venerdì, Aprile 19, 2024
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Successioni: l’intestazione fiduciaria

Secondo il nostro ordinamento, l’intestazione fiduciaria sorge con un contratto di mandato in base al quale un soggetto (il fiduciante) trasferisce un diritto ad un altro soggetto (il fiduciario), con l’obbligo per quest’ultimo di esercitarlo al fine del soddisfacimento di determinati interessi del trasferente o di un terzo oppure comuni a lui ed al trasferente. Con l’intestazione fiduciaria, il fiduciario ha il compito di amministrare- in modo professionale, seguendo le indicazioni del fiduciante – i beni affidatigli.

Nel negozio fiduciario va dunque operata una netta distinzione tra rapporto interno, che lega il fiduciante al fiduciario, e rapporto esterno, che lega il fiduciario a terzi. I due concorrenti profili, interno ed esterno, hanno fatto di volta in volta propendere dottrina e giurisprudenza o per uno schema negoziale unitario, ovvero per un’impostazione di tipo dicotomico, secondo la tesi del collegamento negoziale.

Sono infatti possibili due chiavi di lettura del ruolo del fiduciante: la lettura romanistica e quella germanistica.

Secondo la teoria della “fiducia romanistica”, il fiduciario diventa effettivo proprietario dei beni conferitigli dal fiduciante ed è obbligato nei confronti dei beneficiari in virtù di un’obbligazione naturale.

Secondo la lettura “germanistica” invece, il vincolo di destinazione sul bene è più intenso; quindi non c’è trasferimento effettivo della titolarità del bene, perché il fiduciario riceve solo la legittimazione ad esercitare in nome proprio un diritto che però continua a rimanere in capo al fiduciante. In questo tipo di fiducia in genere le parti contraenti pongono in essere una serie di meccanismi idonei a tutelare il fiduciante, ad esempio prevedendo una condizione risolutiva con cui si stabilisce la permanenza degli effetti obbligatori del negozio fino all’adempimento degli obblighi assunti dal fiduciario.

Secondo l’articolo 458 c.c. – però- “è nella ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E’ del pari nullo ogni negozio col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia dei medesimi”. Tale nullità è comminata dal Legislatore al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che un atto viola il divieto di patti successori sol qualora attui la trasmissione dei diritti relativi a una successione non ancora aperta e faccia sorgere un vinculum iuris. Per stabilire se un determinato atto ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare:

  • Se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta;
  • Se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione e debbano comunque essere compresi nella stessa;
  • Se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte alla propria successione, privandosi dello ius poenitendi;
  • Se l’acquirente abbia contratto o stipulato come avente diritto alla successione stessa;
  • Se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato.

Alla luce dell’operatività, nel nostro ordinamento, della disciplina dell’articolo 458 c.c., è d’uopo verificare la liceità del negozio fiduciario in relazione alla disciplina dei patti successori.

Secondo una prima tesi, un negozio mediante il quale il futuro de cuius affida parte dei suoi beni a un fiduciario, disponendo la distribuzione dei beni conferiti ai beneficiari una volta apertasi la successione, potrebbe essere nullo in quanto contrario al divieto dei patti successori ex articolo 458 c.c. La comminatoria di nullità, prevista dal Legislatore, scatterebbe in quanto tali accordi sarebbero lesivi del principio di ordine pubblico posto a tutela della libertà del testatore di modificare in ogni tempo le sue disposizioni di ultima volontà, nonché del principio in forza del quale, per disporre validamente mortis causa, l’unico strumento tipico ammesso nel nostro sistema è il testamento. L’eventuale accordo fiduciario stipulato in violazione di tali principi dovrebbe ritenersi nullo per le medesime ragioni per le quali si afferma la nullità del c.d. mandato post mortem.

E’ doveroso ricordare che è tale il mandato con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra dopo la morte di questa. Si ritiene che esso sia valido, in quanto la regola che sancisce l’estinzione del mandato alla morte del mandante è derogabile, ma nei limiti in cui non si risolva nell’attribuzione di diritti patrimoniali successori; pertanto, non incorrerebbe nel divieto del patto successorio istitutivo il mandato a compiere:

  •  atti materiali non negoziali (ad es. curare la cremazione del mandante);
  • atti dispositivi di beni già usciti dal patrimonio del mandante al momento della sua morte.

Tuttavia è stato autorevolmente sostenuto che il mandato o l’incarico fiduciario potrebbero essere considerati validi:

  • nei casi di mandato post mortem exequendum, quando cioè il bene è già stato validamente trasferito in vita dal fiduciante e il fiduciario deve solo compiere operazioni materiali a favore del terzo beneficiario (come consegnare il bene o titoli rappresentativi del bene e rendere i conti)
  • quando ricorrano le condizioni di cui all’articolo 1412 c.c. (norma che si riferisce alla prestazione a favore del terzo dopo la morte dello stipulante, garantendo il beneficio della revoca anche mediante disposizione testamentaria).

Considerando però che “il contratto, con cui una parte deposita presso un’altra una determinata somma ed attribuisce ad un terzo, che prende parte all’atto, il diritto a pretenderne la restituzione dopo la propria morte, non configura un contratto a favore di terzi, con esecuzione dopo la morte dello stipulante, a norma dell’articolo 1412 c.c. , avendo il terzo assunto la qualità di parte dell’atto e lo stipulante obbligandosi in suo diretto confronto a mantenere ferma la disposizione in suo favore” (Cassazione sent. 8335/90), al fine di determinare la validità del negozio fiduciario, è necessario verificare se i beni conferiti dal futuro de cuius al fiduciario siano usciti dal suo patrimonio mentre il fiduciario era in vita.

La tesi della validità potrebbe invero essere suffragata da alcune norme promulgate dal Legislatore, il quale sembra applicare la teoria della fiducia romanistica nel disciplinare il negozio dell’intestazione fiduciaria.

Il riferimento è in particolare all’articolo 627 c.c. secondo il quale “non è ammessa azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta. Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione”. Dal testo dell’articolo si evince che il fiduciario diventerebbe titolare di un diritto opponibile erga omnes e quindi proprietario effettivo del bene conferitogli nel caso di negozio fiduciario (mediante un valido negozio inter vivos).

La bontà di tale impostazione è avallata altresì dalla Suprema Corte, secondo la quale: “L’esecuzione volontaria della disposizione fiduciaria dà luogo ad un’ipotesi di obbligazione naturale. Tenendo presente il testo della norma contenuta nell’articolo 627 c.c. e la sua ratio, nonché la sua collocazione nel campo relativo specificamente alle disposizioni testamentarie, deve ritenersi che la disposizione fiduciaria ivi regolata è concepibile esclusivamente nel campo delle successioni testamentarie. Infatti, tutto il sistema ed il meccanismo della disposizione fiduciaria e della sua limitata efficiacia (soluti retentio in caso di esecuzione spontanea) presuppone, in maniera inequivocabile, l’esistenza di un testamento avente le forme di legge e di una disposizione in esso contenuta a persona diversa da quella effettivamente voluta dal testatore (Cassazione sent. 888/1962).

Aderendo a tale impostazione, a nostro avviso, il negozio fiduciario potrebbe dunque non rientrare nelle fattispecie gravate dal divieto dei patti successori.

Alessandro Palumbo

Alessandro Palumbo è uno studente ventiduenne iscritto al quarto anno di studi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Nel settembre 2015 ha preso parte all’evento “ROME FAO MUN”, come membro permanente della Commissione affari costituzionali e legali (CCLM), presso la Food and Agricolture organization of the United Nations (FAO). Nell’estate del 2016 è stato selezionato come “Intern” dal Presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi. Durante l’internship presso lo studio legale Danovi&Giorgianni ha avuto modo di studiare materie quali: contenzioso civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto successorio, diritto notarile, diritto di famiglia, diritto arbitrale. Egli ha altresì redatto molteplici pareri legali e preso parte alle udienze sia presso il Tribunale che presso la Camera Arbitrale. Email: alessandro.palumbo@iusinitinere.it

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