giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Sospensione del procedimento con messa alla prova

 

Il processo ordinario di primo grado generalmente si suddivide in tre fasi: le indagini preliminari, l’udienza preliminare e il giudizio. Tuttavia esistono delle valide alternative a questo iter che prendono il nome di procedimenti speciali e si caratterizzano per l’assenza di uno di questi tre segmenti procedimentali. La ratio sottesa a questa disciplina è quella di realizzare una semplificazione procedimentale incentivando l’imputato, anche mediante benefici premiali, a rinunciare alla fase dibattimentale.

Vi è un gruppo di riti alternativi che si basa sulla scelta volontaria di una o di entrambe le parti, tali riti vengono perciò qualificati consensuali. Vale la pena soffermarci su un rito di recente istituzione disciplinato nel titolo V bis del VI libro e definito “sospensione del procedimento con messa alla prova”. Quali sono le caratteristiche di questo rito consensuale?

Sinteticamente possiamo affermare che l’imputato nel corso del procedimento penale può chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali ed in tal modo estinguere il reato.

Tale rito risponde all’esigenza di ridurre il fenomeno del sovraffollamento carcerario ed è subordinato al rispetto di requisiti oggettivi e soggettivi: il rito speciale può essere instaurato di fronte a reati di gravità medio-bassa puniti con la pena pecuniaria o detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ed è precluso l’accesso a quegli imputati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

L’imputato che si trova ad affrontare il lungo e tortuoso iter del processo penale che interesse persegue nel ricorrere alla sospensione del procedimento con messa alla prova? Sicuramente blocca il processo riducendo i costi economici e psicologici ad esso connessi, essenzialmente però guadagna l’estinzione del reato. Sussiste dall’altro lato un interesse pubblico alla chiusura del processo anticipata e dunque alla deflazione processuale.

La richiesta di sospensione del processo, in quanto atto personalissimo, deve provenire dall’imputato stesso o dal difensore munito di procura speciale e può essere presentato sia nel corso delle indagini preliminari sia quando l’azione penale è stata già esercitata. Nel primo caso alla volontà dell’imputato deve aggiungersi il consenso del pubblico ministero, tenuto in caso contrario, a motivare il suo dissenso. Nel secondo caso la richiesta deve essere presentata in udienza preliminare e non necessita del consenso del pubblico ministero, richiede invece una intesa con l’ufficio locale per l’esecuzione penale esterna che sarà tenuto a definire il programma di trattamento, gli strumenti per il recupero e il reinserimento dell’imputato e le possibili attività lavorative e di volontariato da svolgere. Il giudice si pronuncerà sulla richiesta in camera di consiglio sentite le parti e l’eventuale persona offesa e valuterà il rispetto delle condizioni previste dalla legge e la genuinità della volontà dell’imputato. Inoltre il giudice rigetterà la richiesta nel caso in cui ritenga inidoneo il programma di trattamento delineato o quando dagli atti del processo risultino prove sufficienti a prosciogliere l’imputato.

L’accoglimento della richiesta produce notevoli conseguenze: innanzitutto il processo e la prescrizione del reato vengono sospesi, durante il periodo di sospensione non possono essere compiute attività istruttorie, tuttavia siccome il periodo di prova potrebbe avere un esito negativo e determinare il proseguo del processo ordinario, è prevista la possibilità di assumere le prove dalle quali potrebbe derivare il proscioglimento dell’imputato e quelle che andrebbero disperse. Qual è la sorte del danneggiato che si è eventualmente costituito parte civile nel processo? Ebbene egli sarà “cordialmente” invitato ad uscire dal processo sospeso dal momento che l’attività decisoria del giudice di merito è destinata a rimanere paralizzata per un lungo periodo di tempo. Il danneggiato dovrà quindi coltivare la sua pretesa in un separato giudizio civile che non verrà influenzato dall’esito del processo penale.

Il nodo nevralgico del rito è rappresentato dalla condotta dell’imputato durante il periodo di affidamento definito anche “probation processuale”. Innanzitutto il periodo di prova ha una durata minima di dieci giorni quando il programma di trattamento prevede lavori di pubblica utilità e una durata massima di due anni per i reati puniti con la pena detentiva e di un anno per i reati puniti con la pena pecuniaria. L’imputato è osservato dagli occhi attenti e scrupolosi dell’ufficio locale per l’esecuzione penale esterna al quale spetta anche il compito di apporre eventuali modifiche al programma di trattamento inizialmente concordato e di redigere la relazione sul decorso e sull’esito del periodo di prova. Dunque l’imputato dal momento della sottoscrizione del verbale di messa in prova dovrà adempiere alle prescrizioni e agli obblighi fissati nella ordinanza di sospensione. Cosa accade terminato il periodo di sospensione?

Il giudice che ha disposto la sospensione a questo punto dovrà operare una rigorosa valutazione relativa all’esito della probation processuale sulla base del materiale conoscitivo fornitogli dall’ufficio per l’esecuzione penale esterna. Nel caso di esito positivo il giudice al termine dell’udienza in camera di consiglio dichiara l’estinzione del reato. Nel malaugurato caso di esito negativo il giudice ordina che il processo prosegua revocando tacitamente l’ordinanza di sospensione. Nel caso, certamente più grave, di condotte riprovevoli dell’imputato quali ad esempio la commissione di un reato della stessa indole di quello che ha occasionato il processo, il giudice provvede ad una revoca esplicita dell’ordinanza. La conseguenza pregiudizievole è l’impossibilità di ripresentare l’istanza di messa alla prova e la conclusione del processo con una probabile condanna definitiva a pena detentiva che andrà determinata tenendo conto del periodo di affidamento in prova già scontato.

Claudia Ercolini

Claudia Ercolini, ha ventiquattro anni ed è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti. Il suo obiettivo è accedere alla magistratura, la considera la carriera più adatta alla sua personalità, al suo istinto costante di ricercare meticolosamente le ragioni alla base di ogni problema. Svolge il tirocinio presso la Procura generale della corte di appello. Ha partecipato al progetto Erasmus in Portogallo dove ha sostenuto gli esami in lingua portoghese e ha proceduto alla scrittura della tesi. Ha deciso di fare questa esperienza all’estero per arricchirsi e scoprire come viene affrontato lo studio del diritto al di fuori dell’Italia. Ha conseguito il livello B2 di lingua inglese presso il British Council e il livello A2 di lingua portoghese. La sua tesi di laurea è relativa ad una recente legge di procedura penale: il proscioglimento del dibattimento per tenuità del fatto. Con questa tesi ha coronato quello che rappresenta il suo sogno sin da bambina: si è iscritta, infatti, a giurisprudenza proprio per la sua passione per il diritto penale, per il suo forte carattere umanistico e perché da sempre si interroga sul connesso concetto di giustizia. E ‘ membro della associazione ELSA che le ha permesso di partecipare alla “moot competition” relativa al diritto internazionale. Ha già partecipato alla stesura di articoli di giornale relativi al diritto penale e alla procedura penale. Le è sempre piaciuto scrivere, anche semplici pensieri e riflessioni, conciliare dunque la scrittura con la materia che maggiormente la fa sentire viva, rappresenta per lei una grandissima soddisfazione. Chiunque la volesse contattare la sua mail è: claudia.ercolini@virgilio.it

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