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Subappalto necessario frazionato in più subappaltatori: il Consiglio di Stato rimette la questione alla CGUE

La questione rimessa alla Corte di Giustizia

La Terza Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 3702 del 10 giugno 2020[1] ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione della normativa nazionale italiana in materia di subappalto “necessario” o “qualificante” e della sua compatibilità con il diritto eurounitario (artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 e artt. 49 e 56 del TFUE[2]), nella misura in cui non prevede espressamente la possibilità per il concorrente sprovvisto della qualificazione obbligatoria in una o più categorie scorporabili di integrare il requisito mancante, facendo ricorso a più imprese subappaltatrici, ovvero cumulando gli importi per i quali queste ultime risultino qualificate.

I fatti all’origine dell’ordinanza di rimessione

La vexata quaestio all’origine dell’ordinanza di rimessione alla CGUE è sorta da una gara aperta per l’affidamento dei lavori di realizzazione del nuovo ospedale “San Cataldo” di Taranto indetta da Invitalia, quale centrale unica di committenza per la Regione Puglia.

La seconda classificata ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione dinanzi al TAR Puglia – Lecce, lamentando l’anomalia dell’offerta da parte dell’aggiudicataria. D’altro canto l’aggiudicataria ha proposto ricorso incidentale lamentando l’illegittimità dell’ammissione alla gara della ricorrente per difetto di un requisito di qualificazione.

Il raggruppamento ricorrente in realtà aveva ritenuto di soddisfare tale requisito in parte con il possesso della propria classifica, in parte con il subappalto frazionato, ma il TAR ha respinto tale tesi affermando che il concorrente (ovvero in sua vece il subappaltatore) deve possedere in proprio e “per intero” la qualificazione richiesta dalla lex specialis[3], accogliendo quindi il ricorso incidentale.

Avverso la sentenza di primo grado è stato proposto ricorso dinanzi al Consiglio di Stato.

La Terza Sezione del Consiglio di Stato, dissentendo da quanto statuito dal Giudice di prime cure, ha premesso che nella normativa nazionale non è rinvenibile alcuna limitazione espressa al subappalto qualificante frazionato, non potendosi in tal senso intendere né l’art. 105 comma 5 del d.lgs. n. 50/2016, né l’art. 61 del d.P.R. n. 207/2010.

In assenza di disposizioni specifiche in merito alla frazionabilità tra subappaltatori del requisito qualificante e dubitando che la normativa nazionale sia interpretabile nel senso indicato dal TAR, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto opportuno rinviare la questione alla Corte di Lussemburgo al fine di ottenere indicazioni nomofilattiche sulle sovraordinate disposizioni del diritto eurounitario.

Nozioni preliminari: “categorie scorporabili”, “subappalto necessario” e “subappalto necessario frazionato

Per poter comprendere appieno la portata dell’ordinanza appare utile chiarire alcuni concetti.

Innanzitutto la definizione di categorie di lavori “scorporabili è contenuta nel d.lgs. 50/2016 e si ricava a partire da quella di categoria di lavori “prevalente.

La categoria “prevalente” è quella che caratterizza l’intervento da realizzare e che presenta un importo più elevato fra le varie categorie che ad esso concorrono[4]. Invece le categorie di lavori “scorporabili” sono individuate tra quelle non appartenenti alla categoria prevalente e comunque di importo superiore al 10 per cento dell’importo complessivo dell’opera o lavoro, ovvero di importo superiore a 150.000 euro[5].

Ai fini della partecipazione alla gara e dell’esecuzione dei relativi lavori, per principio generale, è sufficiente che il concorrente sia qualificato nella categoria prevalente, in una classifica corrispondente all’importo totale dei lavori. In tale ipotesi l’impresa concorrente può ricorrere liberamente al subappalto, ai fini dell’affidamento delle lavorazioni scorporabili come di quelle riconducibili alla categoria prevalente, ma tale ricorso riveste carattere meramente eventuale e facoltativo[6] (subappalto “facoltativo”).

Tale principio generale conosce una deroga nel caso in cui le categorie indicate come scorporabili rientrino in determinate tipologie di opere “specialistiche”, per le quali la normativa di riferimento richiede la c.d. “qualificazione obbligatoria”. Dette opere, infatti, non possono essere eseguite direttamente dall’aggiudicatario se privo della relativa qualificazione e, quindi, devono essere necessariamente subappaltate ad un soggetto ad esse abilitato[7] (subappalto “necessario”).

L’ipotesi del subappalto necessario “frazionato” si ha invece nel caso ancora più specifico in cui il requisito di qualificazione obbligatorio venga ad essere ‘coperto’ dall’operatore economico attraverso una sommatoria degli importi per i quali risultano qualificati i diversi operatori indicati nella terna dei subappaltatori.

La normativa nazionale e quella eurounitaria e il favor partecipationis

I Giudici di Palazzo Spada hanno richiamato tanto la normativa nazionale che quella comunitaria sulla disciplina del subappalto.

Le norme di riferimento della legislazione nazionale sono l’art. 105, comma 5, d.lgs. 50/2016 e l’art. 61 d.P.R. n. 207/2010, la Terza Sezione del CdS ha ritenuto però che le menzionate disposizioni non contengono alcuna implicita limitazione all’appalto “qualificante” e “frazionato”.

La disciplina eurounitaria del subappalto è desumibile dagli artt. 63 e 71 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e sviluppa i principi concorrenziali espressi dagli artt. 49 (libertà di stabilimento) e 56 (libera circolazione di servizi nell’UE) del TFUE.

Il Collegio giudicante ha inoltre ricordato una nutrita giurisprudenza della Corte di Lussemburgo[8] la quale non pone limiti di carattere generale al ricorso all’istituto del subappalto, sancendo anzi la “possibilità per gli offerenti di ricorrere al subappalto per l’esecuzione di un appalto, e ciò, in linea di principio, in modo illimitato”.

La ratio ispiratrice di questo filone giurisprudenziale riguardo l’istituto del subappalto è da individuare nel favor partecipationis, ossia quell’obiettivo (proprio della direttiva 2004/18/CE e rafforzati dalla direttiva 2014/24/UE) dell’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, a vantaggio sia delle Pubbliche Amministrazioni che hanno l’interesse di estendere quanto più possibile il ventaglio delle potenziali offerte ed ottenere così la migliore offerta che il mercato è in grado di esprimere, sia degli operatori economici, che hanno accesso in tal modo a mercati che altrimenti gli sarebbero preclusi.

La Corte di Giustizia riconosce che il ricorso al subappalto, favorendo l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce, al pari dell’avvalimento, a realizzare l’obiettivo di ampliare quanto più possibile la concorrenza[9].

Subappalto e avvalimento tra differenze strutturali e medesima ratio ispiratrice

I Giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che la Corte di Giustizia, nel ribadire l’obiettivo di apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza, abbia preso in considerazione fattispecie riguardanti sia l’istituto dell’avvalimento che quello del subappalto, con la conseguenza che le pur obiettive differenze strutturali che intercorrono tra i due istituti (l’avvalimento rileva nella fase di implementazione dei requisiti di partecipazione ad una gara; il subappalto, posto “a valle” del contratto di appalto, attiene alla sua esecuzione) non sembrerebbero elidere la loro comune connotazione quali moduli organizzativi alternativamente idonei a garantire l’ampliamento della possibilità di partecipazione alle gare anche a soggetti in apice sforniti dei requisiti di partecipazione[10].

I due istituti si differenziano oltre che per il ruolo nella esecuzione dell’appalto anche in ordine al regime di responsabilità dell’impresa ausiliaria.

Il subappaltatore esegue in proprio le opere affidategli, rispondendone esclusivamente nei confronti dell’impresa subappaltante, unica responsabile nei confronti della stazione appaltante; al contrario, effetto peculiare dell’avvalimento è la responsabilità solidale nei confronti dell’Amministrazione tra impresa ausiliaria e impresa concorrente in relazione alle prestazioni oggetto del contratto (art. 89, comma 5, d. lgs. 50/2016)[11].

Le differenze tra i due istituti tuttavia si attenuano nel caso di subappalto “necessario”, soggetto all’obbligo della contestuale indicazione in sede di gara sia delle attività per le quali si intende ricorrere al subappalto, sia del nominativo dei subappaltatori e dei relativi requisiti[12], tanto da giustificarne la denominazione di “avvalimento sostanziale”.

Dunque considerate le affinità tra i due istituti, i Giudici di Palazzo Spada hanno considerato di estendere al subappalto necessario la possibilità di frazionamento dei requisiti tra più imprese ausiliarie, prevista in materia di avvalimento, in quanto l’attuale art. 89, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, in linea con gli indirizzi espressi in tema dalla Corte di Giustizia, ammette “l’avvalimento di più imprese ausiliarie”.

Il Collegio giudicante non ha ignorato le possibili obiezioni all’estensione anche al subappalto del principio del frazionamento dei requisiti: il subappalto infatti si presta maggiormente a una possibile elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara e incedibilità del contratto nonché a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata poiché si tratta di un istituto confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sottratto ai controlli amministrativi che solitamente animano la procedura di gara.

Tuttavia i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, sulla base della giurisprudenza eurounitaria, che istituti espansivi della concorrenza (quali l’avvalimento e il subappalto) possono tollerare limitazioni proporzionate e occasionali, non generali e astratte, ma di volta in volta calibrate dall’amministrazione aggiudicatrice sulle peculiarità della singola gara ed in ragione degli eventuali fattori (il settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, la natura dei lavori, la tipologie di qualifiche richieste) che in essa concorrono a suggerire l’introduzione di specifiche condizioni restrittive.

La soluzione prospettata dai Giudici di Palazzo Spada

Infine il Consiglio di Stato, ponendosi nel solco della giurisprudenza tracciata dalla CGUE, ha affermato la possibilità che anche nel caso di subappalto necessario, implicante l’obbligo di indicazione delle prestazioni da subappaltare e del nominativo dei subappaltatori, debba valere un principio generale di frazionabilità del requisito qualificante, suscettibile di motivata deroga nei casi in cui la stazione appaltante ritenga di individuare casi e limiti ostativi oltre i quali la sicurezza e la qualità dell’opera potrebbero essere messe a rischio dal meccanismo del frazionamento del requisito.

Tale interpretazione risulterebbe coerente con le direttive europee in materia di appalti che non prevedono l’imposizione di limitazioni aprioristiche ed astratte al subappalto e ne sottolineano la funzione “positiva”, ricollegandolo ai principi di parità di trattamento e non discriminazione nei confronti degli operatori economici, oltre che ai principi di libertà di stabilimento, libera circolazione delle merci e dei capitali, concorrenza e proporzionalità.

[1] Per il testo completo dell’ordinanza di rimessione: www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=201910623&nomeFile=202003702_18.html&subDir=Provvedimenti.

[2] Art. 63 della direttiva 2014/24/UE relativo all’affidamento sulle capacità di altri soggetti. Art. 71 della direttiva 2014/24 UE relativo all’istituto del subappalto. Art. 49 TFUE relativo al principio della libertà di stabilimento. Art. 56 TFUE relativo al principio della libera circolazione di servizi nell’Unione Europea.

[3] Par. 15.2, 15.2.1 e 15.2.2 della sentenza n. 1915/2019, TAR Puglia, Lecce.

[4] Art. 3, comma 1, lett. oo-bis), d.lgs. 50/2016.

[5] Art. 3, comma 1, lett. oo-ter), d.lgs. 50/2016.

[6] Art. 12, comma 2, lett. a), D.L. 47/2014.

[7] Art. 12, comma 2, lett. b), D.L. 47/2014.

[8] Cfr. CGUE, 10 ottobre 2013, C-94/12; CGUE, 14 gennaio 2016, C-234/14; CGUE, 14 luglio 2016, C 406/14.

[9] Cfr. CGUE, 26 settembre 2019, C-63/18, punto 27 e CGUE, 27 novembre 2019, C-402/18, punto 39.

[10] Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, sentenze n. 2675/2014 e n. 1224/2014; CGUE, 5 aprile 2017, C-298/15, punti 47 e ss.; CGUE, 14 gennaio 2016, C-234/14, punto 28; CGUE, 10 ottobre 2013, C 94/12, punto 31.

[11] Cfr. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, DIKE Editore, 2020, p. 1381.

[12] Art. 105, comma 6, d.lgs. 50/2016.

Cristina Piccolo

Cristina Piccolo nasce a Foggia il 20 giugno 1994.  Nel 2018 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università Lumsa di Roma con una tesi in diritto costituzionale dal titolo "Tutela giurisdizionale alla libera manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione” con la votazione di 110/110 e lode.  Da ottobre 2018 svolge il tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato. Da questa esperienza ha sviluppato l'interesse per il diritto amministrativo.  Ha inoltre svolto la pratica forense presso il Coordinamento Regionale INPS Lazio. 

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