giovedì, Marzo 28, 2024
Litigo Ergo Sum

Il sottile limes tra mutatio ed emendatio libelli secondo la Cassazione

Nel processo civile, ai sensi dell’art. 183 c. 5 cpc, già nell’udienza di trattazione, “le parti possono precisare e modificare le domande e le eccezioni e le conclusioni già formulate”. Tuttavia, spesso i difensori non sono pronti e chiedono al giudice le memorie successive ex art 183 c. 6 cpc. Con la prima memoria, chiamata anche “memoria di emendamento”, viene concesso alle parti “un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”, escludendo qualsiasi cambiamento radicale di domande, eccezioni e conclusioni.

Ma qual è il confine tra emendamento e mutamento della domanda?

A lungo dottrina e giurisprudenza hanno dibattuto sulla questione, arrivando a formulare soluzioni differenti. Tradizionalmente, si sosteneva l’ammissibilità della emendatio, cioè la modificazione della domanda e l’inammissibilità della mutatio, cioè la proposizione di una nuova domanda. Questa distinzione rimanda al problema dell’identificazione dell’azione, infatti, una domanda è nuova quando cambia uno dei suoi elementi identificativi: se cambiano le parti o il petitum, la domanda muta; se cambia la causa petendi, invece, la domanda muta o meno a seconda della tesi che accogliamo:

-secondo la tesi della sostanziazione, per identificare la domanda non è sufficiente il diritto sostanziale, ma è necessaria anche l’individuazione del fatto costitutivo a fondamento di esso, dal momento che il titolo giuridico si identifica con il fatto costitutivo. Quindi l’allegazione di fatti costitutivi differenti da quello originariamente posto a fondamento della domanda, determina la proposizione di una nuova domanda

-secondo la tesi dell’individuazione, per identificare la domanda, è necessario e sufficiente determinare il titolo giuridico della domanda, cioè il diritto sostanziale, che resta lo stesso anche se viene dedotto un fatto costitutivo diverso a fondamento della stessa. Quindi, l’allegazione di un fatto costitutivo differente, non determina la proposizione di una nuova domanda

-secondo una tesi intermedia, bisogna distinguere tra domande autodeterminate e domande eterodeterminate, a seconda del tipo di diritto azionato che a sua volta può essere autodeterminato o eterodeterminato.  I diritti autodeterminati, in un dato momento storico, possono esistere una sola volta tra le stesse parti e con il medesimo oggetto, come il diritto di proprietà. Questo diritto resta lo stesso indipendentemente dal fatto costitutivo, il cui cambiamento durante il processo è irrilevante ai fini dell’identificazione del diritto dedotto in giudizio, ma rileva solo per la fondatezza della domanda. Di conseguenza, nei processi aventi ad oggetto diritti autodeterminati l’allegazione di un fatto costitutivo diverso da quello originariamente proposto non dà luogo alla proposizione di una domanda nuova. Ad esempio, se viene proposta azione di rivendicazione nei confronti del bene x  e l’attore ne afferma la proprietà sulla base di un contratto di compravendita, ma durante il processo viene accolta l’eccezione di nullità del medesimo contratto, proposta dal convenuto, è possibile dichiarare, pendente lite, di voler fondare la domanda non più sul contratto di compravendita, ma sull’usucapione. In questo caso, trattasi di emendatio libelli consentita e non di mutatio. Diversamente, i diritti eterodeterminati si individuano grazie al fatto costitutivo perché, in un dato momento storico, possono esistere più volte tra le stesse parti con il medesimo oggetto, come il diritto di credito. Questo diritto muta se muta il fatto costitutivo posto a fondamento di esso, il quale non solo rileva per la fondatezza della domanda ma anche per la sua identificazione. Di conseguenza, nei processi aventi ad oggetto diritti eterodeterminati, l’allegazione di un fatto costitutivo diverso da quello originariamente dedotto, dà luogo alla proposizione di una nuova domanda. Ad esempio, tra lo stesso creditore e lo stesso debitore nascono due crediti dello stesso importo fondati sullo stesso titolo (es.mutuo). Essendo uguali le parti, il titolo e l’importo, è possibile distinguerli solo in base al fatto costitutivo posto a fondamento di ogni credito: ad esempio, un mutuo sarà stato contratto nel mese di maggio e uno nel mese di giugno.

La giurisprudenza della Cassazione, con la sentenza 12310/ 2015, si è però discostata da questa impostazione tradizionale, spostando su un piano diverso il limes tra emendatio e mutatio libelli. Nel caso concreto, si discuteva di una domanda ex art. 2932 con oggetto un contratto preliminare che la controparte non voleva eseguire, allo scopo di ottenere una sentenza costitutiva per il trasferimento della proprietà di un immobile, che era stata trasformata in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo del contratto. Le Sezioni Unite si chiedevano se questo costituisse una emendatio o una mutatio, dal momento che veniva allegato un fatto costitutivo differente: nella domanda formulata prima, si parlava di preliminare proprio con effetti obbligatori ex art. 2932 e si chiedeva una sentenza costitutiva; nella domanda formulata dopo, si parlava di preliminare improprio con effetti reali traslativi della proprietà e si chiedeva un provvedimento diverso, cioè una sentenza di accertamento.

La Cassazione, però, premette che “ la giurisprudenza in materia sembra univoca e tetragona nell’affermare il principio secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che non incidono né sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere), mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria”. Tuttavia. ammettono le SU, che talvolta attraverso equilibrismi teorici si è giunti a sostenere ammissibili domande che presentavano mutamenti in ordine a questi elementi identificativi, pertanto è necessario chiarire che cosa si intende per domanda nuova, cercando di dare una adeguata interpretazione dell’art. 183 cpc, che non prevede limiti né qualitativi né quantitativi alla modificazione ammessa.

La differenza tra le domande nuove e quelle modificate è che le prime si aggiungono a quelle originarie estendendo l’oggetto del giudizio, mentre le seconde “non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono, pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”. Secondo le Sezioni Unite, dunque, la modifica consentita della domanda non deve essere interpretata in modo restrittivo, ma più ampio tale da non frustrare l’interesse della parte a chiedere giustizia, garantendo una maggiore stabilità delle decisioni e un esito processuale migliore.

Conseguenza di una simile impostazione è che, se la parte attraverso una modifica di più ampio respiro, individua più precisamente i suoi desideri ed interessi, non si può costringerla a proporre una nuova domanda dinanzi ad un nuovo giudice violando il principio di economia processuale, portando avanti un processo che non condurrà alla piena soddisfazione. Con l’art. 183 cpc. si permette perciò di “aggiustare il tiro”, senza allungare il processo o sprecare risorse, ma rispettando il principio di conservazione degli atti e l’effettività della tutela giurisdizionale.

In conclusione, la Cassazione afferma che “non ha alcuna consistenza ontologica prenormativa la pretesa differenza tra “mutamento” e “modifica” da alcuni sostenuta sulla falsariga del binomio emendatio-mutatio libelli” e che, dunque,  “la modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali”. Per cui, nel caso concreto oggetto della sentenza 12310/2015, è stata ammessa la modifica della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere  un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.

Dunque, smontata la tradizionale differenza tra emendatio e mutatio libelli, la possibilità di modificare la domanda, consentita in questa innovativa sentenza della Cassazione, riguarda oggi anche gli elementi identificativi della stessa, ma con un limite: l’elemento identificativo delle persone deve rimanere sempre uguale e la vicenda sostanziale uguale o almeno connessa a quella iniziale, cosicché si evita l’abuso dello strumento della modificazione in corso di causa per supplire alle carenze della propria strategia difensiva, frustrando così le potenzialità difensive della controparte.

Ilaria Nebulosi

Classe 1995. Diplomata al liceo classico con il massimo dei voti, segue la sua vocazione umanistica iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza nel 2014. Dopo un breve stage a Londra, migliora la sua conoscenza dell'inglese e consegue diverse certificazioni. Appassionata lettrice di romanzi distopici, coltiva la sua passione per la scrittura collaborando con l'area contenzioso di Ius in itinere. Membro attivo di diverse associazioni di giuristi, si impegna con le stesse in iniziative di sensibilizzazione su temi giuridici attuali.

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