giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

Sospensione delle leggi e normativa emergenziale: l’ord. 4/2021 della Corte costituzionale

  1. Introduzione

 

“Se dal 2003 sono trascorsi sette anni prima che la Corte costituzionale esaminasse nel merito un’istanza di sospensiva, si potrebbe provocatoriamente porre il quesito se occorrerà attendere altri sette anni prima che la Corte decida di sospendere una legge”[1]. Queste considerazioni venivano svolte nella parte conclusiva di una nota all’ordinanza 18 marzo 2010, n. 107[2], della Corte costituzionale, la quale, per la prima ed ultima volta da quando alla Corte fu attribuito il potere di sospensiva degli atti legislativi nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, rigettò un’istanza cautelare. Ebbene, il 14 gennaio 2021, a 11 anni di distanza dal citato provvedimento, la Corte ha depositato l’ordinanza n. 4/2021[3], pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, del 20 gennaio 2021, n.3, con la quale, per la prima volta in assoluto, ha deciso di sospendere l’efficacia di una legge in via cautelare. Si tratta, in particolare, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta del 9 dicembre 2020, n. 11, recante misure di contenimento e gestione della pandemia da covid-19 più permissive rispetto a quelle dettate dalla normativa statale.

La vicenda che ha condotto alla pronuncia dell’ord. 4/2021 costituisce uno dei tanti momenti di scontro fra Stato e Regioni verificatisi nella gestione della pandemia[4]. Può ritenersi emblematico del livello di tensione che intercorre fra le istituzioni centrali e periferiche nella gestione dell’emergenza sanitaria il fatto che, pur in presenza della fissazione di un’udienza per la trattazione dell’istanza cautelare, e successivamente anche a seguito della sospensione cautelare della legge, la Regione legislatrice non sia intervenuta per modificare il testo della legge e tentare, così, di comporre il conflitto con il Governo. Ciò era avvenuto, in presenza della fissazione dell’udienza di discussione dell’istanza cautelare, nei casi dell’ord. 233/2014 e della sent. 160/2012, sui quali ci si soffermerà nel seguito dell’articolo e, più in generale, avviene di frequente in caso di impugnazione di una legge regionale[5].

Il giudizio di legittimità costituzionale riguardante la l.r. Valle d’Aosta 11/2020, peraltro, involge una serie di questioni in merito alla legislazione emergenziale sulle quali s’è tanto discusso, a partire dalla natura dei dpcm, che vengono qualificati quali atti necessitati dallo Stato, e che invece secondo la resistente Regione costituirebbero atti regolamentari insuscettibili di comprimere l’autonomia speciale regionale; passando per il fondamento costituzionale della ripartizione di competenze legislative ed amministrative fra Stato e Regioni nella gestione della pandemia; per arrivare alla stessa legittimità dei d.l. che si sono succeduti per regolare l’emergenza sanitaria, messa in dubbio, ma in via subordinata al mancato accoglimento delle proprie tesi, dalla Regione resistente[6].

L’udienza pubblica di trattazione del ricorso è fissata per il 23 febbraio 2021, e una decisione della Corte potrebbe chiarire almeno alcuni dei dubbi che hanno sinora circondato la gestione della pandemia. Tanto più che di recente sono sorti ulteriori dubbi di costituzionalità in merito ai dpcm, sollevati innanzi ai giudici amministrativi, che attendono anch’essi di essere decisi a breve[7], anche se all’indomani dell’ord. 4/2021 il Ministro Boccia aveva annunciato che avrebbe proposto al Consiglio dei Ministri di rinunciare al ricorso[8].

Nella vicenda che ha condotto all’inedito esercizio del potere di sospensiva, dunque, un ruolo non secondario hanno avuto proprio l’alto livello di tensione che ha caratterizzato i rapporti delle istituzioni nella gestione della pandemia ed il fatto che l’atto impugnato andasse ad incidere su un interesse fondamentale assai pregnante, quale quello alla salute pubblica, che a causa del momento storico che attraversiamo è particolarmente esposto a pregiudizi. È in questo contesto che la Corte ha utilizzato per la prima volta un potere che ha sempre gestito con cautela e la cui attivazione spesso induceva le parti del giudizio a trovare degli accordi o comunque a cercare soluzioni che evitassero una pronuncia della Consulta. Per tali ragioni, nell’articolo si ritiene opportuno esaminare, oltre al potere di sospensiva e all’ord. 4/2021, anche la specifica vicenda riguardante l’impugnazione della l.r. 11/2020 della Valle d’Aosta.

 

  1. Qualche considerazione preliminare sul potere di sospensione cautelare delle leggi

 

Prima di esaminare la vicenda in commento, giova premettere qualche considerazione sul potere di sospensiva[9] spettante al Giudice delle leggi nei giudizi in via d’azione.

Siffatto potere era, invero, già previsto dall’art. 40 legge 11 marzo 1953, n. 87, con riguardo ai conflitti di attribuzioni tra Stato e Regioni o tra Regioni, mentre soltanto con l’art. 9 legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge “La Loggia”) esso è stato introdotto anche nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale.  L’art. 9[10] cit., infatti, ha sostituito il previgente art. 35 l. 87/1953, sancendo che la Corte, d’ufficio, può sospendere l’efficacia delle leggi impugnate mediante ordinanza motivata, se dall’esecuzione di esse, o di loro parti, possa derivare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini[11].

Successivamente, nel 2008, è stata la medesima Corte, nell’esercizio del proprio potere regolamentare[12], ad integrare la disciplina legislativa, in sede di adozione delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale[13]. Per quanto riguarda la fase cautelare, segnatamente, l’art. 21[14], rubricato “Istanza di sospensione”, prevede che qualora le parti presentino istanza di sospensione spetta al Presidente della Corte, sentito il relatore, fissare l’udienza, in camera di consiglio, per la trattazione di tale istanza, nel caso in cui ravvisi l’urgenza di provvedere. Sono altresì rimesse alla discrezionalità del Presidente, l’autorizzazione all’audizione dei rappresenti delle parti e lo svolgimento di eventuali indagini.

All’indomani della l. 131/2003 la dottrina si è posta numerosi interrogativi in merito al potere da essa introdotto[15], giungendo persino a dubitare della costituzionalità della previsione del potere inibitorio per il tramite di una legge ordinaria. Secondo una tesi, infatti, bisognava chiedersi se – incidendo sull’efficacia di una legge o, secondo altra argomentazione, in virtù della riserva di legge costituzionale di cui all’art. 137 Cost. – una simile previsione non dovesse essere introdotta con una norma di rango costituzionale. Di contrario avviso, però, erano quanti ritenevano che il potere cautelare fosse un potere implicito di ogni autorità giurisdizionale, in forza del principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dagli artt. 24, 111 e 113 Cost., nonché dall’art. 6 CEDU[16]. Tuttavia, la Corte non ha, finora, mai dubitato della legittimità costituzionale di tale soluzione. Ed anzi, proprio l’introduzione del citato art. 21 delle Norme integrative è stata ritenuta sintomatica del fatto che la Corte non abbia ravvisato particolari problemi di costituzionalità[17].

Superato tale radicale dubbio, si può dire che, alla luce della giurisprudenza in materia, vi sono questioni che paiono risolte ed altre che, per contro, restano ancora aperte.

Per quanto riguarda i presupposti in presenza dei quali è possibile sospendere una legge, sussisteva il dubbio dei rapporti intercorrenti fra i requisiti posti dall’art. 35 e quelli, previsti in generale per l’attivazione della tutela cautelare, del fumus boni iuris e del periculum in mora[18]. Al riguardo, è stato osservato che, mentre la norma prevede una “tipizzazione del periculum”[19], che sussiste al ricorrere del pericolo di danno all’interesse pubblico, all’ordinamento giuridico della Repubblica ovvero ai diritti dei cittadini, non viene, invece, espressamente menzionato il fumus boni iuris. Il dubbio è stato fugato dalla Corte, che ha ritenuto di dover esercitare il proprio potere cautelare “in conformità ai principi generali che disciplinano la tutela in via d’urgenza”[20]. Secondo la Corte, dunque, il potere di sospensione di una legge può essere legittimamente esercitato soltanto qualora ricorrano congiuntamente fumus e periculum, ed il difetto anche soltanto di uno di tali requisiti comporta il rigetto dell’istanza cautelare.

Dalla formulazione dell’art. 35, poi, erano sorti ulteriori dubbi. Esso parlava espressamente di adozione “d’ufficio” dell’ordinanza di sospensione della legge impugnata, il che, comportando la configurazione di un potere officioso, aveva indotto la dottrina ad interrogarsi sull’ammissibilità dell’istanza di parte. Inoltre, era stato sostenuto che i tre presupposti della sospensiva erano pensati per rendere possibile la tutela cautelare solamente nei confronti di leggi regionali[21]. In sostanza, ci si chiedeva se le parti potessero formulare domanda di tutela cautelare e se, in particolare, potessero farlo le Regioni. Anche tali perplessità sono state superate dalla giurisprudenza della Corte, la quale non ha mai dichiarato inammissibile un’istanza di parte nei casi in cui ha preso in specifica considerazione la domanda cautelare[22], e del resto ha, poi, cristallizzato il proprio orientamento nel 2008, con l’introduzione dell’art. 21 delle Norme attuative, volto a disciplinare proprio le modalità di presentazione e di valutazione dell’istanza cautelare. Proprio da quest’ultima norma, tuttavia, emerge come l’istanza di parte non fa sorgere per la Corte un vero e proprio obbligo di provvedere, ma costituisce una mera sollecitazione dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale[23], rimettendo al Presidente della Corte la decisione sulla “urgenza di provvedere”. Né sussistono ancora dubbi sulla possibilità che l’istanza cautelare possa essere presentata da una Regione, poiché la Corte, rigettando un’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura, ha espressamente chiarito che l’art. 35 l. 87/1953 “nella parte in cui rinvia all’art. 32 della medesima legge, rende palese che la Regione può proporre istanza cautelare, ove ritenga che ne sussistano i presupposti”[24] , andando in tal modo a rafforzare la “tendenziale” parità delle parti nel giudizio di legittimità in via principale[25].

Altre perplessità erano state espresse in merito alla compatibilità dell’esercizio officioso della sospensiva con la natura di processo di parti del giudizio costituzionale in via principale, anche perché l’art. 35, a fronte di un potere officioso della Corte, nulla prevedeva in merito alle modalità di difesa e audizione delle parti, nonché al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, poiché la Corte avrebbe potuto pronunciarsi anche su profili che non erano stati dedotti nel ricorso introduttivo[26]. Si tratta, tuttavia, di problemi più teorici che pratici. Sebbene l’art. 21 delle Norme integrative preveda la mera possibilità di autorizzare l’audizione delle parti, la Corte ha finora sempre disposto tale audizione nei casi in cui ha trattato un’istanza sospensiva[27]. Inoltre, è più facile che le parti presentino un’istanza cautelare e la Corte, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, non la esamini, piuttosto che la Corte sospenda d’ufficio una legge in assenza di istanza di parte; ed infatti quest’ultima evenienza, al contrario della prima, è del tutto ignota alla casistica giurisprudenziale.

Resta tutt’ora irrisolta, invece, una perplessità sulla quale la dottrina si è interrogata, ma che non è mai stata affrontata in giurisprudenza: in caso di sospensiva di una legge statale impugnata da una Regione, la sospensione dell’efficacia è relativa o assoluta? In altri termini, è tutt’ora dubbio se, nel caso in cui una Regione impugni una legge statale, la sospensione degli effetti di tale legge valga soltanto per la Regione ricorrente o anche per tutte le altre Regioni o, ancora, per le sole Regione ricorrenti, anche se talune di esse non abbiano proposto istanza di sospensiva.

 

2.1. La giurisprudenza della Corte costituzionale

 

Passando ai precedenti giurisprudenziali, occorre rilevare che sono poche le occasioni in cui la Corte si è espressa su un’istanza cautelare. In particolare, possono essere menzionate le seguenti:

  • Le ordinanze 8 aprile 2004, nn. 116, 117, 118 e 119, che tuttavia si limitarono a prendere atto delle rinunce delle parti all’immediata pronuncia sull’istanza cautelare o delle richieste di differimento, disponendo, di conseguenza, il rinvio dell’esame di tali istanze alle udienze di trattazione del merito;

–  L’ordinanza 22 giugno 2006, n. 245[28], riguardante un’istanza cautelare avanzata dall’Emilia Romagna. In tale occasione la Corte dichiarò il non luogo a provvedere, ritenendo l’istanza non adeguatamente motivata in relazione alla sussistenza dei presupposti sanciti dall’art. 35 l. 87/1953;

  • L’ordinanza 18 marzo 2010, n. 107, con la quale per la prima volta la Corte si è pronunciata sul merito di un’istanza cautelare. In tal caso, l’istanza cautelare era stata avanzata dalla Regione Lazio nell’ambito di un ricorso avverso il d.l. 5 marzo 2010, n. 29, c.d. “decreto salvaliste”, un provvedimento molto controverso (tanto che successivamente decadde per mancata conversione in legge[29]) emanato allo scopo di riammettere alle elezioni regionali alcune liste escluse per ragioni procedurali[30]. Al fine di decidere prima che la legge trovasse applicazione, il giudizio ebbe tempi estremamente celeri: fra il deposito del ricorso e la camera di consiglio intercorsero appena 7 giorni. Al riguardo, fu osservato che, sebbene ciò sembrerebbe prima facie porsi in contrasto con l’art. 35 l. 87/1953 che, richiamando l’art. 25, richiede che trascorrano 20 giorni dalla notifica del ricorso prima dell’adozione della sospensione, occorre considerare che se si fosse rispettato il termine, nel frattempo le elezioni regionali avrebbero avuto luogo e la legge avrebbe trovato applicazione. Pertanto, si è sostenuto che tale termine può non essere rispettato “qualora sussistano ragioni che ne sconsiglino (o vietino) l’osservanza”[31]. La Corte rigettò l’istanza per mancanza del periculum in mora. Ritenendo che anche la mancanza di uno solo fra fumus e periculum comportasse il rigetto, la Corte non si pronunciò affatto sulla sussistenza del fumus, mentre il giudizio sul periculum assunse una peculiare connotazione, in quanto venne condotto con il criterio della valutazione comparativa delle conseguenze, simile a quello utilizzato dal Tribunale costituzionale federale tedesco[32]. La Corte ha, cioè, valutato se dalla sospensione del provvedimento impugnato sarebbe derivato un danno maggiore o minore rispetto a quello derivante dalla persistente efficacia del provvedimento. Ha ritenuto che la sospensione del d.l. censurato non era idonea ad eliminare la condizione di precarietà ed incertezza che avrebbe caratterizzato le elezioni regionali, in quanto successivamente il ricorso avverso il d.l. avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile o infondato[33], con pregiudizio, anche in tal caso, dei diritti fondamentali dei cittadini e dell’esito delle elezioni. Pertanto, a parità di danni, era preferibile non sospendere l’efficacia del provvedimento;

–  L’ordinanza del 10 ottobre 2014, n. 233, concernente un’istanza proposta dallo Stato avverso la l.r. Calabria 6 giugno 2014, n. 8, avente ad oggetto ancora una volta la disciplina delle elezioni regionali[34], ma che si limitò a dichiarare il non luogo a provvedere, in quanto l’istanza era stata rinunciata da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dopo che la Regione Calabria aveva modificato le disposizioni impugnate.

Una menzione merita la sentenza del 27 giugno 2012, n. 160, resa su ricorso dello Stato avverso l’intera legge della Regione Lombardia 26 settembre 2011, n. 16, riguardante la disciplina della cattura dei richiami vivi. In tal caso la Corte aveva fissato l’udienza per la discussione in camera di consiglio dell’istanza cautelare formulata dall’Avvocatura, la quale, però, successivamente all’abrogazione della legge impugnata, aveva rinunciato alla domanda cautelare[35].

Oltre a questi casi, in cui le istanze cautelari sono state espressamente prese in considerazione dalla Corte, la giurisprudenza è stata classificata in casi di sfumata considerazione e casi di mancata considerazione[36]. I primi sono quelli in cui la Corte, nella sentenza che ha deciso sul merito, ha dichiarato il “non luogo a procedere”, il “non luogo a provvedere” sull’istanza cautelare, ovvero il c.d. assorbimento dell’istanza cautelare nella decisione definitiva sul merito della questione. Invero, anche se alla differenti formule utilizzate non pare corrispondere una diversità di ratio decidendi[37], dal 2010 in poi la Corte predilige la formula dell’assorbimento, utilizzata nella maggioranza delle sentenze che considerano in maniera sfumata le istanze cautelari[38].

 

  1. La legge della Regione autonoma Valle d’Aosta del 9 dicembre 2020, n. 11 e la sua impugnazione in via principale da parte del Governo

 

La Regione autonoma Valle d’Aosta ha adottato la legge regionale 9 dicembre 2020, n. 11, pubblicata sul Bollettino Ufficiale regionale 11 dicembre 2020, n. 69[39], recante “Misure di contenimento della diffusione del virus SARSCOV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato di emergenza”, che si caratterizza per la previsione di misure di contenimento più permissive rispetto a quelle imposte dalla legislazione nazionale.

La legge detta, all’art. 2, una serie di misure che regolano lo svolgimento di svariate attività, con il dichiarato “fine di contemperare la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone con la necessità di contrastare e contenere il diffondersi del virus SARS-COV-2 sul territorio della Regione autonoma Valle d’Aosta”. La legge istituisce una Unità di supporto e coordinamento regionale, con il compito di coadiuvare il Presidente della Regione e gli altri attori interessati nelle attività e nelle decisioni di carattere strategico e operativo connesse alla gestione dell’emergenza (art. 3). Viene attribuito al Presidente della Regione un potere di ordinanza, volto a dettare le misure attuative che disciplinino nel dettaglio le attività prese in considerazione della legge, sentito il parere tecnico della predetta Unità di supporto e coordinamento (art. 4).

Al momento dell’adozione della legge, la Valle d’Aosta era classificata come c.d. zona arancione[40], mentre la autorità della Regione hanno affermato di ritenere che, alla luce dell’analisi dei dati, il territorio si trovava in una situazione da zona gialla[41]. In merito alla l.r. 11/2020, il Presidente della Regione, Erik Lavevaz, ha sostenuto che si trattava di un “testo normativo che ci consentirà di regolamentare con ordinanze, sulla base delle indicazioni fornite dall’Unità di supporto all’emergenza, la situazione in Valle d’Aosta, adattando le misure al nostro territorio e alla nostra realtà”[42]. La legge, in definitiva, delinea una sorta di sistema regionale di gestione dell’emergenza sanitaria, composto da una legge-quadro, ordinanze presidenziali attuative e un organo tecnico consultivo, quasi parallelo a quello nazionale, malgrado lo stesso Presidente, a seguito dell’adozione dell’ordinanza della Consulta in commento, abbia dichiarato che la legge non ha mai voluto essere una norma anti dpcm[43].

Ad ogni modo, contestualmente alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della l.r. 11/2020, è stata adottata l’ordinanza del Presidente della Regione 11 dicembre 2020, n. 552, recante “Misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da covid-19. Ordinanza ai sensi degli articoli 2, comma 24, e 4, comma 1, della legge regionale 9 dicembre 2020, n. 11” [44]. Occorre rilevare come già dal titolo dell’ordinanza emerge che essa è fondata soprattutto sulla legislazione regionale, tralasciando del tutto, o quasi, le disposizioni nazionali. Ciò è ancor più chiaro leggendo il preambolo dell’atto, nel quale, oltre alle delibere del Consiglio dei Ministri con le quali è stato dichiarato e prorogato lo stato di emergenza e all’ordinanza 4 dicembre 2020 del Ministro della Salute, viene richiamato soltanto il dpcm 3 dicembre 2020, ed in particolare viene evidenziato che l’art. 14, comma 4, prevede che esso trovi applicazione alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione. E’ assente, invece, qualsiasi riferimento ai dd.ll. 19 e 33 del 2020, che costituiscono l’architrave della normativa nazionale dell’emergenza sanitaria, come pure mancano richiami alla l. 833/1978, attributiva dei poteri di ordinanza sanitaria, e spesso citata nei preamboli delle ordinanze regionali.

Ebbene, il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo della competente Avvocatura Distrettuale, ha proposto ricorso al Tar avverso la predetta ordinanza, per l’annullamento punti 15, 16 e 17 del capo intitolato “Ristorazione, somministrazione di alimenti e bevande e attività ricettive”, proponendo altresì istanza di misure cautelari monocratiche ex art. 56 c.p.a.. Il Tar[45] ha rigettato l’istanza cautelare con una motivazione peculiare. Il decreto ha rimarcato espressamente l’esistenza di un rimedio cautelare esperibile in sede di giudizio costituzionale in via principale e, pur ritenendo la l.r. 11/2020 “verosimilmente di dubbia costituzionalità”, ha preferito non sospendere l’ordinanza presidenziale 552/2020 in quanto essa dettava misure più restrittive della legge regionale, con la conseguenza che una sospensione dell’ordinanza avrebbe comportato il riespandersi della “più ampia e liberale disciplina” legislativa. Infine, il Tar ha fatto anche un riferimento al principio della certezza del diritto, e alle ripercussioni negative che l’eccessiva instabilità normativa produce nei confronti di esercenti di attività commerciali e della cittadinanza tutta.

Dalla motivazione del decreto, insomma, pare evincersi quasi un’esortazione ad impugnare la legge regionale innanzi alla Consulta, onde eliminare in radice il fondamento normativo di rango primario che consente l’adozione di ordinanze contenenti misure meno restrittive di quelle previste a livello nazionale, e a richiederne la sospensione cautelare, per impedire la produzione, anche solo temporanea, di effetti ad una legge sospettata di porsi in contrasto con la Costituzione.

Il 18 dicembre 2020, lo stesso giorno in cui il Tar rigettava l’istanza di sospensiva dell’ordinanza 552/2020, il Consiglio dei Ministri si riuniva e deliberava l’impugnazione della legge in argomento[46]. In particolare, secondo l’organo collegiale del Governo, la legge eccedeva le competenze statali e si poneva in contrasto con la disciplina dettata dallo Stato in materia di contenimento e gestione dell’emergenza sanitaria, violando così gli artt. 117, 118 e 120 Cost.. Inoltre, proprio “l’introduzione di misure ampliative e derogatorie” in un momento di crescita dei contagi, unitamente al timore “di esternalità negative per l’intero sistema sanitario nazionale, ancor più gravi in caso di emulazione da parte di altre regioni”[47], ha indotto il governo a richiedere la sospensione cautelare ex art. 35 l. 87/1953 della legge impugnata.

Il 21 dicembre il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell’Avvocatura Generale, ha notificato e depositato in cancelleria il ricorso ai sensi dell’art. 127 Cost. avverso la l.r. 11/2020[48], deducendo tre motivi di gravame, di cui il primo risulta essere il più pregnante ed il più articolato, mentre gli altri due riguardano singole disposizioni della legge impugnata[49]. Con il primo motivo, in particolare, il Governo sostiene che la stessa adozione della l.r. 11/2020 ha comportato la violazione della competenza esclusiva statale in materia di profilassi internazione e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ex art. 117, comma 2, lett. q) e m), Cost., la violazione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, ex art. 117, comma 3, Cost., la violazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ex art. 118 Cost., la violazione del principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost..

Viene effettuata una ricostruzione della normativa statale in materia di contenimento e gestione dell’emergenza sanitaria, rimarcando come, in ragione dell’estensione mondiale del contagio, la gestione della pandemia non può essere rimessa a Regioni e Province autonome, ma deve necessariamente essere attribuita allo Stato, con conseguente “parziale attrazione allo Stato di funzioni amministrative, per la necessità di garantire l’unitaria gestione della situazione di emergenza epidemiologica”, sulla base dell’art. 118 Cost.. In merito alla competenza legislativa, nel ricorso viene sostenuto che “i decreti-legge e i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che si sono succeduti dall’inizio dell’emergenza sanitaria costituiscono l’esplicazione dei principi costituzionali (…) che regolano il riparto delle competenze in materia”, mentre alle Regioni è attribuito, in base al principio di sussidiarietà, un ruolo solo integrativo, mai primario, e solo al ricorrere di determinate condizioni stabilite dalla legge nazionale. E si precisa che, in ogni caso, le Regioni, in difetto di un titolo di competenza legislative, possono intervenire esclusivamente in via amministrativa. In tale contesto la legislazione emergenziale, di competenza statale, ha individuato i dpcm (che vengono peraltro qualificati come atti necessitati[50]) quali provvedimenti preposti all’adozione di misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica, al ricorrere di situazioni di pericolo predeterminate dalla legge medesima. E siccome i dpcm sono adottati dopo aver sentito il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, si ritiene garantito il rispetto del principio di leale collaborazione.

Nel ricorso si sostiene che, in violazione di tale quadro normativo, nonché in assenza di qualsivoglia norma dello statuto speciale regionale che possa fondare tale deroga alla normativa statale emergenziale[51], la Valle D’Aosta è intervenuta con legge, dettando unilateralmente – e dunque in violazione anche del principio di leale collaborazione oltre che del riparto di competenze legislative – le misure di contenimento applicabili sul proprio territorio, e così cristallizzando “la disciplina anche a fronte di futuri, e in ipotesi più restrittivi, interventi statali”. Per tali motivi si chiede di dichiarare incostituzionale l’intera legge e si passa, successivamente, ad individuare le ragioni per cui anche singole disposizioni di essa contrasterebbero con la Costituzione.

Infine, viene proposta istanza di sospensione cautelare della legge impugnata. Viene invocato l’esercizio del “pur eccezionale” potere di sospensiva della Corte, richiamando i presupposti del pericolo di pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini e per l’ordinamento giuridico della Repubblica. Ciò in quanto la legge, con la previsione di misure più liberali di quelle sancite a livello nazionale, determina “gravi rischi per la salute pubblica”, tanto più che essa, in quanto legge e non mero atto amministrativo, in ragione della sua forza passiva, è “idonea a fare da argine all’applicazione di nuove misure statali”, a prescindere dal fatto che esse siano introdotte con dpcm, con ordinanze ministeriali o con legge. Viene citato poi, il menzionato decreto cautelare del Tar Valle d’Aosta che ha ritenuto di non sospendere l’ordinanza attuativa della legge, potendo essa essere impugnata innanzi alla Corte costituzionale e da quest’ultima sospesa. Infine, la difesa erariale fa riferimento al fatto che l’aver adoperato lo strumento della legge consente che misure derogatorie e meno rigorose di quelle nazionali abbiano efficacia per periodi “anche non brevissimi, e comunque certamente idonei ad incidere sull’andamento dell’epidemia”, soprattutto se, ove la l.r. 11/2020 non fosse sospesa, altre Regioni intraprendano iniziative analoghe, con pregiudizio dell’integrità dell’ordinamento giuridico e della salute pubblica.

 

  1. La decisione della Corte costituzionale

 

L’istanza cautelare proposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri è stata discussa, con audizione degli avvocati delle parti, nella camera di consiglio del 13 gennaio 2021.

Questo dato apparentemente banale ci dice già due cose. La prima è che la Corte ha dato continuità alla prassi virtuosa di disporre l’audizione delle parti[52], malgrado ciò non sia obbligatorio ai sensi dell’art. 21 delle Norme integrative, nel pieno rispetto del principio del contradditorio. La seconda è che in questo caso, a differenza di quanto avvenne nel caso dell’ord. 107/2010, dalla notifica del ricorso alla discussione dell’istanza cautelare sono trascorsi ventitré giorni. Il che pare avallare la fondatezza della citata tesi secondo la quale il termine dilatorio di venti giorni fra la notifica del ricorso e l’adozione dei provvedimenti sospensivi è derogabile soltanto al ricorrere di particolari ragioni che ne impediscano l’osservanza[53].

Un ulteriore dato suggerisce una terza cosa. Nel prendere in esame l’istanza, la Corte scrive che l’Avvocatura “sollecita” la sospensione della legge impugnata[54]. L’utilizzo di tale espressione pare confermare che la Corte è ormai ferma nell’interpretare il potere di sospensiva alla stregua di un potere d’ufficio, che le parti hanno la possibilità, appunto, di sollecitare, ma che poi viene concretamente attivato soltanto quando il Presidente ritenga la sussistenza dell’urgenza di provvedere. Senza che sorga, per la Corte, un vero e proprio obbligo di provvedere, al contrario di quanto accade quando le parti invece di “sollecitare”, propongono una vera e propria domanda.

Passando, in maniera più specifica, al contenuto dell’ord. 4/2021, si può rilevare, anzitutto, come essa confermi che per poter esercitare il potere di sospensiva di una legge debbano essere presenti i due requisiti richiesti nella generalità dei giudizi cautelari: fumus boni iuris e periculum in mora. Sotto questo aspetto, l’ordinanza si pone in continuità con l’ord. 107/2010, che infatti viene anche richiamata quando si fa riferimento alla necessità della sussistenza del fumus[55].

Per quanto riguarda il fumus, nel caso di specie la Corte ne ha ravvisato la sussistenza in quanto la gestione ed il contenimento della pandemia implicano “interventi rientranti nella materia della profilassi internazione di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost”[56]. In tal modo, la Corte ha accolto un’argomentazione che era già stata sostenuta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza[57] per giustificare la competenza legislativa statale esclusiva in materia di gestione e contenimento dell’emergenza sanitaria. Non vengono menzionati, invece, gli altri parametri invocati dal ricorrente, ossia l’art. 117, comma 2, lett. m) Cost., il comma 3 del medesimo articolo in relazione alla materia della tutela della salute, e gli artt. 118 e 120 in relazione ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, e al principio di leale collaborazione. Siccome la valutazione del fumus costituisce un giudizio sulla probabile fondatezza del ricorso, ci si può chiedere se tale mancata menzione significa che la violazione della competenza esclusiva statale in materia di profilassi internazionale sia stata ritenuta esistente con maggiore probabilità rispetto agli altri vizi di legittimità costituzionale dedotti nel ricorso[58]. Ma non è detto che sia così, anche perché, invero, un riferimento al principio di leale collaborazione, come si sta per dire, è contenuto in una parte successiva della motivazione.

In merito al periculum, la Corte ha ritenuto sussistenti sia il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, sia il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini[59]. Ciò in quanto la l.r. 11/2020, recando misure meno rigorose rispetto a quelle nazionali, adottate “nell’esercizio della predetta competenza esclusiva”, “espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità” a prescindere da quanto stabilito dalle ordinanze regionali attuative[60]. In tal modo sono state rigettate alcune eccezioni della difesa della Regione, che sosteneva l’insussistenza del periculum alla luce della classificazione del territorio come zona gialla e del fatto che le ordinanze presidenziali contenevano misure tali da eliminare comunque ogni pregiudizio[61]. Ancora sul periculum, il Giudice delle leggi aggiunge che, in ragione della diffusività del covid-19, anche un aggravamento del rischio a livello soltanto locale è “idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”[62].

Quello alla gestione unitaria della pandemia viene qualificato, dunque, come un interesse pubblico. Ci si può però chiedere se una legge che si ponga in contrasto con la predetta esigenza non vada a recare un vulnus, invece, all’ordinamento giuridico della Repubblica, come era stato prospettato dall’Avvocatura nel ricorso. Tanto più che la stessa Corte ha in passato ritenuto che, ai sensi degli artt. 5, 117, comma 1, e 120, comma 2, Cost., lo Stato sia portatore di una “istanza unitaria” al cui pieno soddisfacimento è preposto[63]. Istanza unitaria che peraltro, in relazione alla gestione dell’emergenza sanitaria da covid-19, pare essere sottesa ad una lettura che il Consiglio di Stato ha dato della normativa emergenziale, sostenendo che in presenza di emergenze di carattere nazionale, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, “vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza”[64]. Va però detto che, d’altro canto, proprio sul requisito del “rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico” si erano appuntate le perplessità di chi vi aveva ravvisato il fantasma dell’interesse nazionale di cui al previgente Titolo V[65]. Per il futuro, sarà quindi interessante osservare quali ipotesi verranno qualificate come pregiudizievoli per l’interesse pubblico e quali per l’ordinamento della Repubblica, al fine di cogliere la linea di demarcazione fra le due fattispecie.

L’ordinanza si chiude con la considerazione che siccome nella fase cautelare non è possibile condurre una “verifica analitica delle singole disposizioni” della legge impugnata, nelle more della decisione sul ricorso, va sospesa l’intera legge[66]. A fronte dei riscontrati rischi di grave ed irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico ed ai diritti dei cittadini, la Corte ha quindi ritenuto preferibile sospendere l’efficacia anche di disposizioni che potrebbero poi rivelarsi non illegittime.

Se l’ord. 4/2021 contiene, come detto, plurime conferme riguardanti le modalità di esercizio del potere di sospensiva per come delineato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, essa fa però sorgere anche un dubbio.

A differenza dell’ord. 107/2010, infatti, la valutazione sulla sussistenza del periculum non viene condotta sulla base di una espressa valutazione comparativa delle conseguenze. Tale giudizio è stato condotto in maniera analitica nel precedente del 2010, ed è stato sintetizzato nella conclusiva formula: “nella fattispecie non è possibile affermare che sia prevalente il danno derivante dal perdurare dell’efficacia del decreto-legge censurato”[67], ove il termine di comparazione era proprio il danno derivante dalla sospensione. Nella motivazione della pronuncia in commento, invece, non viene preso in considerazione il danno che potrebbe derivare dalla sospensione della legge impugnata qualora essa poi si rivelasse legittima, che è soprattutto il pregiudizio alle attività economiche che avrebbero potuto svolgersi in base alla normativa regionale e che sono invece vietate da quella nazionale. Si tratta di un interesse comunque dotato di copertura costituzionale ex art. 41 Cost..

Ci si può interrogare sulle ragioni di tale differente metodologia decisionale.

Si potrebbe ritenere che la valutazione comparativa delle conseguenze, nell’ord. del 2010, sia stata effettuata in ragione delle peculiarità di tale caso, connotato dalla “condizione di precarietà che caratterizza l’imminente competizione elettorale, in ragione della vigenza di un decreto-legge non ancora convertito ed al momento già oggetto di ulteriore ricorso in via principale dinanzi a questa Corte”[68]. In quel caso la sospensione della legge avrebbe inciso direttamente sull’esercizio del diritto di voto e addirittura, potenzialmente, sull’esito delle elezioni. Una identica condizione di precarietà non caratterizzava invece l’impugnazione della l.r. 11/2020, poiché in caso di sospensione di essa si sarebbe semplicemente avuta una riespansione della normativa nazionale. Oppure, si potrebbe sostenere che la Corte abbia comunque effettuato una implicita valutazione comparativa delle conseguenze ma avendo riguardo al solo interesse collettivo alla tutela della salute. Si potrebbe leggere in tal senso la considerazione che la l.r. impugnata “espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità”[69], e che quindi, anche se non viene esplicitato, è prevalente il pregiudizio ai diritti dei cittadini e all’interesse pubblico in caso di sua perdurante efficacia. Si tratterebbe però di un giudizio comparativo in qualche modo monco, che non avrebbe preso in considerazione tutti gli interessi costituzionali coinvolti, o che comunque postulerebbe l’assoluta prevalenza di un interesse costituzionale su altri, il che non pare conforme agli insegnamenti della Corte in materia di bilanciamento di diritti fondamentali[70]. Si tratta forse di un’opzione un po’ fantasiosa. Probabilmente, nel silenzio delle norme, per capire se a seguito dell’ord. 107/2010 la Corte abbia voluto adottare la valutazione comparativa delle conseguenze come ordinaria metodologia decisionale o se invece sia stata una modalità valutativa legata alle peculiarità del caso esaminato, bisognerà attendere le prossime pronunce in materia. La motivazione dell’ord. 4/2021, tuttavia, farebbe propendere per la seconda soluzione.

 

[1] P. Vipiana, “La prima pronuncia della Corte costituzionale sul merito di un’istanza di sospensiva delle leggi”, 2010, in Le Regioni, disponibile qui. Va dato atto che la profezia si è pienamente avverata, in quanto l’A. concludeva sostenendo che, visto “l’atteggiamento assai cauto” della Corte, probabilmente si sarebbe dovuto attendere anche di più.

[2]  E’ possibile leggere per esteso l’ordinanza 107/2010 qui.

[3] È possibile leggere per esteso l’ordinanza 4/2021 qui.

[4] Gli episodi in cui Stato e Regioni si sono posti in contrasto fra loro sono ormai, dall’inizio della gestione della pandemia, innumerevoli. Possono citarsi, sia per il risalto mediatico che hanno avuto ma soprattutto per essere sfociati in importanti pronunce e pareri della giustizia amministrativa, l’ordinanza del Presidente della Regione Abruzzo del 6 dicembre 2020, n. 106, che dequotava la classificazione del territorio da zona arancione a zona gialla, sospesa poi dal Tar L’Aquila, Sez. I, decreto cautelare monocratico 11 dicembre 2020, n. 241; l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, che consentiva la ripresa delle attività di bar e ristoranti con servizio all’aperto, ritenuta illegittima dal Tar Calabria, Sez. I, sentenza 9 maggio 2020, n. 841; l’ordinanza del Sindaco di Messina del 5 aprile 2020, n. 105, che imponeva a chiunque facesse ingresso in Sicilia tramite il porto di Messina, di registrarsi almeno 48 ore prima dell’ingresso nel sistema di registrazione online del comune ed attendere il rilascio da parte di esso, per mezzo della polizia municipale, di un nulla osta allo spostamento, sfociata nell’annullamento straordinario ex art. 138 d.lgs. 267/2000 con dpr 9 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 aprile 2020, n. 96, e proprio nell’ambito del predetto procedimento di annullamento era stata sostenuta l’illegittimità dell’ordinanza da parte di Consiglio di Stato, Sezione I, parere del 7 aprile 2020, n. 735. Più di recente, e sempre a titolo meramente esemplificativo, si possono citare i contrasti sorti con la Regione Lombardia in merito ai criteri di classificazione delle regioni e alla diatriba sulle responsabilità relative all’erroneità dei dati sul contagio; l’ordinanza del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano del 15 gennaio 2021, n. 2, che prevedeva misure più liberali rispetto a quelle applicabili al territorio in base alla normativa statale, salvo poi, alla luce della grave situazione sanitaria del territorio, annunciare l’adozione di misure più restrittive, cfr. il comunicato della Giunta provinciale del 26 gennaio 2021, “Covid-19, in arrivo regole più restrittive in Alto Adige”.  Annuncio al quale ha, effettivamente, fatto seguito l’adozione di misure più restrittive da parte dell’ordinanza del Presidente della Provincia autonoma del 28 gennaio 2021, n.3.

[5] A tal riguardo cfr. F. Dal Canto, “La Corte e lo ius superveniens: esplosione e crisi del giudizio di costituzionalità in via principale”, 2014, disponibile qui.

[6] Per tale ricostruzione della Regione Valle d’Aosta cfr. i “Ritenuto” nn. 17 e 18 dell’ord. 4/2021.

[7] Si veda, in particolare,  Consiglio di Stato, ordinanza del 15 gennaio 2021, n. 115, che ha accolto l’appello avverso il rigetto di misure cautelari ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., ritenendo necessaria una sollecita definizione del giudizio nel merito da adottarsi entro il 10 febbraio o comunque il prima possibile, “anche in relazione ai dedotti profili di illegittimità costituzionale”. L’intero sistema delle fonti di gestione dell’emergenza era già stato ritenuto incostituzionale prima da Gdp Frosinone, sentenza del 29 luglio 2020, n. 516, e successivamente da Trib. Roma, Sez. VI, ord. 16 dicembre 2020, quest’ultima definita “discutibile” in un articolo di G. Tropea, “La pandemia, i DPCM  e il giudice “untorello” (breve nota a Trib. Roma, Sez. VI, ord. 16 dicembre 2020), 30 dicembre 2020.

[8]Cfr. l’articolo “Emergenza Covid-19 e leale collaborazione: Boccia, proporrò ritiro impugnativa su legge Valle d’Aosta”, in Regioni.it, n. 3985 del 20 gennaio 2021.

[9] Cfr. P. Vipiana, “Il potere di sospensiva delle leggi nell’ordinamento costituzionale italiano”, Cedam, 2008; A. Vuolo, “La tutela cautelare nei giudizi costituzionali”, Jovene, 2009.

[10] Cfr. P. Caretti, “Il contenzioso costituzionale. Commento all’art. 9”, in G. Falcon (a cura di), “Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131”, Il Mulino, 2003; E. Lamarque, “Commento all’art. 9” in P. Cavaleri – E. Lamarque (a cura di), “L’attuazione del nuovo Titolo V, Parte seconda, della Costituzione. commento alla legge “La Loggia”(Legge 5 giugno 2003, n. 131)”, Giappichelli, 2004; C. Pinelli, “Commento all’art. 9”, in AA.VV. (a cura di), Legge “La Loggia”. Commento alla L. 5 giugno 2003, n. 131 di attuazione del Titolo V della Costituzione, Maggioli, 2003; M. D’Amico, “Le modifiche al processo costituzionale nell’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131”, in B. Caravita (a cura di), “I processi di attuazione del federalismo in Italia”, Giuffrè, 2004.

[11]Il testo attualmente vigente dell’art. 35 l. 87/1953, per come novellato dall’ art. 9 l. 131/2003, prevede che: Quando è promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte costituzionale fissa l’udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all’articolo 25, d’ufficio può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 40. In tal caso l’udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall’udienza di discussione”. Il contenuto del potere della Corte, consistente nella sospensione delle leggi impugnate mediante ordinanza motivata, si desume dal rinvio all’art. 40, ai sensi del quale: “L’esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero tra Regioni può essere, in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte”.

[12] È l’art. 22, comma 2, l. 87/1953, a prevedere che “Norme integrative possono essere stabilite dalla Corte nel suo regolamento”. Inoltre, ai sensi dell’art. 14, comma 1, l. cit., “La Corte può disciplinare l’esercizio delle sue funzioni con regolamento approvato a maggioranza dei suoi componenti. Il regolamento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale”.

[13] La Corte costituzionale ha approvato le nuove Norme integrative con la deliberazione del 7 ottobre 2008, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7 novembre 2008, n. 261. Esse hanno soppiantato le previgenti Norme integrative, adottate con deliberazione del 16 marzo 1956 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale del 24 marzo 1956, n. 71, già modificate con la deliberazione del 10 giugno 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 2004, n. 151. Da ultimo, le Norme integrative del 2008 sono state novellate con deliberazione del 8 gennaio 2020, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del  22 gennaio 2020, n. 17. In merito alle norme Integrative del 2008 cfr. E. Lamarque, “Le nuove norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, in Diritto e società, 1/2009; U. Adamo, “Le nuove “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”: la via principale”, 2011, disponibile qui; A. Rauti, “Le nuove “norme integrative”della Corte fra collegialità e celerità del giudizio costituzionale”, 2010, disponibile qui.

[14] L’art. 21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prevede che:“Ove sia proposta istanza di sospensione ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il Presidente, sentito il relatore, convoca la Corte in camera di consiglio qualora ravvisi l’urgenza di provvedere. Con il medesimo provvedimento il Presidente può autorizzare l’audizione dei rappresentanti delle parti e lo svolgimento delle indagini ritenute opportune. La cancelleria comunica immediatamente alle parti l’avvenuta fissazione della camera di consiglio e l’eventuale autorizzazione all’audizione”.

[15] Non sono mancate critiche alla formulazione all’art. 35, tanto che al riguardo si è parlato di “intrinseca vaghezza concettuale”, cfr. T. Martines – A. Ruggeri – C. Salazar, “Lineamenti di diritto regionale”, Giappichelli, 2005.

[16] Per una più ampia disamina di tale questione, nonché delle altre problematiche rilevate dalla dottrina in merito all’art. 35 l. 87/1953, per come sostituito dall’art. 9 cit., ed alle quali di seguito, nel testo, si faranno soltanto dei brevi cenni, cfr. M. Salvago, “Il potere cautelare della Corte costituzionale nel giudizio in via d’azione”, 2010, disponibile qui.

[17] Si veda, in tal senso, A. Vuolo, “Crollo di un altro antico feticcio (Nota a ordinanza n. 107/2010 della Corte costituzionale)”, 2010, disponibile qui.

[18] Ad es. S. Pajno, “Rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale d’interesse delle Regioni e degli enti locali (Marzo-Apile 2004), in Nuove Autonomie, 2004.

[19] M. Salvago, cit., pag. 31.

[20] Cfr. C. Cost., ord. 107/2010, al “considerato” n. 7.

[21] Cfr. U. Adamo, cit., pag. 9.

[22] Si vedano le ordinanze 8 aprile 2004, nn. 116, 117, 118 e 119, nonché l’ordinanza 22 giugno 2006, n. 245.

[23] M. Salvago, cit, pagg. 34 e ss.; A. Rauti., cit., pag. 16; U. Adamo, cit., pagg. 10-11; P. Vipiana, “Osservazioni critiche sulla prassi relativa al potere di sospensiva delle leggi nei giudizi di costituzionalità in via principale, 2010, disponibile qui. In giurisprudenza, tale concezione emerge soprattutto dall’ord. 245/2006, che aveva dichiarato il non luogo a provvedere sull’istanza cautelare in quanto la ricorrente Regione Emilia Romagna aveva omesso “di svolgere argomenti in grado di indurre questa Corte ad eventualmente adottare, d’ufficio, i provvedimenti di cui agli artt. 35 e 40 della legge n. 87 del 1953”.

[24] Così, C. Cost., ord. 107/2010, al “considerato” n. 6. L’art. 32 l. 87/1953 disciplina la proponibilità del giudizio di legittimità costituzionale in via principale da parte delle Regioni.

[25] A. Vuolo, Crollo di un altro antico feticcio, cit., pag 2.

[26] Cfr. P. Vipiana, Osservazioni critiche, cit., pag. 581 e ss. L’A. riporta, fra l’altro, che G. Falcon, Introduzione, cit., pag. 17, in merito alla possibilità che la Corte si pronunci in via officiosa senza che le parti possano esprimere la propria posizione, parla di “una sorta di mostruosità giuridica”.

[27] Ciò si evince dalle ordinanze della Corte che hanno ad oggetto le istanze cautelari presentate dalle parti. Nell’ord. 116/2004 si legge: “uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Salvatore Di Mattia per la Regione Emilia-Romagna, Lorenzo Bruno Molinaro per il Comune di Ischia e per il Comune di Lacco Ameno, Nicolò Paoletti per il Comitato per la tutela dei consumatori e dell’ambiente – CODACONS e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri”. Nell’ord. 117/2004 si legge: “uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana”. Nell’ord. 118/2004 si legge: “uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Salvatore Di Mattia per la Regione Friuli-Venezia Giulia”. Nell’ord. 119/2004 si legge: uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche”. Nell’ord. 245/2006 si legge:uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna”. Nell’ord. 107/2010 si legge: “uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli per Caravale Mario ed altri, Gianluigi Pellegrino per il Movimento difesa del cittadino (MDC) ed altro, Luca Di Raimondo per Perugia Maria Cristina ed altro, Federico Sorrentino per la Regione Lazio e gli avvocati dello Stato Michele Dipace e Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri”. Nell’ord. 233/2014 si legge: “con decreto dell’8 settembre 2014, il Presidente di questa Corte ha fissato la discussione sull’istanza di sospensione nella camera di consiglio del 24 settembre 2014; che nessuno si è costituito nell’ambito della presente fase cautelare del giudizio”. Nell’ord. 4/2021 si legge: “uditi gli avvocati dello Stato Sergio Fiorentino e Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste”.

 

[28] Per un commento a tale ordinanza, si veda P. Milazzo, “L’impugnativa regionale del “codice dell’ambiente”: un’occasione per qualche riflessione sulla struttura e i limiti del potere di sospensione delle leggi nell’ambito dei giudizi in via d’azione introdotti dalla Regioni”, 2007, disponibile qui.

[29] Il d.l. 29/2010 è decaduto a causa della mancata conversione da parte della Camera dei deputati, nella seduta del 13 aprile 2010, come si evince dal comunicato del Ministro della Giustizia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2010, n. 86.

[30] P. Vipiana, La prima pronuncia, cit, pag. 1.

[31] Ibidem, pag. 3.

[32] P. Vipiana, La prima pronuncia, cit, pag. 6.

[33] Al riguardo A. Vuolo, Crollo di un altro antico feticcio, cit., pag. 6, ipotizza una connessione tra fumus e periculum, sostenendo che se vi fosse la certezza dell’incostituzionalità del provvedimento impugnato, allora la gravità del danno derivante dalla sua applicazione sarebbe di certo maggiore di quella derivante dalla sospensione di esso.

[34] Per un commento a tale vicenda cfr. P. Vipiana, “Un’altra volta la Corte costituzionale esamina specificamente (ma non nel merito) un’istanza di sospensiva di una legge, 2015, disponibile qui. In particolare, viene rilevata l’affinità “ratione materiae” con la predetta ord. 107/2010, osservando come i giudizi di impugnazione di leggi elettorali di imminente applicazione costituiscano “un ambito ottimale d’esercizio” del potere di sospensione dell’efficacia della legge.

[35]  Ciò si evince dal punto 1.4 del “Ritenuto in fatto”, ove si legge “che con nota depositata in data 3 gennaio 2012, dopo che già era stata fissata l’udienza camerale per la discussione della detta istanza sospensiva, la Avvocatura dello Stato, dato atto che la legge censurata era stata abrogata (…) ha espressamente dichiarato di rinunziare alla formulata istanza cautelare”. 

[36]  P. Vipiana, Osservazioni critiche, cit., pagg. 571 e ss., ove può rinvenirsi una compiuta catalogazione delle pronunce della Corte fino al 2010.

[37] Al riguardo, infatti, è stato osservato che si tratta di un problema di formulario, di scarsa rilevanza, cfr. A. Cerri, “Il potere cautelare nei giudizi principali alle sue prime prove”, in Giur. cost., 2006.

[38] La formula dell’assorbimento viene utilizzata nelle sentenze 10 giugno 2011, n. 182; 15 giugno 2011, nn. 189 e 190; 12 ottobre 2011, n. 263; 19 dicembre 2012, n. 299; 20 marzo 2013, n. 46; 5 giugno 2013, n. 121; 19 luglio 2013 n. 220; 14 novembre 2013, n. 273; 13 marzo 2014, n. 44;  16 giugno 2016, n. 141;  16 giugno 2016, n. 145; 24 giugno 2016, n. 155; 18 gennaio 2018, n. 5; 27 giugno 2018, n. 137; 20 luglio 2018, n. 168; 4 ottobre 2018, n. 183.  Viene utilizzata la formula del non luogo a provvedere nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 311. Nella sentenza 15 giugno 2011, n. 187 si legge che “non mette conto esaminare se ricorrano o meno gli estremi” per la sospensione.

[39] Disponibile qui.

[40] Tale classificazione era stata adottata con ordinanza del Ministero della Salute del 5 dicembre 2020, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Modifica della classificazione delle Regioni Campania, Toscana, Valle d’Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano. (20A06782)”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 dicembre 2020, n. 303.

[41] Cfr. il comunicato stampa della Giunta regionale Valle d’Aosta, 11 dicembre 2020, “Il governo regionale presenta l’Ordinanza in attuazione della nuova legge regionale”.

[42] Ibidem.

[43] Cfr. l’articolo “Emergenza Covid-19 e leale collaborazione: Boccia, proporrò ritiro impugnativa su legge Valle d’Aosta”, in Regioni.it, n. 3985 del 20 gennaio 2021, disponibile qui.

[44] L’ordinanza del Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta n. 552/2020 può essere reperita qui.

[45]  Cfr. Tar Valle d’Aosta, Sez. unica, decreto cautelare monocratico del 18 dicembre 2020, n. 41, dal quale sono tratti i due successivi virgolettati riportati nel testo.

[46] Cfr. il Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 85 pubblicato il 19 dicembre 2020.

[47] I virgolettati sono tratti dalla banca dati sulle leggi regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie, ove è possibile consultare le motivazioni delle impugnative delle leggi regionali. La motivazione dell’impugnativa delle l.r. 11/2020 è disponibile qui.

[48] Il ricorso è stato iscritto al n. 101 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, del 30 dicembre 2020, n. 53.

[49] Ciò è comprovato dal fatto che il primo motivo sia anche quello, per così dire, quantitativamente più rilevante, occupando circa sedici delle diciannove pagine dedicate alle motivazioni del ricorso della difesa erariale. Con il secondo motivo la difesa erariale si duole del fatto che l’art. 2, comma 23, della l.r. violerebbe l’art. 25, comma 2, Cost., introducendo, per il mancato rispetto delle misure imposte, delle sanzioni non sufficientemente determinate e specifiche. Con il terzo motivo si sostiene che l’art. 3, comma 1, lett. a), attribuirebbe all’Unità di supporto e coordinamento per l’emergenza covid-19 delle competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza, che in virtù dell’art. 44 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta (l. cost. 26 febbraio 1948, n. 4) spettano esclusivamente al Presidente della Regione per delega del Governo, violando così la competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, comma 2, lett. h), Cost..

[50] Nel ricorso si legge che il d.l. 19/2020 prevede “la delega dell’adozione di una serie di misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 a una tipologia di atto – il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – ascrivibile (con ogni probabilità) alla categoria dottrinale degli <<atti necessitati>>, la cui adozione (…) è subordinata al riscontro di situazioni di pericolo predeterminate dalla stessa norma attributiva del potere” (cfr. pag. 6).

[51] Nel ricorso viene sostenuto, in particolare, che la possibilità di fondare la competenza regionale a derogare la disciplina statale nell’autonomia statutaria è smentita dall’art. 35 delle Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle D’Aosta (l. 16 maggio 1978, n. 196), il quale, nel trasferire alla Regione le funzioni amministrative già di competenza degli organi statali in materia di “igiene, sanità, assistenza ospedaliera e assistenza profilattica”, fa salve le eccezioni delineate dall’art. 36, ai sensi del quale restano ferme le competenze statali in ordine, fra l’altro, “ai rapporti internazionali in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera ivi compresa la profilassi internazionale” (cfr. pagg. 9-10).

[52] Cfr. nota n. 27.

[53] Cfr. nota n. 31.

[54] Cfr. il “ritenuto” n. 12 ed il “considerato” n. 2 dell’ordinanza in commento.

[55] Cfr. il “considerato” n. 4.

[56] La citazione è tratta dal “considerato” n. 5.

[57] Si veda, in particolare, Tar Calabria, Sez. I, sentenza 9 maggio 2020, n. 841, ove, al punto 18.2 della motivazione, viene sostenuto che “Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale». Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile»”.

[58] La sentenza del Tar Calabria citata aveva anch’essa fatto riferimento ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione per giustificare, a seguito dell’avocazione delle funzioni amministrative, l’allocazione della potestà legislativa in capo allo Stato in materie di competenza concorrente, ritenendo che il fatto che i dpcm sono adottati sentendo i Presidenti di Regione o il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome garantisse il rispetto del principio di leale collaborazione (cfr., in particolare, il punto 18.4 della motivazione). In merito a tale tesi erano state espresse delle perplessità, affermando che trattandosi di materie di competenza concorrente ci sarebbe stato bisogno di “forme di collaborazione più forti della semplice consultazione”, così E. Longo, “Episodi e momenti del conflitto Stato-Regioni nella gestione della epidemia da covid-19”, 2020, in Osservatorio sulle fonti, disponibile qui.

[59] Cfr. il “considerato” n. 6.

[60] Cfr. il “considerato” n. 7.

[61]  Il contenuto delle citate eccezioni della Regione Valle d’Aosta, con la quale essa si oppone all’accoglimento dell’istanza cautelare avanzata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sono riassunte in tali temini ai “ritenuto” nn. 26 e 27 dell’ordinanza. Inoltre, al “ritenuto” n. 25, viene riportato che la Regione ha eccepito pure la genericità dell’istanza cautelare.

[62] Cfr. il “considerato” n. 8.

[63] Cfr. C. Cost., sentenza del 24 luglio 2003, n. 274, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2003, n. 30, ed in particolare il punto 2.1. del “Considerato in diritto”. Si vedano le osservazioni svolte in merito ai presupposti per l’esercizio del potere di sospensiva delle leggi da parte di M. Salvago, cit., pagg. 27-28, che osserva come la tutela dell’ordinamento comprende, oltre all’unità dello stesso, anche la tutela delle autonomie territoriali.

[64] Consiglio di Stato, Sez. I, parere del 7 aprile 2020, n. 735.

[65] Si veda ancora M. Salvago, cit., pag. 26, ove in particolare cita F. Drago, “I ricorsi in via principale nel quadro del novellato Titolo V”, 2003, disponibile qui; G. Falcon, Introduzione, cit.; E. Lamarque, Commento all’art. 9, cit.; C. Pinelli, Commento all’art. 9, cit..

[66] Cfr. i “considerato” nn. 9 e 10.

[67] Cfr. il “considerato” n. 14 dell’ord. 107/2010.

[68] Cfr. il “considerato” n. 10 dell’ord. 107/2010.

[69] Cfr. il “considerato” n. 7 dell’ord. 4/2021

[70] È noto che la Corte ritiene che nel bilanciamento fra diritti fondamentali, la prevalenza accordata ad uno di essi non può comunque comportare la sospensione o la compressione sproporzionata e irragionevole degli altri. Al riguardo si può citare un passaggio della sentenza del 9 maggio 2013, n. 85: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (punto 9 del “Considerato in diritto”). Tale passaggio viene citato nell’apertura dell’articolo di U. Adamo,  “Salute e istruzione, alla ricerca di un bilanciamento ragionevole”, 15 gennaio 2021, disponibile qui, ove vengono svolte riflessioni in merito al bilanciamento di tali due diritti fondamentali nella gestione della pandemia.

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