica di socio e lo svolgimento di altre attività, quali ad esempio la professione medica[12], mette conto di rilevare come la previsione dell’esclusività dell’oggetto sociale –  di cui all’art. 7  della l. 362 del 1991 – non sia stata modificata. 

Pertanto, ancor oggi l’oggetto esclusivo delle società de quibus deve testualmente consistere nella “gestione di una farmacia”, esclusività ribadita anche dalla giurisprudenza amministrativa che si è occupata dell’argomento[13].

Orbene, risolta affermativamente la questione della titolarità e della gestione, da parte di una società, di una o più farmacie, ci si interroga, a questo punto, se la medesima società possa legittimamente acquisire la titolarità e la gestione di una o più parafarmacie, intese come autonomi esercizi commerciali.

La risposta a tale interrogativo impone di svolgere alcune considerazioni in ordine alla predetta regola dell’esclusività, che, a ben vedere, risulta oggi svuotata di gran parte del suo contenuto. 

Invero, già dal 2006, con il cd. “Decreto Bersani”, era stato concesso a tutti gli esercizi commerciali – in subordine al rispetto di determinati requisiti dimensionali[14]e organizzativi[15] – di effettuare attività di vendita al pubblico di farmaci da banco o di automedicazione (cd. OTC) e di farmaci non soggetti a prescrizione medica (cd. SOP). 

Inoltre, come si è visto, era stato anche  eliminato il limite della titolarità di “una” farmacia in capo alla società di gestione, elevandolo a “non più di quattro” farmacie su base provinciale[16].

Il medesimo provvedimento, peraltro, aveva abrogato espressamente “ogni norma incompatibile[17](e dunque, sembrerebbe, anche l’esclusività dell’oggetto sociale in parte qua). 

Nel 2007, sulla scia dell’ampliamento delle attività lato sensu farmaceutiche, era stato concesso alle società titolari di farmacia di svolgere anche attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali, in subordine all’ottenimento della prescritta autorizzazione[18].

Ancora, a partire dal 2009 era stata individuata una serie di nuove attività consistenti nella erogazione, da parte delle farmacie, dei cosiddetti “nuovi servizi”, quali l’assistenza domiciliare integrata in favore dei pazienti, l’attuazione di programmi sanitari educativi, di prevenzione e di farmacovigilanza, la prenotazione di prestazioni di assistenza ambulatoriale presso le strutture sanitarie dedicate, il ritiro dei referti relativi a prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, etc.[19]

Alla luce di quanto suesposto, ne discende che oggi l’attività di gestione di farmacia non può dirsi circoscritta alla sola commercializzazione di farmaci con obbligo di ricetta medica – siano essi di fascia A (ossia quelli rimborsabili dal SSN in quanto “essenziali”) ovvero di fascia C (vale a dire quelli non soggetti a rimborso perché “non essenziali”)[20]

Anzi, come è stato attentamente osservato[21](conclusione, peraltro, alla quale si era già pervenuti successivamente all’entrata in vigore del Decreto Bersani, benché prima dell’emanazione della legge n. 124 del 2017), l’ampliamento delle attività riconducibili alla “gestione di farmacia” giustificherebbe a pieno titolo il rilascio, in favore della società di gestione, dell’autorizzazione[22]alla apertura di nuovi esercizi commerciali aventi ad oggetto la vendita di famaci SOP, OTC e di prodotti parafarmaceutici[23].

Peraltro, dal momento che qualsiasi società, e, a fortiori, la società di gestione di farmacia, può oggi inserire nel proprio statuto, all’interno della clausola sull’oggetto sociale, la commercializzazione di tali farmaci (oltre che dei parafarmaci: prodotti omeopatici, erboristici, veterinari, cosmetici etc.)[24], non si vede perché la stessa società non possa svolgere la medesima attività per il tramite di un diverso e apposito punto vendita di propria titolarità.

E, tuttavia, occorre dare atto che la prassi operativa, avallata dagli orientamenti prudenziali del Ministero della salute[25], di diverse Amministrazioni regionali nonché delle Associazioni dei farmacisti[26], è di contrario avviso.

In particolare, aderendo ad una interpretazione strettamente letterale del secondo comma dell’art. 7 della legge n. 362 del 1991 (a mente del quale, come detto, le società in esame “hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia”) questi ultimi ritengono, all’opposto, che la titolarità di una “parafarmacia”, da parte della società di gestione di “farmacia”, non possa ritenersi legittima. 

In altre parole, le società in esame non potrebbero essere titolari di alcun esercizio commerciale diverso dalle farmacie né svolgere qualunque altra attività imprenditoriale, ravvisandosi in contrario una palese violazione di legge.

Secondo l’interpretazione da ultimo prospettata, quindi, per acquisire in forma collettiva la titolarità e la gestione di una parafarmacia occorrerebbe costituire una diversa società – alla quale potrebbero partecipare anche gli stessi soggetti già soci della società di gestione di farmacia – avente quale specifico oggetto sociale, appunto, la gestione di parafarmacia (o di più parafarmacie).

Quanto esposto finora vale senz’altro con riferimento alle farmacie cd. “private”. 

Con riferimento, invece, alle farmacie cd. “comunali”, viene in rilievo l’applicabilità di più normative, diverse ma complementari tra loro: quella di cui al Testo Unico degli enti locali (d.lgs. 267/2000) e al Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs. 175/2016); quella relativa ai contratti pubblici (d.lgs. 50/2016); quella privatistica concernente il servizio farmaceutico (l. 362/1991)[27].

Ne discende, in estrema sintesi, che i Comuni titolari di farmacie (rectius della sede farmaceutica, atteso che titolare del servizio farmaceutico è pur sempre la Regione, che ne conserva la responsabilità tramite le varie ASL), possono, oltre che gestire l’attività de qua in economia o mediante azienda speciale o consorzio, anche costituire una società di capitali partecipata dai farmacisti già in servizio presso le farmacie di titolarità comunale[28] o, ancora, affidare il servizio a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica.[29]

In ogni caso, anche per le farmacie comunali si pongono gli stessi problemi (e vengono prospettate le medesime soluzioni interpretative) che sono stati affrontati per le farmacie private, in particolare con riferimento alla portata dell’esclusività dell’oggetto sociale.[30]

Occorre, in conclusione, essere estremamente cauti, in sede di costituzione di una società avente ad oggetto sociale la gestione di una o più farmacie, nell’individuare le altre attività che detta società possa svolgere a latere di quella farmaceutica in senso stretto. 

Infatti, sebbene né la stipula dell’atto costitutivo né la sua iscrizione nel Registro delle Imprese richieda il preventivo rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 8 della l. 362 del 1991, è ben possibile che l’ASL territorialmente competente non conceda in seguito tale autorizzazione qualora ravvisi il mancato rispetto della regola dell’esclusività, con conseguente impossibilità di esercitare ex post l’attività sociale programmata.


[1]B. R. Nicoloso, La riforma normativa della disciplina delle farmacie private – legge 7 agosto 2017, n. 124 (articolo 1, commi da 157 a 160) in Rassegna di diritto farmaceutico e della salute, Milano,2018, fasc. 3, pp. 512 ss.

[2]Cfr. art. 7, comma 1, l. 362/1991 come modif. dalla l. 124/2017.

[3]All’art. 1, comma 158, della l. 124 del 2017 è infatti previsto che che l’attività di controllo non può eccedere il 20 per cento delle farmacie esistenti nel territorio della medesima regione o provincia autonoma.

[4]L’excursus storico concernente l’evoluzione della disciplina è efficacemente illustrato da P. Guida, L’oggetto sociale della società di gestione di farmacia e riflessi notarili, in  Riv. notariato, Milano, fasc.1, 2010, pp. 39 ss.

[5]Cfr. art. 112 R.D. n. 1265 del 1934.

[6]Cfr. art. 12, comma 11, l. 475/1968, che ritiene invalido il trasferimento della titolarità della farmacia senza il contestuale trasferimento della relativa azienda commerciale.

[7]Cfr. art. 7, comma 2, l. 362/1991 nella formulazione ante l. 124/2017.

[8]Cfr. art. 7, commi 2 e 3, l. 362/1991 nella formulazione ante l. 124/2017.

[9]Cfr. D.L. 223/2006 conv., con modif. dalla l. 248/2006. Si ricordi che prima dell’intervento normativo del 2006 il quinto e sesto comma dell’art. 7 l. 362/1991 prevedevano rispettivamente che  “ciascuna delle società di cui al comma 1 può essere titolare dell’esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purché la farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la società” e che “ciascun farmacista può partecipare ad una sola società di cui al comma 1”.

[10]Cfr. art. 1, comma 141, l. 124/2017, a mente del quale “l’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative iscritte in un’apposita   sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società (…)”.

[11]Ciò in contrasto con l’orientamento secondo cui l’oggetto sociale delle spa dovesse esser in ogni caso costituito da un’attività economica, non anche intellettuale o professionale, cfr. Cottino, Diritto Commerciale, I, 2, Padova, 1999, p. 218.

[12]Cfr. art. 7, comma 2, e art. 8, comma 1, l. 362/1991 come modif. dalla l. 124/2017.

[13]Da ultimo si veda T.A.R. Perugia, (Umbria) sez. I, 01/02/2018, n.78.

[14]E, precisamente, gli esercizi di vicinato (ossia quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti); le medie strutture di vendita (ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti suddetti e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti); le grandi strutture di vendita (ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti sopra indicati). Cfr. l’art. 5 del D.L. 223/2006 in combinato disposto con l’art. 4 del d.lgs. 114/1998.

[15]Ossia l’istituzione di un reparto ad hoc con l’assistenza di almeno un farmacista abilitato e iscritto (art. 5, comma 2, D.L. 223/2006).

[16]Cfr. art. 7, comma 4 bis, l. 362 del 1991, come modif. dal D.L. 223/2006 conv. in l. 248/2006.

[17]Cfr. art. 5, comma 1, D.L. 223/2006.

[18]L’art. 2, comma 16, del D.lgs. n.274/2007 ha aggiunto, all’art. 100 del d.lgs. n. 219/2006, il comma 1 bis che così recita: “I farmacisti e le società di farmacisti titolari di farmacia ai sensi dell’art. 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362, nonché le società che gestiscono farmacie comunali possono svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali, nel rispetto delle disposizioni del presente titolo. Parimenti le società che svolgono attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali”. 

[19]Cfr. art.1 D.lgs. 153/2009.

[20]Si ricordi che la vecchia “fascia B” è stata soppressa con la l. n. 388 del 2000 e i farmaci che ne facevano parte sono stati ricondotti, a seconda dei casi, nell’ambito della fascia A o della fascia C.

[21]P. Guida, “La “nuova” gestione delle farmacie: spunti operativi”, commento alla l. 124/2017, in Notariato, n. 2/2018, Milano, pp. 232 ss.; P. Guida, A. Ruotolo, D. Boggiali, in Le società per la gestione delle farmacie private, CNN studio n. 75/2018/I, pp. 5-8.

[22]Cfr. D.L. 223/2006 conv. in l. 248/2006, la quale ultima richiede, per poter effettuare la vendita al pubblico la vendita di farmaci da banco o di automedicazione, la previa comunicazione al Ministero della salute e della Regione ove ha sede l’esercizio (art. 5, comma 1).

[23]Si veda in merito la segnalazione dell’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato di cui alla nota AS413 – Vincoli all’attività degli esercizi diversi dalle farmacie autorizzati alla vendita dei farmaci SOP e OTC (Boll. 30/2007). In particolare, in detta nota l’Autorità si dimostrava dell’avviso che la previsione della esclusività dell’oggetto sociale “non dovrebbe essere interpretata nel senso che le società di farmacie non possano assumere la titolarità degli altri esercizi autorizzati alla vendita di farmaci SOP e OTC. Sarebbe, infatti, singolare che il legislatore, da un lato, consenta ai singoli farmacisti di essere titolari sia di farmacie che dei nuovi esercizi (ovvero di prestare la propria attività presso entrambe le tipologie di esercizi) e, dall’altro, precluda la stessa opportunità alle società di farmacie. Tale interpretazione appare, peraltro, confortata dalla circostanza che il citato art. 7, comma 2 della legge n. 362/1991 individua l’oggetto sociale esclusivo delle società di farmacie nella gestione di “una” farmacia, vincolo quest’ultimo che, come visto, risulta esser stato abrogato dalla legge 248/06” (p. 141).

[24]Si veda, sul punto, A. Ruotolo, D. Boggiali, Oggetto sociale di parafarmacia: requisiti dei soci ed esclusività, Quesito di Impresa n. 218-2015/I, ove gli autori rilevano che nessuna norma impone l’esclusività dell’oggetto sociale per la vendita di prodotti parafarmaceutici.

[25]Si veda ad es. la nota del Ministero della Salute (Dipartimento dell’innovazione – Direzione generale dei farmaci e dei dispositivi medici) n. 33192-P del 2.9.10, nella quale si evidenziava come le Società di farmacisti (all’epoca legittimate erano soltanto le sole società di persone e le cooperative in forma di srl) non potessero esercitare altra attività (e, dunque, non potessero essere autorizzate all’apertura di altri esercizi commerciali aventi a oggetto lo svolgimento dell’attività di parafarmacia), non sussistendo invece detto impedimento nei confronti del singolo socio persona fisica titolare di farmacia privata ovvero nei confronti del titolare della farmacia quale ditta individuale. Nella nota si legge infatti che la Direzione generale dei farmaci e dei dispositivi medici “non può che rilevare che la normativa vigente vieta a una società di farmacisti titolare di farmacia privata di esercitare altra e diversa attività”.

[26]Si veda, ad es., la Circ. Federfarma prot. n. 24 dell’11 gennaio 2007, ove già si sottolineava che “le Società di farmacisti non possono essere titolari di parafarmacie e di altri esercizi commerciali” e si prendeva atto della assoluta contrarietà della categoria alla apertura, anche da parte dei singoli farmacisti-persone fisiche titolari di farmacia, di parafarmacie che vendessero medicinali da banco.

[27]Si veda B. R. Nicoloso, La riforma normativa della disciplina delle farmacie private – legge 7 agosto 2017, n. 124 (articolo 1, commi da 157 a 160) in Rassegna di diritto farmaceutico e della salute, Milano, 2018, fasc. 3, p. 514. 

[28]Cfr. art. 10 l. 362 del 1991, che recita: “Il primo comma dell’articolo 9 della legge 2 aprile 1968, n. 475, è sostituito dal seguente: “La titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica puo’ essere assunta per la metà dal comune. Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il comune e gli anzidetti farmacisti“. 

[29]Cfr. art.113 T.U.E.L., ritenuto applicabile alla gestione delle farmacie comunali da T.A.R. Perugia, (Umbria) sez. I, 01/02/2018, n.78.

[30]Si veda TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 20.1.2012 n. 84 con nota di Maria Elena Boschi, in Sanità pubblica e privata, 2012, fasc. 4, pp. 103-111, in cui l’autrice rileva come il giudice amministrativo non avesse contestato il richiamo all’art. 7 della l. 362 del 1991 anche per le farmacie comunali in quanto “non esiste una disciplina specifica in materia dedicata alla gestione delle farmacie comunali” (p. 105).  

Si veda anche C. Cost. sent. n. 275 del 2003, che aveva dichiarato – con l’intento di rendere omogenea la disciplina delle farmacie pubbliche e private – l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. a) della l. 362/1991 nella parte in cui non prevedeva che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali fosse incompatibile (come lo era, invece, la partecipazione a società di gestione di farmacie private) con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. Si segnala, comunque, che a seguito della legge n. 124 del 2017 è stato espunto dall’art. 8 della l. 362 del 1991 il riferimento alla attività di intermediazione del farmaco quale ipotesi di incompatibilità. Sul punto, v. P. Guida, A. Ruotolo, D. Boggiali, in Le società per la gestione delle farmacie private, CNN studio n. 75/2018/I, p.3. 

In ordine, invece, alla “nuova” ipotesi di incompatibilità per le farmacie private, costituita dall’ “esercizio della professione medica” (art. 7, comma 2, l. 362 del 1991), l’art. 102 del Testo unico delle leggi sanitarie (le cui norme sono tuttora in parte in vigore) prevede che l’esercizio della farmacia (sia essa privata o comunale) “non può essere cumulato con quello di altre professioni o arti sanitarie”. 

Si veda anche T.A.R. Perugia, (Umbria) sez. I, 01/02/2018, n.78 in Rass. dir. farmaceutico 2018, fasc. 3, p. 682: “La scissione tra titolarità e gestione di una farmacia, ammessa per le farmacie comunali, non costituisce valida obiezione per contestare la necessaria compatibilità dell’oggetto sociale con la gestione di una farmacia (al fine di provvedere ad una legittima concessione di una farmacia comunale), in quanto tale scissione giustifica la deroga all’art. 11 l. 475/1968, consentendo l’affidamento a terzi della gestione della farmacia, ma non anche all’esclusività dell’oggetto sociale, il cui fondamento va rinvenuto nell’obiettivo finale di evitare conflitti di interessi che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico e, mediatamente, sul diritto alla salute (…) L’art. 1, co. 157, l. 124/2017, di riforma dell’ordinamento farmaceutico, nel confermare la titolarità di farmacie private in capo a società di capitali, impone comunque l’oggetto esclusivo della gestione della farmacia, confermando l’assunto per cui l’esercizio dell’attività farmaceutica è incompatibile con altre attività (…)”.

Andrea Bramante

Notaio in attesa di nomina, collaboratore area diritto civile Contatti: andrea.bramante@iusinitinere.it

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