sabato, Ottobre 5, 2024
Tax Driver

STABILE ORGANIZZAZIONE E COVID-19: QUALI INDICAZIONI DALL’OCSE?

A cura di Gianmarco Crugliano

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Stabile organizzazione ed home office. – 3. Stabile organizzazione personale. – 4. Conclusioni.

  1. Premessa

La diffusione su scala mondiale del “Covid-19” ha reso necessarie, come noto, drastiche limitazioni alla mobilità delle persone fisiche. Ciò ha determinato ripercussioni per le imprese operanti in un orizzonte internazionale, chiamate ad interrogarsi in merito alla possibile configurazione di una stabile organizzazione, materiale o personale, in Stati diversi rispetto a quello di residenza. Il recente Documento OECD Secretariat Analysis of tax treaties and the impact of the Covid-19 crisis[1] ha inteso fornire indicazioni sull’argomento, col fine primario di evitare e superare eventuali disallineamenti da parte delle Amministrazioni fiscali.

  1. Stabile organizzazione ed home office

L’espressione “stabile organizzazione”, adottata dapprima nelle Convenzioni e successivamente introdotta nell’ordinamento italiano[2], rappresenta la trasposizione dell’espressione “permanent establishment” e racchiude in sé due elementi qualificanti: la stabilità spaziale (stabilimento) e la permanenza temporale (permanente)[3].

Ai fini della nostra analisi, pare opportuno concentrarci sulla possibile configurabilità di una stabile organizzazione “materiale” nell’ipotesi in cui il lavoratore non residente svolga l’attività lavorativa direttamente dalla propria abitazione (smart working).

L’art. 5, par. 1, del modello di Convenzione OCSE detta la definizione di stabile organizzazione “materiale”[4]. Nell’ordinamento italiano, come precedentemente accennato, prima del 2004 non esisteva una definizione di stabile organizzazione, per questo il riferimento era spesso a concetti di matrice internazionale.

Seguendo il dato legislativo italiano, coincidente con quello internazionale, i presupposti per l’esistenza di una stabile organizzazione “materiale” sono: i) l’esistenza di una sede fissa d’affari; ii) i caratteri della “fissità” e della “permanenza” devono caratterizzare tale sede; iii) la circostanza per cui l’impresa non residente svolga, totalmente o parzialmente, la propria attività per il tramite di tale sede fissa d’affari.

Secondo il Documento in analisi, la situazione di lockdown (totale o parziale) in cui versano i lavoratori non permette di configurare una stabile organizzazione “materiale” per due ordini di ragioni:

–  la situazione pandemica risulta essere temporanea e in costante evoluzione;

– l’abitazione del lavoratore non può esser considerata una sede fissa d’affari a disposizione dell’impresa estera.

Alla luce di quanto detto, pare opportuno tenere a mente che le soglie temporali previste dalle legislazioni nazionali, per la presenza di una stabile organizzazione a fini fiscali, possono essere inferiori rispetto a quelle applicabili in base al Trattato, rendendo così doveroso l’obbligo di “identificazione” nello Stato[5].

È opportuno precisare che né il Modello Ocse, né l’art. 162 del T.U.I.R. prevedono una de minimis rule, superata la quale ricorre una stabile organizzazione. Il Commentario OCSE ha precisato, d’altro canto, la non ricorrenza della stabile organizzazione “materiale” nell’ipotesi in cui la presenza territoriale si protragga per un periodo non superiore a sei mesi[6].

Passando in rassegna il par. 12 del Commentario, è desumile l’impossibilità di considerare l’abitazione del lavoratore quale sede nella piena disponibilità dell’impresa, ciò è motivato dalla circostanza secondo la quale lo svolgimento dell’attività lavorativa da casa non è richiesto dall’impresa estera, bensì imposto dalle autorità governative[7].

La possibile configurazione di una stabile organizzazione presso l’home office di un dipendente di una società di diritto estero è affrontata dal par. 18 del Commentario all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE, dove gli analisti parigini hanno escluso che possano verificarsi automatismi tra la condizione che una parte del business dell’impresa venga esercitata da remoto presso l’abitazione dei propri dipendenti e la sussistenza di una SO[8]. L’automatismo è invece sussistente nell’ipotesi in cui la residenza sia utilizzata in maniera continuativa per svolgere l’attività dell’impresa e risulti chiaro che tale richiesta provenga dall’impresa stessa, allora l’abitazione del lavoratore può ben esser considerata a disposizione dell’impresa, così da determinare l’insorgere di una stabile organizzazione[9].

  1. Stabile organizzazione personale

Nella medesima ipotesi, pare opportuno sollevare la questione della configurabilità di una stabile organizzazione “personale”, i cui requisiti essenziali, delineati dall’art. 5, par. 5 e 6 del Modello di Convenzione OCSE e dall’art. 162, comma 6, del T.U.I.R., prevedono la presenza di una persona[10] che abitualmente nel territorio dello Stato negozia, definisce e conclude contratti in nome dell’impresa[11].

Affinché possa ritenersi integrata la fattispecie della stabile organizzazione “personale” nel contesto pandemico è fondamentale valutare la preponderanza del requisito dell’abitualità, poiché nella stabile organizzazione “personale” la sede fissa d’affari è stata sostituita, quale autonomo requisito, dall’abituale conclusione di contratti[12] e tale condizione conferirebbe alla stabile organizzazione “personale” quel grado di “permanenza” richiesto dalla norma[13].

La citata “abitualità” consta di due elementi: il numero dei contratti stipulati dall’agente ed il periodo durante il quale si protrae l’attività nello Stato della fonte[14].

Nel Documento in analisi l’OCSE afferma che non può ritenersi integrata l’ipotesi del c.d. agent p.e. nell’ipotesi in cui l’individuo sia obbligato a svolgere l’attività di conclusione di contratti per un breve periodo in uno Stato, per cause di forza maggiore.

Il Commentario OCSE, inoltre, afferma che ai fini della stabile organizzazione “personale” è necessario che l’attività svolta abbia carattere non transitorio[15].

  1. Conclusioni

L’effetto complessivo degli orientamenti forniti dall’OCSE pare neutralizzare gli effetti delle misure contenitive sugli spostamenti in relazione all’istituto della stabile organizzazione. Lo smart working potrà esser considerato sintomatico di una presenza di un fixed place presso l’abitazione privata del lavoratore dipendente solo qualora lo stesso sia o si riveli essere una modalità abituale di svolgimento della prestazione lavorativa.

Un cenno meritano anche le considerazioni svolte dall’OCSE relativamente alla stabile organizzazione di “progetto” o da “cantiere”[16].

In dottrina si è soliti affermare che, nell’ipotesi di stabile organizzazione di “progetto”, il requisito della stabilità sarebbe automaticamente assicurato dal requisito temporale ivi richiesto[17].

Il periodo di interruzione dei lavori dovuti alla Pandemia dovrebbe esser considerato ai fini del calcolo dei termini utili a determinare la durata di un cantiere e pertanto considerare lo stesso come stabile organizzazione (construction p.e.), in perfetta coerenza con quanto affermato nel Commentario all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE.

La soluzione fornita dall’OCSE pare però rinnegare l’eccezionalità della situazione e l’obbligatorietà dell’interruzione imposta dai provvedimenti governativi.

 

 

[1] Il Documento, reperibile sul sito www.oecd.org, è stato pubblicato il 3 aprile 2020.

[2] L’art. 162, comma 1, D.P.R. n. 600/73 qualifica la s.o. come “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”.

[3] Cfr. C. GARBARINO, voce Stabile organizzazione (nel diritto tributario), in Digesto, sez. comm., 2009.

[4]The term permanent establishment means a fixed place of business through which the business of an enterprise is wholly or partly carried on”.

[5] Cfr. D. AVOLIO – F. MORETTI, Stabile organizzazione e Convenzioni contro le doppie imposizioni in tempi di Covid-19 secondo l’OCSE, in Il Fisco, 2020, 1848.

[6] Cfr. il par. 28 del Commentario all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE.

[7] D. AVOLIO – F. MORETTI, Stabile organizzazione e Convenzioni contro le doppie imposizioni in tempi di Covid-19 secondo l’OCSE, cit., 1848.

[8] Cfr. L. SAVASTANO, Il COVID-19 non “infetta” le condizioni di esistenza della stabile organizzazione, in iltributario.it, 2020.

[9] Cfr. il par. 18 del Commentario all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE.

[10] Il termine “persona” contempla tanto persone fisiche quanto società, non essendo necessario che essa sia residente o disponga di una sede di affari nello Stato in cui opera. In tal senso, cfr. Commentario OCSE, sub art. 5, paragrafo 32.

[11] Su proposta dell’Action 7, elaborato in seno ai lavori del Progetto Beps, per configurare una s.o. “personale” non è più strettamente necessario che l’intermediario agisca in nome dell’impresa non residente, potendo in alternativa concludere in nome proprio contratti (i) relativi al trasferimento della proprietà, o per la concessione del diritto di utilizzo, di beni dell’impresa o che l’impresa ha il diritto di utilizzare, oppure (ii) relativi alla fornitura di servizi da parte dell’impresa medesima.

[12] L’Italia si è adeguata interamente alle novità apportate dall’Action 7 del Progetto Beps anche se, al momento, si è riservata di non applicare l’art. 12 della Convenzione Multilaterale (cfr. sull’argomento A. DELLA ROVERE – F. PECORARI, Stabile organizzazione: profili di novità in ambito OCSE e nazionale, in Fiscalità e Commercio internazionale, 6, 2018).

[13] Cfr. il par. 83 dell’art. 5 del Commentario OCSE.

[14] D. AVOLIO – F. MORETTI, Stabile organizzazione e Convenzioni contro le doppie imposizioni in tempi di Covid-19 secondo l’OCSE, cit., 1848.

[15] Cfr. il Commentario OCSE all’art. 5, par. 98.

[16] Cfr. il par. 3 dell’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE. Nell’ordinamento interno italiano tale tipo di stabile organizzazione è disciplinata dal comma 3 dell’art. 162 del T.U.I.R.

[17] Sul punto si veda M. CERRATO, La definizione di stabile organizzazione nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in C. SACCHETTO – L. ALEMANNO (a cura di), Materiali di Diritto Tributario Internazionale, Milano, 2002.

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