venerdì, Marzo 29, 2024
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Successioni: il legato d’azienda

Il diritto successorio prevede che alla morte del de cuius i suoi beni vengano suddivisi seguendo le norme sulla successione testamentaria o quelle sulla successione legittima, a seconda che abbia lasciato le sue ultime volontà per iscritto o meno. Nel primo caso egli avrà la possibilità non solo di nominare i propri eredi ma anche di effettuare dei lasciti a titolo di legato i quali, secondo l’art 521 comma2 cc, se disposti in favore di un erede, seguiranno una sorte autonoma e indipendente dalle vicende relative all’eredità siccome anche se l’erede rinunciasse all’eredità, potrebbe comunque scegliere di trattenere il legato. In genere si distingue tra legati tipici, previsti espressamente dalla legge nel codice civile, e legati atipici, categoria ricostruita grazie all’attività interpretativa della dottrina e della giurisprudenza, al cui interno è stata ricondotta la particolare fattispecie del legato di azienda[1].

Infatti, in ossequio al principio di autonomia testamentaria secondo il quale il de cuius è libero di disporre a suo piacimento delle sue sostanze per il periodo successivo alla sua morte, l’oggetto del legato può comprendere qualsiasi cosa, perfino priva di patrimonialità, purché rispetti i limiti di possibilità, liceità, determinatezza e determinabilità previsti dall’art 1346 in generale per la materia negoziale. Non vi è dubbio, pertanto, che l’azienda sia suscettibile di divenire oggetto di disposizione mortis causa considerato che essa costituisce un’universalità di fatto ai sensi dell’art 816 cc comma 1 secondo il quale “è considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.” Né vi sono critiche circa l’applicabilità degli artt 2558 e 2559 cc che consentono al legatario di succedere nei rapporti attivi del de cuius i quali comprendono sia i contratti che le posizioni di credito, nati in virtù di esigenze legate all’esercizio dell’attività d’impresa. Tuttavia, i legati essendo atti mortis causaseguono una disciplina specifica, perciò anche per la nostra fattispecie che comporta il trasferimento dell’azienda ad un nuovo proprietario, non si possono applicare le regole in tema di trascrizione dettate dall’art 2556 cc con riferimento unicamente agli atti di natura contrattuale e pertanto inapplicabili ai negozi unilaterali come il testamento[2]. Quindi, sarà onere del legatario che abbia interesse a divenire imprenditore occuparsi dell’iscrizione dell’azienda nel registro delle imprese secondo l’art 2196cc e non secondo il 2556 cc..

La particolarità della materia successoria viene in rilievo soprattutto con riguardo alla sorte dei debiti aziendali. La Corte di Cassazione con sentenza n 1720/2016ha affermato la responsabilità del legatario per i debiti dell’azienda legata, seppur nei limiti del valore della stessa (intra vires). La Suprema Corte ha coerentemente applicato un principio fondamentale della materia successoria per il quale mentre l’erede (heres ex asse)succede nell’universum ius defunti rispondendo illimitatamente dei debiti ereditari, qualora non abbia scelto di usufruire del beneficio di inventario, il legatario succede solo nei rapporti attivi non dovendo sopportare l’onere del pagamento dei pesi ereditari oltre il valore della cosa legata (neminem oportet plus legati nomine praestare quam ad eum ex hereditate pervenit).Non vi sono problemi qualora il testatore abbia già disposto in ordine alla sorte dei debiti aziendali distribuendoli tra eredi e legatari per testamento, viceversa sorgono dubbi quando abbia lasciato scoperte le loro sorti. Sulla questione la dottrina si è divisa tra coloro che sostengono che l’azienda abbia natura di universalità di fatto[3], affermando che nel silenzio del testamento i debiti aziendali passano unicamente all’erede considerato che non essendo questi configurabili come veri e propri beni non potrebbero far parte dell’universalità di fatto e pertanto sono da considerarsi come indipendenti da essa e gravanti sull’intera eredità; in senso contrario, altra dottrina ha interpretato l’azienda come universalità di diritto[4]configurando i debiti aziendali come rapporti giuridici di debito e quindi come elemento costitutivo dell’universalità di diritto, la cui responsabilità ricade solamente sul legatario, anche se solamente intra vires. La citata sentenza della Cassazione ha favorito questa seconda ricostruzione adducendo in motivazione la priorità della disciplina successoria su quella contrattuale e concludendo che “tali debiti non sono da identificare con i debiti ereditari di cui all’articolo 756 codice civile, che il legatario “non è tenuto a pagare”; sono infatti una componente del bene attribuito, che incombe per tale via sul legatario, così come ex articolo 668 codice civile se la cosa legata è gravata da una servitù o da altro onere, il peso ne è sopportato dal legatario[5].

Se da una parte il legato di azienda apporta un vantaggio nella sfera giuridica del legatario, dall’altra, limita la possibilità agli eredi di iniziare una nuova impresa in concorrenza con quella del de cuius. Infatti, uno degli effetti più rilevanti della fattispecie considerata consiste nel far ricadere il divieto di concorrenza ex art 2557 cc sugli eredi, i quali proprio in virtù della loro successione nei rapporti dell’imprenditore[6]- alienante, non potranno avviare una nuova impresa per 5 anni successivi al trasferimento dell’azienda, che avverrà automaticamente all’apertura della successione e a prescindere che i successori ne abbiano conoscenza siccome il testamento non ha carattere recettizio. Tuttavia, la dottrina minoritaria[7]esclude in totola possibilità di applicare il divieto di concorrenza in caso di legato di azienda perché considera irrilevante l’eventuale nuova attività d’impresa svolta dagli eredi in via autonoma in quanto, qualora non avessero mai preso parte all’esercizio dell’attività del de cuius, sarebbero privi di esperienza nel campo e pertanto innocui dal punto di vista concorrenziale nei confronti dell’azienda lasciata al legatario.

Infine, la successione nell’azienda comporta che l’esercizio dell’impresa venga continuato con l’originaria denominazione. Tuttavia, l’art 2565 cc prevede che ben potendo la ditta essere trasferita al successore insieme all’azienda, è fatta salva la possibilità per il testatore di esprimere una volontà diversa[8]. Perciò la ditta sarà destinata ad estinguersi nel caso in cui egli esprima nel testamento l’espresso divieto di trasferirla insieme all’azienda. Infatti, così come il legatario non potrà mai farne uso siccome non gli è stata lasciata con il legato, allo stesso modo neanche gli eredi potranno usarla per la propria azienda visto che la ditta, per il suo carattere strettamente distintivo, continuerà a riferirsi all’azienda originaria. Per quanto riguarda l’insegna ed il marchio, questi seguiranno per analogia la stessa disciplina della ditta e quindi accompagneranno l’azienda alienata o meno a seconda della volontà del testatore.

[1]G. Capozzi, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Successioni e Donazioni,quarta edizione, Giuffré editore, Milano 2015; Satta, Legato di azienda e accettazione di eredità con beneficio di inventario, in Foro it., 1955

[2]Bigliazzi Geri, Il testamento, Giuffré 1976

[3]Graziani, L’impresa e l’imprenditore, Napoli, 1959; Cassaz. 22 marzo 1980 n 1939; Cassaz 23 febbraio 1948 n 284

[4]Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Jovene 2002; Genovese, Il passaggio generazionale dell’impresa: la donazione di azienda e di partecipazioni sociali, in Riv. Diritto comm., 2002; Cassaz., 5 ottobre 1957 n 3613; Cassaz., 29 agosto 1963 n 2391; Cassaz., 11 agosto 1990 n 8291; Cassaz., 30 settembre 2002 n 10761

[5]Cassaz 29 gennaio 2016 n 1720

[6]Cassaz 18 giugno 1957 n 2314

[7]Mettieri, I debiti aziendali e le disposizioni di ultima volontà, in Nuovi quaderni di vita notarile n2, s.d., 5 ss.

[8]M Sesta, Codice delle successioni e donazioni, Volume II, Giuffré 2011.

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