giovedì, Aprile 18, 2024
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Strumenti finanziari derivati stipulati dalle Amministrazioni centrali: la Corte dei conti dichiara il proprio difetto di giurisdizione

A cura di: Avv. Rossana Mininno

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Gli strumenti finanziari derivati. 2.1. Interest rate swap. – 2.2. Swap option. – 3. L’assoggettabilità dell’istituto bancario alla giurisdizione del Giudice contabile. – 3.1. La fattispecie scrutinata dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio. – 3.2. Il rapporto di servizio quale presupposto della responsabilità amministrativa. – 3.3. Il precedente giurisprudenziale: Corte dei Conti, Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, sentenza n. 609 del 16 dicembre 2015. – 3.4. La declaratoria del difetto di giurisdizione contabile da parte della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Premessa.

Negli ultimi anni è stato rilevato un consistente ricorso, da parte sia delle Amministrazioni centrali che delle Autonomie locali, a strumenti di finanza innovativa, quali, in particolare, gli strumenti finanziari derivati, operazioni che, in molti casi, hanno fatto registrare perdite considerevoli, ponendo all’attenzione la questione relativa alla (eventuale) configurabilità di una responsabilità per danno erariale a carico degli Amministratori pubblici e degli istituti finanziari coinvolti.

2. Gli strumenti finanziari derivati.

Gli strumenti finanziari derivati sono prodotti il cui valore dipende, rectius deriva dall’andamento di un’attività sottostante (cd. underlying asset), che può avere natura, indifferentemente, finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) o reale (caffè, cacao, petrolio, ecc.).

Una prima distinzione, all’interno della categoria, è quella tra derivati simmetrici e derivati asimmetrici: con la sottoscrizione dei primi entrambi i contraenti (acquirente e venditore) si impegnano ad effettuare, alla data di scadenza prestabilita, una determinata prestazione; con la sottoscrizione dei secondi, invece, soltanto il venditore si impegna ad effettuare una determinata prestazione a favore del compratore, a carico del quale è previsto il pagamento di un prezzo (cd. premio) tramite il quale acquisisce il diritto di decidere, in relazione ad una data futura, se effettuare o meno la compravendita del bene sottostante.

Un’ulteriore distinzione, concernente la tipologia di mercato di riferimento, è tra derivati negoziati sui mercati regolamentati e derivati over-the-counter (cd. O.T.C.): i primi sono rappresentati da contratti aventi caratteristiche standardizzate e predefinite dall’autorità del mercato di riferimento, riguardanti, essenzialmente, l’attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione e le modalità di liquidazione; i derivati O.T.C. sono, invece, negoziati direttamente tra le due parti fuori dai mercati regolamentati e i contraenti ne possono liberamente stabilire tutte le caratteristiche.

Nella prima categoria rientrano strumenti quali futures, options, warrants e covered warrants, mentre nella seconda categoria rientrano swap e forward.

Le principali finalità associate alla negoziazione di strumenti finanziari derivati sono la copertura (cd. hedging), ovvero la protezione del valore di una posizione da variazioni indesiderate nei prezzi di mercato, la speculazione (cd. trading), ovvero la realizzazione di un profitto basato sull’evoluzione attesa del prezzo dell’attività sottostante e l’arbitraggio, ovvero lo sfruttamento del momentaneo disallineamento tra l’andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante (destinati a coincidere alla scadenza del contratto).

In particolare, la finalità di copertura ricorre, principalmente, nelle ipotesi in cui un soggetto, avendo in precedenza contratto un debito a tasso variabile, intenda proteggere la propria posizione contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato.

Con la comunicazione n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (in breve “Consob”) ha precisato i “criteri di qualificazione” in base ai quali classificare le operazioni su strumenti finanziari derivati e, segnatamente, indicato le caratteristiche che un’operazione deve possedere per essere considerata ‘di copertura’: in primis deve essere stata «esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità» connessa ad altre posizioni detenute dal medesimo investitore; in secundis deve sussistere un’accentuata «correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, tipologia etc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine»; infine, le precedenti caratteristiche devono essere assicurate e «documentate da evidenze interne degli intermediari».

2.1. Interest rate swap.

Gli swap sono contratti a termine che prevedono lo scambio, a scadenze prestabilite, di flussi finanziari, calcolati con modalità fissate alla stipulazione del contratto.

L’interest rate swap (cd. I.R.S.) è il contratto mediante il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, a scadenze prestabilite e per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti (generalmente, uno fisso ed uno variabile), applicati ad un capitale nozionale.

Il contratto non prevede scambio di capitali, ma scambio di flussi corrispondenti al differenziale fra gli interessi calcolati sul capitale nozionale al tasso prestabilito.

In genere, acquirente dell’I.R.S. è il soggetto che, avendo già contratto un debito a tasso variabile, si impegna a pagamenti a tasso fisso, ricevendo, in cambio, pagamenti a tasso variabile, mentre il venditore dell’I.R.S. è il soggetto che in cambio del tasso fisso si impegna a corrispondere interessi a tasso variabile.

Esistono tre tipi di I.R.S.: (i) coupon swap, ovvero il contratto con cui due parti si scambiano un flusso di interessi a tasso fisso ed uno a tasso variabile nella medesima valuta (floating-to-fixed swap); (ii) basis swap, ovvero il contratto con il quale due parti si scambiano flussi di interessi entrambi a tasso variabile nella medesima valuta (floating-to-floating swap); (iii) cross-currency interest rate swap, ovvero il contratto con il quale due parti si scambiano flussi di interessi denominati in due diverse valute (fixed-to-fixed swap).

2.2. Swap option.

Lo swap option (cd. swaption) è l’opzione su interest rate swap che conferisce al possessore il diritto di concludere uno swap su tassi di interesse a un tasso swap predeterminato: il possessore dell’opzione ha il diritto di entrare, ad una certa data, in un determinato contratto I.R.S..

Lo swaption è, in genere, utilizzato quale strumento di copertura per beneficiare di eventuali andamenti favorevoli dei tassi di interesse e, nel contempo, proteggersi contro andamenti sfavorevoli: l’acquisto di uno swaption garantisce che il tasso di interesse che sarà pagato su un finanziamento, in un futuro istante di tempo, non sarà superiore ad una determinata soglia prestabilita, ma potrebbe essere inferiore qualora si riducano i tassi di mercato.

Esistono due tipi di swaption: (i) payer, con il quale il compratore ha la mera facoltà e non l’obbligo di entrare in un contratto swap in cui paga il tasso fisso e riceve quello variabile; (ii) receiver, con il quale il compratore ha la mera facoltà e non l’obbligo di entrare in un contratto swap in cui paga il tasso variabile e riceve quello fisso.

3. L’assoggettabilità dell’istituto bancario alla giurisdizione del Giudice contabile.

3.1. La fattispecie scrutinata dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio.

Nella fattispecie oggetto della sentenza in commento la Procura contabile ha prospettato, in sede di editio actionis, la responsabilità di alcuni dirigenti e funzionari del Ministero delle Finanze (già Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, in seguito “MEF”) e dell’istituto bancario di diritto privato Morgan Stanley (in seguito “M.S.”) per il danno erariale derivato da una cattiva attività di gestione di sei prodotti finanziari derivati (nello specifico, interest rate swap, cross currency swap e receiver swaption), nonché dalle attività di chiusura e rinegoziazione poste in essere alla fine dell’anno 2011.

Secondo la prospettazione del Pubblico Ministero contabile, la vicenda (asseritamente) causativa del danno erariale sarebbe consistita, nello specifico, nello svolgimento congiunto, da parte dei soggetti convenuti, di «attività connotate dal travalicamento dei limiti di negoziabilità (di sistema, e specifici, di sottovalutazione dei rischi)»: quanto all’istituto bancario privato, l’attività svolta sarebbe stata caratterizzata «da palesi violazioni dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione contrattuale, che, attesa la profondità di relazione con l’amministrazione nell’ambito della gestione del debito pubblico e dei doveri fiduciari che da essa discendevano, in termini di supporto alla gestione complessiva del debito pubblico, compresa l’attività in derivati, assumono la dimensione di violazioni dei doveri propri del rapporto di servizio di fatto instauratosi con il MEF»; quanto ai pubblici amministratori, l’attività posta in essere sarebbe stata caratterizzata «da evidente mala gestio e diseconomicità e da gravi imprudenze ed irregolarità gestionali».

 3.2. Il rapporto di servizio quale presupposto della responsabilità amministrativa.

La tutela delle risorse pubbliche è stata attuata mediante il riconoscimento di una forma di responsabilità cd. amministrativa, il cui scrutinio è riservato al Giudice contabile, fonte di un’obbligazione risarcitoria di contenuto patrimoniale gravante sul soggetto cui è demandata la gestione di dette risorse e discendente ex lege dalla produzione di un danno a carico dello Stato o di altro ente od organismo pubblico causalmente riconducibile ad azioni od omissioni commesse nell’esercizio, da parte dell’agente, dei propri obblighi di servizio.

In ragione del sempre più frequente operare della Pubblica Amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti si è assistito ad una progressiva valorizzazione del dato oggettivo della provenienza pubblica delle risorse: «[i]l baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti»(1).

In altri termini, la natura pubblica del soggetto danneggiante non è più considerata elemento imprescindibile, essendo divenuto dirimente – al fine della configurabilità di una responsabilità amministrativa con radicamento della giurisdizione della Corte dei conti – l’aspetto oggettivo dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’agente, con la conseguenza che il danneggiante può essere pubblico o privato, interno od esterno all’apparato della Pubblica Amministrazione: «il dato essenziale che radica la giurisdizione contabile è rappresentato essenzialmente dall’evento verificatosi a carico di una P.A. e non dal quadro di riferimento pubblico o privato nel quale si colloca la condotta produttiva del danno»(2).

Il riconosciuto spostamento del «baricentro» della responsabilità amministrativa dal profilo soggettivo a quello oggettivo ha comportato l’ampliamento della categoria dei soggetti rientranti nella giurisdizione del Giudice contabile a soggetti non ricompresi nell’apparato amministrativo: «la detta giurisdizione sussiste quindi anche con riguardo a fatti posti in essere da privati»(3).

Rimane, comunque, ferma l’essenzialità del rapporto di servizio («[s]ul piano sistematico, l’ampliamento della responsabilità erariale a soggetti non ricompresi nell’apparato amministrativo è dunque avvenuto attraverso il cavallo di troia del rapporto di servizio in senso ampio»(4)), il quale «è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, persona fisica o giuridica, benché estraneo all’ente, si trovi investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore dello stesso, venendo conseguentemente a inserirsi nella sua organizzazione e ad assumere particolari vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l’attività medesima, nel suo complesso, è preordinata (Cass. civ. sez. un. 9 febbraio 2011, n. 3165; Cass. civ. sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; Cass. civ. 9 settembre 2008, n. 22652)».

In sostanza, al fine dell’affermazione della giurisdizione del Giudice contabile nei confronti dell’autore della condotta asseritamene causativa di un danno erariale è necessaria l’esistenza tra detto soggetto e quello danneggiato di una relazione funzionalizzata di servizio, ravvisabile, alternativamente, nei casi di affidamento, in modo continuativo, di un’attività pubblica ad un soggetto esterno, conseguentemente inserito nell’organizzazione dell’ente e come tale titolare di vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali cui l’attività dell’ente è preordinata, ovvero nei casi di compartecipazione fattiva da parte del soggetto esterno ad un programma avente finalità pubblicistiche.

3.3. Il precedente giurisprudenziale: Corte dei Conti, Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, sentenza n. 609 del 16 dicembre 2015.

Con la sentenza n. 609 del 16 dicembre 2015 la Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello della Corte dei conti è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla questione di rito della sussistenza della giurisdizione contabile con riferimento ad un’ipotesi di responsabilità di alcuni funzionari del Comune di Firenze e della società di diritto inglese Merrill Lynch International per il danno erariale derivato, secondo la prospettazione della Procura, da un’operazione finanziaria posta in essere dall’Amministrazione comunale con l’ausilio consulenziale di detta società, alla quale la Giunta Comunale aveva, in precedenza, conferito l’incarico di advisor arranger per la gestione del debito comunale, nonché per la valutazione della possibilità e convenienza di estinguere alcuni mutui in essere con istituti di credito.

L’operazione finanziaria ‘progettata’ si era concretizzata nella sottoscrizione di due contratti derivati con la banca Merrill Lynch Capital Markets Bank Limited (facente parte del gruppo Merrill Lynch), cui era stato conferito il ruolo di intermediario.

Avendo i detti contratti prodotto per l’Amministrazione comunale una perdita, consistita nella differenza tra i flussi di cassa attesi e quelli effettivamente realizzati, il Procuratore contabile ha convenuto in giudizio i funzionari comunali coinvolti nell’esecuzione dell’operazione, nonché Merrill Lynch International.

Quest’ultima ha impugnato la sentenza-ordinanza mediante la quale la Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti dalla medesima società sollevata.

La Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello ha respinto l’impugnazione avendo ritenuto sussistente «un rapporto fra Banca ed Ente pubblico caratterizzato da elementi che vanno ben oltre la mera consulenza e che integrano un vero e proprio rapporto di servizio (poco importa se di diritto o di fatto) destinato a dimostrare e giustificare in pieno la sussistenza della giurisdizione» della Corte dei conti.

Per pervenire a tale esito la Sezione di secondo grado ha in primis ritenuto infondata l’argomentazione sostenuta dalla società appellante facente leva su un’asserita esclusione, a livello giurisprudenziale, della riconducibilità all’ambito di applicazione dell’azione di responsabilità erariale delle ipotesi caratterizzate dalla sussistenza di un semplice rapporto negoziale di diritto privato esauritosi in un contratto d’opera di natura consulenziale, come tale privo dell’effettiva attribuzione al privato di ruoli e funzioni pubblicistiche finalizzate al perseguimento di interessi pubblici.

Argomentazione la cui confutazione è avvenuta, da parte del Giudice d’appello, mediante il richiamo, in termini generali, alla nozione di rapporto di servizio pacificamente affermata dai Giudici di legittimità: «il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, articolo 52, manifesta il trasparente intento di non limitare la categoria dei destinatari delle norme in materia di responsabilità amministrativa ai soli soggetti che abbiano instaurato con lo Stato o con altro ente pubblico un rapporto di impiego vero e proprio, dato che menziona, oltre agli impiegati, i funzionari e gli agenti, civili e militari, tout court, siano essi dipendenti ovvero comunque retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni pubbliche»(6).

Anche la seconda argomentazione sostenuta dalla società appellante e vertente, precipuamente, sul ruolo dalla medesima svolto nella gestione della complessiva operazione finanziaria oggetto di giudizio, ruolo asseritamene inidoneo a fondare l’azione erariale, è stata ritenuta priva di fondamento.

Il Giudice d’appello, dopo aver osservato che «in materie così tecniche come l’intermediazione finanziaria e la consulenza finanziaria non è possibile lasciare a mere clausole generali la funzione di determinare quali siano i “giusti” comportamenti degli operatori del settore», ha richiamato la normativa – di rango sia legislativo che regolamentare – disciplinante il settore dell’intermediazione e della consulenza finanziaria, onde pervenire, con precipuo riferimento alla fattispecie oggetto di giudizio, alla determinazione del «livello di “coinvolgimento” del consulente nei confronti dell’Ente pubblico», normativa che prevede, altresì, tutta una serie di obblighi finalizzati a garantire un adeguato flusso informativo tra consulente e cliente, nonché il dovere, in capo al consulente finanziario, della cd. ‘valutazione di adeguatezza’, valutazione da effettuare sulla base delle informazioni acquisite dai clienti e funzionale all’adeguatezza delle operazioni ‘consigliate’.

Stante la complessità delle forme di finanza innovativa, nonché degli strumenti finanziari derivati, che per il loro utilizzo richiedono un elevato grado di competenza, la Sezione di secondo grado ha ritenuto che nella materia in esame il rapporto tra consulente e cliente «non può essere ridotto certamente ad un mero contenuto informativo o genericamente consulenziale»: l’attività di consulenza prestata da un soggetto privato ad un ente pubblico in materia di finanza innovativa, benché di mera consulenza, deve ritenersi «concorrente alla produzione dell’evento dannoso quando essa si appalesi essenziale per l’assunzione del provvedimento finale e, ancor più, quando, per l’autorevolezza del consulente e per il particolare rapporto anche di tipo fiduciario con l’ente, essa risulti decisiva ai fini del contenuto del provvedimento».

In altri termini, benché l’advisor finanziario non abbia la gestione diretta di denaro pubblico essendo la decisione finale circa l’utilizzo di detto denaro di esclusiva spettanza dell’ente pubblico, la valutazione professionale fornita dall’advisor – in quanto connotata da un elevato grado di competenza – assume, nell’iter procedimentale di formazione della volontà dell’ente, un ruolo determinante, con il conseguente instaurarsi di «un rapporto funzionale diretto tra il consulente, in virtù della posizione assunta di sostanziale compartecipe del procedimento deliberativo ed esecutivo dell’effettuato acquisto, e l’ente medesimo».

In estrema sintesi, il Giudice d’appello ha ritenuto dirimente, al fine dell’affermazione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti, l’effettiva compartecipazione della società di consulenza – benché ad essa non fosse concretamente demandata la gestione diretta del denaro pubblico, né la stessa fosse destinataria di contributi finanziari pubblici a destinazione vincolata – all’attività dell’Amministrazione comunale, a ciò legittimata in virtù del rapporto esistente con il Comune e qualificato dal contratto di advisory, compartecipazione mediante la quale la società ha concretamente influito, in senso causativo, sulla destinazione del denaro pubblico.

3.4. La declaratoria del difetto di giurisdizione contabile da parte della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio.

Con la sentenza n. 346 del 15 giugno 2018 la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sia nei confronti degli amministratori pubblici coinvolti nell’operazione che nei confronti dell’istituto bancario.

Prima facie la decisione sembrerebbe porsi in contrasto con il precedente giurisprudenziale del 2015. In realtà, ad un più attento esame, emerge come con precipuo riferimento alla posizione dell’istituto bancario la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio si sia uniformata ai principi regolanti la materia, essendo pervenuta alla declaratoria del difetto di giurisdizione per insussistenza «di un rapporto di servizio tra la pubblica amministrazione e M.S.» per non aver l’istituto bancario svolto alcuna funzione consulenziale a favore del MEF.

L’elemento materiale dell’illecito addebitato dal Pubblico Ministero contabile all’istituto bancario sarebbe consistito, secondo la Sezione, in «fatti e comportamenti precontrattuali e contrattuali … posti in essere nella qualità di controparte contrattuale» in «violazione delle regole privatistiche di comportamento», quali la buona fede e la correttezza contrattuale: l’impianto accusatorio, in altri termini, sarebbe stato fondato, essenzialmente, sul rapporto contrattuale tra le parti e la domanda di risarcimento conseguentemente spiegata si sarebbe basata sulla «inosservanza di norme privatistiche da parte di un soggetto privato che opera come controparte contrattuale della pubblica amministrazione».

Il contesto fattuale, così come enucleato dalla Sezione Giurisdizionale, è stato ritenuto tale da escludere a priori un «inserimento della Banca a qualsiasi titolo nell’apparato organizzativo pubblico», una «investitura di funzioni pubbliche per lo svolgimento in modo continuativo di un’attività retta da regole proprie dell’azione amministrativa» e una «relazione funzionale tra M.S. e l’amministrazione pubblica che implichi la partecipazione del soggetto privato alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli e agli obblighi volti ad assicurare la corretta gestione di quelle risorse», con conseguente configurabilità, in tesi, di una «forma di responsabilità civile».

Peraltro, la ritenuta insussistenza di una funzione consulenziale sarebbe confermata, secondo la Sezione, dalla qualifica che la legge attribuisce al MEF: sia la normativa nazionale(7) che quella euro-unitaria(8) classificano il MEF come ‘controparte qualificata’, facente parte «di quella categoria di soggetti considerati, quanto ad esperienza ed expertise, al livello massimo tra quelli previsti dalla legge».

In altri termini, ferma restando la complessità delle forme di finanza innovativa, nonché degli strumenti finanziari derivati che per il loro utilizzo richiedono un elevato grado di competenza, la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio ha ritenuto che, nella specifica fattispecie oggetto di giudizio, il MEF sarebbe stato in grado di svolgere, in totale autonomia, sia la verifica circa la propria operatività in derivati che la connessa valutazione degli effetti delle operazioni da realizzare, competenze accentuate anche in considerazione della sua esclusiva conoscenza dell’insieme del debito pubblico e del proprio portafoglio globale.

Ha, quindi, conclusivamente escluso che l’attività in concreto svolta dall’istituto bancario fosse connotata in senso pubblicistico, non essendo in detta attività ravvisabile né lo svolgimento di funzioni proprie della Pubblica Amministrazione in virtù del quale poter sostenere la compartecipazione del soggetto privato alla realizzazione di scopi pubblici, né, tantomeno, un contratto d’opera di natura consulenziale, elementi idonei, ove effettivamente ricorrenti, a radicare la giurisdizione del Giudice contabile.

4. Considerazioni conclusive.

La sentenza in commento si appalesa di particolare importanza non solo per aver – seppur indirettamente – dato continuità all’ampliamento giurisprudenziale in essere circa la portata soggettiva della giurisdizione contabile, ma anche per aver ribadito l’obbligo per le Amministrazioni centrali di effettuare un’attenta valutazione della convenienza economico-finanziaria delle operazioni di finanza ‘innovativa’ che intendono porre in essere, in termini sia di conseguenze finanziarie che di risultati conseguibili nel periodo di validità del contratto.

(1) Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza n. 4511, 1 marzo 2006, rv. 589157-01.

(2) Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza n. 30978, 27 dicembre 2017.

(3) Cass. n. 30978/2017 cit.

(4) Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza n. 19891, 22 settembre 2014.

(6) Cass. n. 19891/2014 cit.

(7) Art. 6, comma 2-quater, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

(8) Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004.

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