Sulla legge costituzionale n. 240/2019 in materia di riduzione del numero dei parlamentari: Meno è meglio?
- “Voi siete qui”: premessa.
Un taglio dei parlamentari netto del 36,5 % riduce la compagine dei deputati da 630 a 400 unità ed i membri della Camera alta da 315 a 200 senatori elettivi.
Trattasi del più immediato e clamoroso tra gli effetti riconducibili alla L. Cost. n. 240/2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 ottobre.
Quest’autunno è stagione di riforme:[1]
- è in corso d’esame, presso il Senato, un testo di modifica dell’art. 58, c. 1 Cost. che, portando da 25 a 18 anni l’età per eleggere gli inquilini di Palazzo Madama, parifica il regime dell’elettorato attivo dei rami parlamentari;[2]
- è, altresì, in discussione la proposta di modifica costituzionale che, integrando l’art. 71 e modificando il c. 4 dell’art. 75 Cost., introduce una forma di iniziativa legislativa popolare “rinforzata” giacché può trovare conferma nell’esito di una consultazione ad hoc dell’elettorato, ed incide sulla disciplina del referendum abrogativo, con particolare riferimento al quorum necessario alla sua approvazione;[3]
- è al vaglio della “Camera di raffreddamento” un disegno di legge costituzionale che, abrogando l’art. 99, segna il superamento del Consiglio nazionale dell’economia e del Lavoro (CNEL).
- infine, dallo scorso 20 novembre, la I Commissione della Camera -Affari Costituzionali- ha avviato l’esame di una proposta di legge costituzionale che modifica agli artt. 57 e 83 Cost., in materia di base elettorale per l’elezione del Senato e di riduzione del numero dei delegati regionali per la nomina del Presidente della Repubblica.
- Iter, sostanza, ratio legis e metodo.
Non è stata ad ostacoli la corsa della L. Cost. n. 240/2019, sebbene, proprio al traguardo, l’attenda un’ultima, eventuale, prova.
Ai “blocchi di partenza” del Senato, tre distinte iniziative parlamentari[4] che, confluite in un unico testo, vengono rapidamente approvate il 7 febbraio 2019. Altrettanto fulminea è la permanenza del disegno di revisione costituzionale A.C. n. 1585 -uno e trino- presso la Camera bassa che, il 9 maggio 2019, concede il suo placet: in 7 mesi si chiude la prima deliberazione delle assemblee rappresentative.
Dopo tre mesi di forzata, ma opportuna, attesa,[5] la proposta “torna all’ovile”: la maggioranza assoluta[6] dei senatori, l’11 luglio 2019, dà il via libera all’ultima tappa. La seconda deliberazione si perfeziona, lo scorso 8 ottobre, in seno alla Camera dei Deputati che approva la proposta a maggioranza dei due terzi dei componenti. La novella viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 ottobre 2019, dies a quo del termine di 3 mesi entro il quale i soggetti autorizzati ex art. 138 Cost.[7] potranno chiedere la sottoposizione della legge a consultazione popolare dal cui esito dipenderà la promulgazione dell’atto e la conseguente entrata in vigore.
La raccolta delle adesioni ha già preso il via: ai comitati, vivaci centri di discussione fioriti lungo la Penisola tutta, si affianca l’iniziativa dei parlamentari fuori dal coro: la memoria non può che andare al recente referendum confermativo del 4 dicembre 2016.
La riforma si snoda in 4 segmenti:
- L’art. 1, che definisce il numero dei deputati, così modifica l’art. 56 Cost.:
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di quattrocento (seicento), otto (dodici) dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue (seicentodiciotto) e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
- L’art. 2, individuando la cifra dei senatori, incide sull’art. 57 Cost. con le seguenti modalità:
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di duecento (trecentoquindici), sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre (sette); il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.[8]
- L’art. 3 che, provvidenzialmente,[9] riforma il regime della nomina dei senatori a vita, sostituisce, in tal guisa, il comma 2 dell’art. 59:
È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.[10]
- Infine, l’art. 4 disciplina la vigenza delle revisioni in parola, stabilendo che troveranno applicazione a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla medesima.
Può sorprendere come un articolato così asciutto e scarno[11] -che, come tale, non lascia spazio a rilievi sulla tecnica normativa- possa, invece, risultare riccamente controverso sul piano della sostanza.
Contraddizioni e spinosità brillano alla luce della ratio legis: l’intervento sarebbe teso alla duplice finalità di “favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e di ottenere concreti risultati in termini di spesa (dunque ridurre i costi della politica)”.[12]
Sta a noi, quindi, una duplice indagine: accertare che le modifiche siano idonee al conseguimento degli obiettivi prefissati e verificare che non si pongano in contrasto con la nostra forma democratica.
Il revisore, quasi fosse in ascolto, così ci rassicura: “Occorre partire dalla drastica riduzione del numero dei parlamentari. In tal modo, sarà più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare in alcun modo il principio supremo della rappresentanza. Sarà in tal modo possibile conseguire anche ingenti riduzioni di spesa poiché il numero complessivo dei senatori e dei deputati risulterà quasi dimezzato”.
Al paragrafo 20 del contratto di Governo “giallo-verde”[13] è lasciata la narrazione del denso programma di riforme istituzionali di cui il taglio dei parlamentari è fulcro e debutto.
Singolare e pericoloso, a giudizio di chi scrive, partire dalla coda: non è casuale che i pregressi -seppur vani- tentativi[14] di ridimensionare le assemblee rappresentative fossero momento di complesse revisioni organiche[15] riformanti il rapporto Stato – regioni, il bicameralismo paritario e la legislazione elettorale, le dinamiche tra poteri dello Stato e quindi incidenti sulla forma di Governo.
Spettrale, aleggia il dubbio che l’intervento costituzionale in parola, quale cardine del progetto riformatore e non mero, ma comunque opportuno, “corredo di complemento”[16] rischi di esporre la nostra -già fragile- democrazia a più criticità di quante ne contribuisca a rimuovere.
- La riforma alla prova delle promesse della politica.
Le aspettative sono alle stelle: il taglio dei parlamentari garantirebbe, quindi, un considerevole risparmio di pubbliche risorse e ci consegnerebbe un Parlamento più efficiente, rigorosamente senza indebolire il carattere rappresentativo della forma di Governo. Con poco sforzo, difatti, si costruirebbe un sistema economico e funzionale, ma carente di rappresentatività e democraticità.[17]
Verifichiamo.
3.1 La riduzione dei costi.
Le testate giornalistiche forniscono i numeri:[18] alcune -ottimiste- si aspettano un risparmio di 82 milioni di euro all’anno, altre -correttamente[19]– prevedono un taglio di 57 milioni, ben 285 a legislatura.
Cifre ragguardevoli, ma ingannevoli. Le giuste proporzioni mostrano le effettive dimensioni: una riduzione dei costi di 82 milioni si risolverebbe in un risparmio di soli 3,12€ a famiglia (1,35€ per cittadino)[20], mentre il taglio di 57 milioni è poca cosa se parametrato all’ammontare della spesa pubblica italiana o, a titolo di esempio, ai 7 miliardi stanziati nel 2019 per il Reddito di cittadinanza dei quali, rispettivamente, rappresenta lo 0,007% e -all’incirca- lo 0,8%.[21]
I “padri” della riforma ne danno altri: confidano, infatti, in un contenimento dei costi pari a 500 milioni a legislatura -quasi la metà della reale stima- e di ciò vorrebbero persuaderci: dicasi propaganda.
Icaro, superbo, è stato punito. Chi è rimasto al Governo, stringendo nuove -ed inaspettate- alleanze, ha necessità di rinfocolare il consenso dei suoi, e non solo: il taglio dei parlamentari è, da sempre, cavallo di Troia del Movimento 5 stelle, argomento trasversale che, infiammando il sentimento, spegne la ragione.
Facilmente, infatti, si cade nel seguente tranello: “una riduzione del numero dei parlamentari di un terzo, non significa ridurre di un terzo le spese di funzionamento delle due Camere”.[22] I costi dei rimborsi spesa, delle indennità e delle spese per l’esercizio del mandato -i soli limitabili ed, effettivamente, ridotti- non vanno confusi con quelli, irrinunciabili e ben più sostanziosi, della democrazia.[23]
E allora giù la maschera: non solo la cifra conservata è, notevolmente, più scarsa di quella propugnata, ma pare altresì acclarato che non sia il contenimento dei costi della politica la miccia di siffatto intervento bensì il tentativo di consolidare quella originale creatura che è la presente legislatura. [24]
Paradossalmente, il taglio dei parlamentari finisce per “costarci” più del risparmio accantonato, nei termini che ci apprestiamo a vedere.
3.2 Rappresentatività delle Assemblee.
Sono giorni duri,
sono giorni bugiardi,
cara democrazia.[25]
E nel cuore sei colpita: il Parlamento è concepito nel disegno costituzionale quale “centro motore del sistema”[26] e la cifra dei suoi componenti, in combinato disposto con la legge elettorale, ne esprime il grado di rappresentatività che viene corroso da questa riforma.
E’ una riflessione quasi matematica -che sappiamo non essere un’opinione- quella secondo cui tanto più è elevato il rapporto[27] tra numero di cittadini e quello degli eletti, tanto meno, quella relazione sarà continuativa ed intima. Non è una china dalla quale si può risalire mediante l’appiglio al divieto di mandato imperativo che, correttamente, va interpretato: l’art. 67 Cost. sottrae deputati e senatori da qualsivoglia obbligo giuridico connesso ad interessi particolari cui potrebbero essere costretti a prostrarsi. Giammai intende rescindere quella, auspicabilmente viva, dinamica tra cittadini e parlamentari -o aspiranti tali- che:
- nella fase pre-elettorale, prendono in conto le necessità ed i meritevoli interessi dell’elettorato;
- durante lo svolgimento del mandato, devono tenere conto delle istanze raccolte;
- al termine dell’incarico, sono tenuti a render conto dell’attività svolta.[28]
Le Camere giocano, infatti, un ruolo attivo e reattivo: individuano e risolvono criticità in autonomia ed altresì intervengono sulla scorta degli stimoli e sollecitazioni della società.
La rappresentanza politica, che “sempre ha base territoriale”,[29] dal revisore viene sradicata, svuotando di senso il mandato parlamentare che dello scambio con l’elettorato si nutre.
Tale effetto è dato dal micidiale intreccio della L. Cost. n. 240/2019 con la L. n. 51/2019[30] che, recante “Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari”:
- sostituisce al numero dei collegi uninominali di Camera (232) e Senato (116) un agile rapporto frazionario -i tre ottavi del totale dei seggi- la cui applicazione restituisce le medesime cifre attualmente fissate; [31]
- delega al Governo -entro 60 giorni dall’avvenuta riduzione dei parlamentari e, quindi, dei seggi disponibili- il compito di ridisegnare la mappa dei collegi elettorali, [32] i quali, inesorabilmente perimetrati da più estesi confini, finiranno per fiaccare il rapporto tra elettori ed eletti, costringendoli ad una lontananza che, solo arduamente, questi ultimi potranno colmare anche ricorrendo a potenti ed onerosi mezzi massivi di comunicazione.
Si profilano, pertanto, due gravi ricadute: lo smodato costo delle campagne elettorali non solo irragionevolmente fissa un’implicita soglia per l’accesso alla politica, ma, ulteriormente, facilita l’irruzione, nella fase elettorale, di centri di interesse economico che -una volta puntato sul “cavallo”
ritenuto vincente- si adopereranno per favorirne le sorti nel corso della competizione. Sarebbe, quindi, auspicabile, quale antidoto alle paventate interferenze, la reintroduzione di forme di pubblico finanziamento ai partiti[33] nonché la, contestuale, disposizione di rigorosi mezzi di controllo delle private elargizioni. Così facendo, tuttavia, si rischierebbe di oltre modo penalizzare gli strumenti di fundraising e, quindi, oltre misura depauperare la spesa elettorale e pertanto limitare -se non del tutto impedire- l’uso di quei dispendiosi canali comunicativi condicio sine qua non del dialogo tra governati e governanti, linfa della rappresentanza politica.[34] Siamo, evidentemente, intrappolati in un circolo vizioso. Quindi, ancora distanza, ma non solo “fisica”, anche “sociale”[35]: inarrivabili sono sentiti sia la persona del parlamentare in cui le esigenze territoriali trovano un raccordo con il pubblico interesse, sia l’esercizio della funzione stessa -d’élite, non alla portata del quisque de populo– ed effetto di siffatta percezione è l’incremento dei -già profondi- scetticismo e disaffezione nei riguardi dei partiti le cui figure apicali sono, peraltro, chiamate a svolgere un ruolo ancor più pregnante nel funzionamento della democrazia. L’interazione della presente riforma con la L. n. 51/2019, infatti, accentua la verticalizzazione del sistema politico-istituzionale:[36] in composizione ridotta ed alle prese con collegi sempre più vasti, i candidati non riescono ad esser capillarmente presenti sul territorio e la progressiva “dematerializzazione” del rapporto politico rafforza le leadership nazionali,[37] sui media onnipresenti. La selezione “dal basso” dei rappresentanti, complici le famigerate “liste bloccate”, diviene ricordo romanticamente nostalgico e l’indebolimento dei meccanismi di confronto finisce, inesorabilmente, per impoverire o, addirittura, sacrificare i contenuti dei programmi politici.
Profetico Palmiro Togliatti[38].
Cadono vittima delle forbici del revisore e della nuova geografia elettorale anche i territori interni scarsamente popolati e le minoranze, non solo linguistiche.[39]
Le aree interne al Paese dalla bassa densità abitativa -sovente “combattenti” per l’effettività del diritto alla salute, all’istruzione e dei servizi di trasporto- faticheranno a trovare interlocutori che si facciano portavoce delle proprie esigenze degne di sostegno.[40] Frustrate, giacché isolate, queste zone diverranno focolaio di un aggressivo sentimento di antipolitica che, irradiandosi, alimenterà la “fuga dalle urne”, inequivocabile espressione del disinteresse verso la partecipazione alla “cosa pubblica”. A quel punto, non sarà il solo carattere rappresentativo, bensì la forma democratica, in sé, ad essere in pericolo. Analogo discorso per le minoranze che, pur costituzionalmente protette,[41] con crescente difficoltà si rispecchieranno nelle Assemblee: la riduzione dei seggi disponibili, abbinandosi alla dimensione dei collegi, determinerà un implicito innalzamento della soglia di sbarramento[42] del 3% per le singole liste, introducendo, senza pubblica consapevolezza, un più selettivo meccanismo di accesso alla rappresentanza.[43] Gli “esclusi” -uniti in movimenti extraparlamentari- potrebbero innescare o concorrere ad inasprire il conflitto politico.[44]
Un Parlamento depauperato delle proprie risorse non è certo eccellente “contenitore” rappresentativo della nostra società che, attraversata da una moltitudine di venature di carattere socio-economico nonché, colorata da un’infinità di nuances culturali,[45] è composta da minoranze le quali, con apparente ossimoro, potrebbero -oggi- definirsi la nuova maggioranza.[46]
In ultimo, la riduzione dei componenti delle Camere in rapporto alla dimensione dei collegi si abbatte fatalmente sulla circoscrizione Estero, che, ora come allora, se non peggio, esprime parlamentari obiettivamente impossibilitati a farsi veicolo delle istanze dei territori intercontinentali che tentano di rappresentare. Coerentemente, delle due l’una: lasciare invariata la cifra di deputati e senatori ivi eletta[47] oppure definitivamente sopprimerla.
Al revisore sono tremate le mani nel momento meno opportuno.[48]
3.3 Funzionalità parlamentare.
C’è un ultimo traguardo cui ambisce il revisore: semplificare l’iter legis,[49] renderlo maggiormente efficiente[50], nonché conferire al medesimo più “agilità e speditezza”.[51]
Tra gli auspicati effetti, tuttavia, il solo dimostrato[52] parrebbe la razionalizzazione delle lungaggini della genesi normativa, simbolico carattere delle nostre sedi rappresentative.
Che più veloci siano i tempi di un’Assemblea la cui composizione sia stata ridotta, è sicuro.[53]
Che non si tratti di un’indefettibile necessità, lapalissiano: qualora, infatti, improcrastinabili impellenze richiedano al legislatore tempestività d’azione, sono già a disposizione le più snelle e rapide forme d’intervento -alternative al procedimento ordinario- di cui all’art. 72 Cost.[54] nonché la decretazione d’urgenza che, spesso abusata, alle sole ipotesi ex art. 77 Cost.[55] andrebbe severamente circoscritta.
Che, contrariamente, sia prioritaria l’esigenza di approntare al processo deliberativo un tempo di discussione maggiormente adeguato, è altrettanto certo: è il Giudice delle leggi a puntare i riflettori sulla necessità che gli snodi procedurali di cui all’art. 72 Cost. siano con rigore osservati giacché posti a presidio delle aule parlamentari quali “luogo di confronto e discussione tra forze politiche, nonché a garanzia dell’ordinamento nel suo insieme il quale si regge sul presupposto che vi sia un’ampia possibilità, per tutti i rappresentanti, di contribuire alla formazione della volontà legislativa”.[56]
Intendiamoci. Velocizzare l’iter legis è, certamente, un’opportunità che, tuttavia, può essere colta solo a costi non iperbolici: soffocare il dibattitto significherebbe vanificare la funzione parlamentare. Una votazione priva di emendamenti depaupera il confronto, impedisce la considerazione di tutti gli interessi coinvolti e, quindi, che il testo finale sia il migliore possibile.[57]
In ogni caso, i lunghi tempi di “gestazione normativa” non hanno, affatto, impedito l’edificazione di un “sistema legislativo ipertrofico”[58] che necessiterebbe di interventi deflativi.
Non si commetta l’ingenuità di confondere rapidità e quantità con efficienza e qualità -“corruptissima re publica plurimae leges”-[59] e non sempre valevole è l’assioma per cui “in pochi si lavora meglio che in tanti”:[60] limitandone i membri, il distratto revisore rischia di sovraccaricare i rimanenti ed ingolfare i lavori delle Camere giacché -quella legislativa- non è l’unica rilevante funzione svolta.[61]
- L’elezione del Presidente della Repubblica.[62]
Della L. Cost. n. 240/2019 “colpisce non tanto quello che c’è, quanto piuttosto quello che non c’è”.[63]
Ed effettivamente grave è l’omessa rimodulazione delle delegazioni dei Consigli regionali, integrative delle Camere in occasione della nomina del Capo dello Stato.[64] Non a caso, alla riduzione di 1/3 dei parlamentari fa eco il considerevole potenziamento di tale componente che, dall’attuale 5,7%, va a rappresentare l’8,8% dell’intero collegio elettorale presidenziale.[65]
Il passaggio da 3 a 2 delegati (con la sola eccezione della Valle d’Aosta) avrebbe ripristinato le proporzioni costituzionalmente date, riportando l’incidenza della compagine al 5,9%.
Raddrizzata una stortura, tuttavia, un’altra ne insorgerebbe: l’art. 83, c. 2 Cost. garantisce, in seno alle delegazioni locali, la rappresentanza delle minoranze che, paradossalmente, finirebbero per essere sovrarappresentate, giacché espresse dallo stesso numero di delegati della maggioranza consiliare.[66]
- Redde rationem.
Ci si deve approcciare a questa riforma con la tecnica del ragioniere e la sensibilità del giurista.
La determinazione del numero dei parlamentari è delicata operazione, dovendo contemperare le esigenze di snellezza ed efficienza delle Aule e di capacità, sempre delle stesse, di rappresentare degnamente il pluralismo territoriale e politico del Paese. Influisce -inutile negarlo- sul funzionamento della forma di governo. Duro è il colpo assestato al carattere rappresentativo della nostra democrazia. Aggiungerei, “sotto la cintura”, scorretto e vigliacco. I promotori della revisione ci avevano assicurato che, in modo alcuno, avrebbe intaccato “il principio supremo della rappresentanza”.[67] La vigente riforma, contrariamente, ci restituisce un Parlamento distante e fiaccato. L’autorevolezza di un organo non è, di per sé, legata alla composizione numerica, bensì all’efficacia della propria azione. Se simbolico ruolo delle Assemblee è farsi “calderone” delle esigenze della collettività tutta attraverso deputati e senatori, ricettive propaggini sul territorio della Nazione, la dimensione quantitativa diviene, tuttavia, essenziale, ancor di più a seguito della dilatazione dei collegi elettorali a norma della “diabolica”[68] L. n. 51/2019. Più rapida, ma superficiale è la funzione legislativa, le altre, stante la drastica riduzione dei partecipanti, appesantite ed affaticate. L’efficienza “non è di casa”. E bugiarde sono le cifre del risparmio di pubbliche sostanze.
“I numeri sono l’unica cosa che non inganna” -sosteneva Pitagora- salvo che non se ne faccia un uso strumentale: tale è il riferimento all’abbattimento dei costi della politica, panem et circenses. Nel medesimo solco, il rimando alla prospettiva comparatistica, altro “richiamo della foresta”: è notorio che l’erba del vicino sia sempre più verde.[69]
La L. n. 240/2019 non semplicemente ci conforma agli standard europei in termini di dimensioni delle assemblee rappresentative, bensì ci proietta nell’“Olimpo” dei Paesi contrassegnati dal più alto rapporto tra abitanti per parlamentare,[70] indice, seppur “grezzo”,[71] della scarsa rappresentatività delle nostre Camere.
In questo caso, meno non è meglio, bensì troppo.
Il monito “μηδὲν ἄγαν”[72] è scolpito nel tempio di Apollo a Delfi.
- Ravvedimento operoso.
Dallo scorso 20 novembre, è in corso d’esame la proposta di legge costituzionale A.C. n. 2238[73] recante “Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica” sulla quale torneremo in altro scritto.
Per il momento, l’essenziale.
L’art. 1 modifica l’art. 57, c. 1 Cost.[74] che, nella vigente formulazione, stabilisce che il Senato è eletto “a base regionale” -ad esclusione dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero- prevedendo che sia eletto “su base circoscrizionale“.
L’art. 2 interviene sull’art. 83, c. 2 Cost.[75], portando da tre a due il numero dei delegati regionali partecipanti all’elezione del Capo dello Stato. Rimane invariata la disposizione che assegna alla Valle d’Aosta un solo delegato, così come il vincolo di assicurare la rappresentanza delle minoranze.[76]
In ultimo, l’art. 3, c.1 sospensivamente condiziona la vigenza delle presenti modifiche all’entrata in vigore della L. Cost. n. 240/2019; qualora la conclusione dell’iter ex art. 138 Cost. della presente P.D.L. avvenga in un momento successivo, entrerebbe in vigore il giorno dopo l’avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale a seguito della promulgazione. Il c. 2, ulteriormente, stabilisce che la riduzione del numero dei delegati regionali integranti il Parlamento in seduta comune in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica troverà applicazione a decorrere della prima legislatura per la quale -a sua volta- sarà adottata la legge costituzionale disponente la riduzione delle Camere.
Il legislatore corre ai ripari: “la limitazione del numero dei parlamentari pone il problema della rappresentatività delle assemblee legislative nazionali nei confronti del pluralismo degli interessi territoriali, politici e sociali espressi dal corpo elettorale, come anche la questione della funzionalità delle nuove Camere. Si tratta di una questione ignorata dalla L n. 51/2019 che, approvata per assicurare l’applicabilità della legge elettorale vigente in caso di approvazione della revisione costituzionale del numero dei parlamentari, determinerebbe, in assenza di ulteriori interventi legislativi e costituzionali, la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi ed un’accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media”.[77] C’è di più: “Queste proposte di modifica costituiscono un primo nucleo di interventi volti ad accompagnare la riduzione del numero di deputati e senatori, la cui ragione di fondo non può essere il mero “taglio delle poltrone” o una generica riduzione dei costi delle istituzioni, bensì la salvaguardia della dignità e del ruolo del Parlamento, l’organo costituzionale situato al centro della nostra democrazia rappresentativa, l’unico eletto direttamente da tutti i cittadini italiani”.[78]
“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”.[79]
[1] Per l’approfondimento del tema del c.d. regionalismo differenziato, ovverosia del riconoscimento, ex art. 116, c. 3 Cost., di maggiori forme di autonomia alle regioni a statuto ordinario -non incluso tra le riforme costituzionali giacché si avvale dell’ordinario iter legis, si rimanda alla relativa documentazione della Camera dei deputati, qui disponibile: https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104705.pdf?_1574983264627
[2] Per S. Troilo, “Audizione presso la I Commissione permanente della Camera dei deputati in merito alla proposta di legge cost. A.C. n. 1585 e alla proposta di legge A.C. n. 1616, concernenti la riduzione del numero dei parlamentari e conseguenti modifiche della legislazione elettorale”, giugno 2019, qui disponibile: http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2019/06/troilo.pdf, la riforma costituzionale in esame costituiva ghiotta occasione per intervenire sulla diversa età per l’elettorato attivo delle due assemblee rappresentative (la maggiore età per la Camera e 25 anni per il Senato), previsione, ad oggi, ritenuta anacronistica ed irragionevole. Se il difforme elettorato passivo, pure previsto per le due Camere, può tuttora trovare giustificazione nella maggiore maturità ed esperienza dei quarantenni, non è più ravvisabile motivazione alcuna “nell’esclusione di sette classi d’età dal diritto di voto per il Senato, anche perché, sempre più spesso, gli infraventicinquenni e gli ultraventicinquenni si trovano in analoghe condizioni di vita, ancora impegnati negli studi o nella formazione post-universitaria ovvero nella ricerca di un lavoro.”
- Curreri, “Audizione informale in relazione all’esame in sede referente della proposta di legge costituzionale in merito alle modifiche degli artt. 56, 57, 59 Cost. in materia di riduzione del numero dei parlamentari (C. 1585)”, aprile 2019, qui disponibile: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/564/prof._Curreri.pdf diversamente, si mostrava favorevole anche alla parificazione dell’elettorato passivo (25 anni per la Camera, 40 anni per il Senato). Merita di essere segnalato che, sebbene il testo di modifica cui si fa riferimento (A.C. n. 1140) intervenga, esclusivamente, sulla parificazione dell’elettorato attivo, sono state presentate ben 3 proposte di modifica, due delle quali parificavano l’elettorato passivo delle due assemblee rappresentative (25 anni oltre che per la Camera anche per il Senato), mentre l’altra, la P.D.L Meloni ed altri -A.C. 1873, qui disponibile: interveniva sugli artt. 56 e 58 Cost. attribuendo l’elettorato passivo agli elettori del medesimo ramo parlamentare (quindi 18 anni per la Camera e 25 anni per il Senato esattamente come per l’elettorato attivo).
[3] Esattamente, la maggioranza dei voti validamente espressi purché si sia recato alle urne almeno ¼ degli aventi diritto.
Per la trattazione approfondita della proposta di Legge costituzionale A.S. 1089, si rimanda ai seguenti contributi: https://www.iusinitinere.it/sostanza-e-ripercussioni-della-riforma-costituzionale-in-itinere-in-materia-di-iniziativa-legislativa-popolare-e-referendum-22594;
[4] A.S. n. 214, a prima firma del sen. Gaetano Quagliariello; A.S. n. 515, a firma dei senatori Roberto Calderoli e Gianluca Perilli; e A.S. n. 805 a firma dei senatori Stefano Patuanelli e Massimiliano Romeo.
[5] Si deve all’iniziativa di Costantino Mortati la previsione di un trimestre d’intervallo tra le due successive deliberazioni dei rami parlamentari. La ratio era -ed è ancora- scongiurare che la Carta cada vittima di impulsi momentanei o di interventi non sufficientemente ponderati. Oggi, impedisce -o per lo meno dovrebbe- che la manutenzione della nostra Legge fondamentale sia trattata dalle eterogenee forze politiche di maggioranza -per giunta dai volubili umori- alla stregua di merce di scambio. Con il senno di poi, l’idea di estendere il periodo di astensione ex art. 138 Cost. fino a sei mesi, pure ventilata nel corso dei lavori della Costituente, sarebbe stata avveduta.
Il termine dal quale comincia a decorrere l’intervallo di tre mesi per ciascuna assemblea rappresentativa è quello della prima deliberazione definitiva della singola Camera. Si veda S. M. Cicconetti, “Diritto Parlamentare”, II ed. aggiornata 2010, Giappichelli editore.
[6] Presenti 241, votanti 230, favorevoli 180, 50 contrari e nessuna astensione.
[7] A norma dell’art. 138 Cost., disciplinante il procedimento di formazione delle leggi di rango costituzionale, 1/5 dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 consigli regionali possono domandare che la novella, sempre che non sia stata approvata, nelle ultime due votazioni, a maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti delle assemblee rappresentative, sia sottoposta a referendum popolare. La legge sottoposta a consultazione non è promulgata se non approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi.
[8] Questa la precedente versione del comma 4: La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti e dei più alti resti”.
[9] Pregio indiscusso della riforma è sciogliere l’antico nodo ermeneutico avviluppato alla disciplina dell’art. 59 Cost.
Come pendolo, due le ricostruzioni tra cui si oscillava: il numero dei cinque senatori a vita, infatti, poteva, alternativamente, riferirsi alle prerogative della Presidenza della Repubblica quale organo costituzionale (sicché mai i senatori a vita avrebbero potuto eccedere il numero di cinque) o alle prerogative di ciascun Capo dello Stato (con la conseguenza che la compagine avrebbe potuto, di volta in volta, contare ben più di 5 membri).
In epoca precedente alla Presidenza Pertini, a prevalere fu la prima impostazione mentre, in costanza della Presidenza Pertini e Cossiga finì per imporsi la seconda interpretazione. L’orientamento “rigorista” tornò in auge sotto le Presidenze Scalfaro, Ciampi e Napolitano ed oggi viene cristallizzato dal citato art. 3, soffocando qualsivoglia disputa.
Una leggerezza, tuttavia, può essergli imputata: non intervenire sul mutato equilibrio tra il novero dei senatori di nomina presidenziale e quelli del collegio rappresentativo. Alla consistente riduzione di questi ultimi fa, ineluttabilmente, eco l’incremento del peso politico della prima componente.
Il legislatore che avesse voluto mantenere inalterate le proporzioni, senza ostacoli avrebbe potuto limitarla a 4 o 3 unità.
In questo solco G. di Plinio, “Un “adeguamento” della costituzione formale alla costituzione materiale. Il taglio del numero dei parlamentari in dieci mosse”, aprile 2019, qui disponibile: http://www.astrid-online.it/static/upload/0304/03042019001141.pdf.
[10] Così si presentava il comma secondo prima della riforma in esame: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
[11] Qui disponibile: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/10/12/19A06354/sg
[12] Relazione introduttiva del Disegno di legge costituzionale A.S. n. 805, qui disponibile: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01076402.pdf
[13] Qui disponibile: https://download.repubblica.it/pdf/2018/politica/contratto_governo.pdf
[14] Tra più noti: la revisione costituzionale su impulso del centrodestra (respinta dal Corpo elettorale con referendum confermativo il 25 e 26 giugno 2006) che prevedeva la riduzione dei deputati da 630 a 500 unità e dei senatori da 315 a 252; la c.d. “bozza Violante” che limitava il numero dei deputati a 512 e quello dei senatori a 225; la riforma “Renzi-Boschi” (anch’essa respinta dall’elettorato in sede di consultazione ex art. 138 Cost. il 4 dicembre 2016) che interveniva sulla sola composizione del Senato, riducendola a 100 membri, peraltro non elettivi.
Per un approfondimento sui numerosi trascorsi si rinvia a F. Clementi, “Sulla proposta costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari: non sempre less is more”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.osservatoriosullefonti.it/archivi/archivio-saggi/numeri-speciali/speciale-la-legislatura-del-cambiamento-alla-ricerca-dello-scettro-2-2019/1428-sulla-proposta-costituzionale-di-riduzione-del-numero-dei-parlamentari-non-sempre-less-is-more/file.
[15] In controtendenza, l’attuale progetto di revisione intende realizzarsi attraverso mirati, autonomi ed omogenei interventi.
Sul metodo, divisa è la dottrina: se G. di Plinio, op.cit, sarcasticamente sostiene che “il diavolo è nei dettagli”, altri accolgono con favore lo “spacchettamento” delle riforme. Di questo avviso G. Cerrina Feroni, op. cit. e D. Porena, “La proposta di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari (A.C. 1585): un delicato “snodo” critico per il sistema rappresentativo della democrazia parlamentare”, luglio 2019, qui disponibile: https://federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=39969&dpath=document&dfile=17072019224306.pdf&content=La%2Bproposta%2Bdi%2Blegge%2Bcostituzionale%2Bin%2Bmateria%2Bdi%2Briduzione%2Bdel%2Bnumero%2Bdei%2Bparlamentari%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B
[16] D. Porena, op. cit.
[17] C. Sbailò, “Tagliare il numero dei parlamentari? Si può a condizione di preservare la libertà di mandato. L’intima contraddittorietà della proposta gialloverde”, marzo 2019, qui disponibile: http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2019/04/sbailo.pdf
[18] QuiFinanza, “Quanto risparmiamo con il “taglio” dei parlamentari: cifre a confronto”, ottobre 2019, qui disponibile: https://quifinanza.it/soldi/taglio-parlamentari-quanto-risparmiamo-cifre-a-confronto/316181/
[19] La spiegazione per cui veritiera sia la previsione di un risparmio di 57 milioni di euro annui è ravvisabile in E. Frattola “Quanto si risparmia davvero con il taglio dei parlamentari?”, luglio 2019, qui disponibile: https://www.repubblica.it/economia/2019/07/24/news/quanto_si_risparmia_davvero_con_il_taglio_del_numero_dei_parlamentari_-231936717/
Salvo diversa indicazione, tutte le cifre riportate nel presente paragrafo sono tratte da questo articolo.
[20] Le stime del Codacons sono qui disponibili:
[21] I fondi per il reddito di cittadinanza sono stati messi a disposizione dalla legge di bilancio 2019 e dal D.L. n. 4/2019
recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni” e convertito con la L. n. 26/2019.
[22] B. Caravita, “Audizione, in Indagine conoscitiva nell’ambito dell’esame delle proposte di legge costituzionale C. 1585 cost. approvata dal Senato, e C. 1172 cost. D’Uva, recanti “modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” e della proposta di legge C. 1616, approvata dal senato, recante “disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari”, aprile 2019, resoconto stenografico qui disponibile: http://documenti.camera.it/leg18/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/01/indag/c01_riduzione/2019/04/03/leg.18.stencomm.data20190403.U1.com01.indag.c01_riduzione.0006.pdf
[23] In questo senso si veda la relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali istituita l’11/06/2013: “Nel dibattito pubblico si è connesso il tema della riduzione del numero dei parlamentari a quello del costo delle attività politiche, confondendo così questo piano con quello dei costi della democrazia. In realtà, il tema della riduzione del numero dei parlamentari è connesso alla moltiplicazione delle sedi della rappresentanza, rispetto al quadro che avevano i costituenti, e alla necessità di rafforzare la competenza, il prestigio e la reputazione delle Assemblee, anche in relazione ai nuovi compiti che ai parlamenti nazionali nella Unione Europea attribuisce il Trattato di Lisbona.”, qui disponibile: http://www.giurcost.org/cronache/commissioneriforme.pdf
[24] Così F. Clementi, op. cit., “Verrebbe da chiedersi: a cosa serve allora questa riforma? Di certo a fare propaganda e poi a consolidare la legislatura”.
[25] I. Fossati, “Cara democrazia”, 2006.
[26] M. Luciani, “Audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati”, marzo 2019, resoconto stenografico qui disponibile: http://documenti.camera.it/leg18/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/01/indag/c01_riduzione/2019/03/27/leg.18.stencomm.data20190327.U1.com01.indag.c01_riduzione.0004.pdf
[27] La riduzione del 36,5% dei parlamentari porta ad un aumento del rapporto del numero degli abitanti per deputato da 96.006 a 151.210 mila e quello per ciascun senatore da 188.424 a 302.420 mila unità.
Si veda L. Trucco, “Audizione senatoriale in merito al D.D.L. n. 881 su “la legge elettorale: per una determinazione dei collegi indipendente dal numero dei parlamentari”, gennaio 2019, qui disponibile: http://www.giurcost.org/studi/trucco_audizioneSenato_LeggeElettorale.pdf
[28] G. Passarelli, “Il ruolo della circoscrizione nei sistemi elettorali”, novembre 2018, qui disponibile: http://www.astrid-online.it/static/upload/prof/prof._gianluca_passarelli.pdf
[29] S. Curreri, op. cit. “Audizione informale in relazione all’esame in sede referente della proposta di legge costituzionale in merito alle modifiche degli artt. 56, 57, 59 Cost. in materia di riduzione del numero dei parlamentari (C. 1585)”, aprile 2019, qui disponibile: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/564/prof._Curreri.pdf
[30] Qui disponibile: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2019;51
[31] La legge elettorale, L. n. 155/2017 -c.d. Rosatellum bis– recante “Modifiche al sistema di elezione della Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”, divide il territorio nazionale in 20 circoscrizioni per il Senato (la cui estensione coincide con quella delle regioni) e 28 per la Camera.
Ciascuna circoscrizione, a sua volta, si articola in collegi uninominali e plurinominali individuati dal D. Lgs. n. 189/2017, recante “Determinazione dei collegi elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in attuazione dell’articolo 3 della legge 3 novembre 2017, n. 165, recante modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”.
Per il Senato della Repubblica sono previsti, ripartiti nelle 20 circoscrizioni, proporzionalmente alla popolazione di ciascuna in base all’ultimo censimento generale, 116 collegi uninominali (tra cui 1 collegio uninominale in Valle d’Aosta e 6 collegi in Trentino-Alto Adige) e 33 plurinominali.
Per la Camera dei deputati sono previsti -sempre ripartiti in 28 circoscrizioni, proporzionalmente alla popolazione di ciascuna in base all’ultimo censimento generale- 232 collegi uninominali (comprensivi di 1 collegio uninominale in Valle d’Aosta e 6 collegi in Trentino Alto-Adige) e 63 plurinominali.
[32] Per S. Troilo, op. cit, la L. n. 51/2019 costituisce “ingegnoso ed efficace” strumento per mantenere inalterato il rapporto numerico tra parlamentari eletti nei collegi uninominali e quelli eletti nei collegi plurinominali, senza dover indicare alcuna cifra fissa, ma soltanto una frazione del totale: tre ottavi espressi nei collegi uninominali e, conseguentemente, cinque ottavi in quelli plurinominali. In tal modo, qualora il numero di deputati e senatori fosse rimasto quello attuale, non si sarebbe prodotta variazione alcuna e non sarebbe insorta la, conseguente, esigenza di rimaneggiare l’articolazione dei collegi uninominali e plurinominali. Differentemente, entro 60 gg dall’entrata in vigore della riforma, senza necessità di un nuovo intervento delle Camere, il Governo può procedere alla ridefinizione dei collegi uninominali e plurinominali nel pieno rispetto delle modalità indicate dal legislatore nella delega di cui all’art. 3.
Trattasi, come osserva C. Sbailò, op. cit., di un’insolita ipotesi di delegazione ex art. 76 Cost. giacché sospensivamente condizionata alla vigenza di un determinato atto normativo, tuttavia non sconosciuta al nostro legislatore (si pensi all’art. 4, comma 5 della legge Bassanini, L. n. 59/1997, qui disponibile: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1997-03-17&atto.codiceRedazionale=097G0099).
[33] Ad oggi, praticamente, non sussistenti. Si veda D. Porena, op. cit., p. 9, nota n. 18.
[34] Di parere avverso G. di Plinio, op. cit. secondo cui: “Quando il Costituente decise il numero dei rappresentanti da far eleggere in Parlamento, ritenne che il rapporto tra rappresentati e rappresentanti consentisse di avere un numero sufficiente sul territorio di eletti che fossero in grado di riportare in Parlamento le istanze e le legittime problematiche dei territori di provenienza alla luce di quelli che erano i mezzi ed i canali d’informazione dell’epoca. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha reso molto più facile per i cittadini attraverso le tecnologie telematiche far pervenire anche ad un numero più limitato di rappresentanti o direttamente alle Istituzioni le proprie legittime istanze. Una riduzione del numero di parlamentari quindi, oggi, non genera una perdita di informazioni dai territori. D’altra parte, sono da tempo visibili prove empiriche di come la tecnologia abbia anche prodotto clamorosi effetti sui costi di campagna, su cui incidono principalmente modello di sistema elettorale e limiti legislativi di spesa, e non più, come un tempo, la dimensione del collegio. Il taglio operato con la riforma costituzionale in itinere non provocherà, pertanto, drammi esistenziali, né danni differenti da quelli che abbiamo già da tempo, ai teoremi della rappresentanza”.
[35] G. Natalizia, “La riduzione del numero dei Parlamentari. Effetti attesi e criticità emergenti”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/001/371/Relazione_Dott._Gabriele_Natalizia.pdf,
[36] Si veda D. Porena, op. cit.
[37] Quanto agli effetti della riduzione dei parlamentari sulla forma di governo ed il suo funzionamento, P. Carrozza, “Audizioni del 21-22 novembre 2018 relative all’esame in Prima Commissione dei DDL costituzionale di modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione in tema di numero dei deputati e dei senatori”, novembre 2018, qui disponibile: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/000/844/Prof._Paolo_CARROZZA.pdf, afferma che “pressoché certo sarebbe il rafforzamento delle segreterie centrali (o come si chiamino gli organismi dirigenti) di ciascun partito, a scapito delle rispettive rappresentanze territoriali: aumentare il rapporto tra il numero di eletti e di elettori significa, infatti, anche aumentare la loro reciproca “distanza”, allontanare sempre più dal territorio, dalla “base”, gli eletti dal momento della loro scelta quali candidati sino al condizionamento e all’indirizzo del loro operare in sede assembleare”. A dire il vero, secondo l’Autore, l’esito descritto, di per sé, non sarebbe qualificabile né come bene né come male. Va, infatti, valutato in considerazione delle condizioni nelle quali, attualmente, versa il Paese: “richiederebbe, per essere davvero utile ed efficace, un forte sistema di autonomie locali e regionali -da qualche anno in grave cisi ed assai indebolito- quale contropotere all’obiettiva spinta centralizzatrice che si avrebbe con il potenziamento del peso degli organismi centrali di governo di ciascun partito”.
[38] In occasione della seduta dell’Assemblea Costituente del 23/09/1947, Togliatti esprimeva il timore che un’eccessiva riduzione del numero di parlamentari avrebbe portato al profondo distacco dell’eletto dall’elettore e, altresì, a favorire una conformazione del ruolo del parlamentare quale figura esclusivamente rappresentativa del partito e non più di “una massa vivente, che deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti”.
Gli atti della seduta sono qui disponibili: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed229/sed229nc.pdf
[39] Sebbene il dettato costituzionale si limiti ad apprestare espressamente tutela alle sole minoranze linguistiche di cui all’art. 6, è, comunque, indubbio -come sottolinea G. Lattanzi, “La tutela dei diritti delle minoranze in Italia”, giugno 2013, qui disponibile: https://www.montagneinrete.it/uploads/tx_gorillary/ri_20130606_lattanzi-minoranze-linguistiche_1484296780.pdf, che “la tutela delle minoranze in genere si iscrive nel quadro dei principi fondamentali dell’ordinamento e, in particolare, del principio di uguaglianza, che vieta discriminazioni in ragione della razza, della lingua, della religione (art. 3 Cost.), e del principio pluralista, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.)”.
[40] F. Clementi, op. cit.
[41] Versano, infatti, in condizioni critiche le regioni a Statuto speciale e, in particolar modo, quelle aventi, al proprio interno, minoranze linguistiche e culturali costituzionalmente garantite giacché incontreranno non poche difficoltà ad assicurare a tutti i gruppi linguistici un’equa rappresentanza come, peraltro, è stato evidenziato dal Südtiroler Volkspartei (Partito Popolare Sudtirolese) che, non a caso, ha bocciato la riforma tenuto in conto che il Trentino Alto Adige avrebbe espresso soltanto 7 deputati in luogo degli 11 attuali.
[42] Come messo in luce dalla Consulta (Sent. n. 239/2018, qui disponibile: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2018&numero=239), le soglie di sbarramento “possono essere esplicite o implicite. Nella sostanza, infatti, l’effetto preclusivo che è plasticamente rappresentato dal meccanismo ora al vaglio di questa Corte, cioè dall’esclusione dal riparto dei seggi della lista che non raggiunge la soglia, può prodursi anche in assenza di una clausola o soglia di sbarramento esplicita ed essere il frutto invece di un particolare funzionamento del sistema elettorale o, più semplicemente, del numero dei seggi da assegnare o delle dimensioni dei collegi. È chiaro, ad esempio, che un numero dei seggi molto basso produrrà un effetto preclusivo potenzialmente assai più rilevante di una soglia di sbarramento, e finanche di una soglia abbastanza alta”.
[43] F. Clementi, op. cit. e D. Porena, op. cit.
Sulla presunta maggior governabilità conseguente al taglio dei parlamentari, stante una minore frammentazione delle forze politiche rappresentate in Parlamento, si veda P. Carrozza, op. cit.
[44] G. Natalizia, op. cit.
[45] Si veda il 52° rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese/2018, qui disponibile: http://www.censis.it/rapporto-annuale/sintesi-del-52%C2%B0-rapporto-censis. L’edizione 2019 verrà presentata il prossimo 6 dicembre.
[46] C. Sbailò, op. cit.
[47] Sul punto, si veda il parere del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, espresso in sede di audizione al Senato qui disponibile: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/000/932/CGIE.pdf
[48]In questo senso, anche F. Clementi, op. cit.: “Allora, di fronte ad una scelta di questo tipo, e al conseguente tipo di rappresentanza, sarebbe stato indubbiamente più corretto e coraggioso cancellare dalla Costituzione la circoscrizione Estero”; G. di Plinio, op. cit. che richiama M. Luciani, op. cit.: “La soluzione preferibile, dunque, sarebbe quella della «eliminazione stessa di tale Circoscrizione», sia perché «già adesso collegi che abbracciano addirittura continenti diversi hanno davvero poco da dire in termini di omogeneità del corpo elettorale rappresentato», sia perché rimedierebbe a quel vulnus, azzerando una delle riforme costituzionali più improvvide generate in quella stagione”; F. Clementi, op. cit.: “Allora, di fronte ad una scelta di questo tipo, e al conseguente tipo di rappresentanza, sarebbe stato indubbiamente più corretto e coraggioso cancellare dalla Costituzione la circoscrizione Estero”. Sul punto, ulteriormente specifica che le “L. cost. nn. 1/2000 e 1/2001 -attuate con la L. n. 459 del 2001, sulle cui criticità v. ad es. M. RUBECHI, Il voto degli italiani all’estero fra presunti brogli e proposte di modifica, in Quaderni Costituzionali, n. 2/2008, p. 366 ss.- sono dettate assai più dalle contingenze di propaganda politica e cattura del consenso che da criteri di razionalità costituzionale (F. LANCHESTER, L’innovazione costituzionale dilatoria e il voto degli italiani all’estero, in Quaderni costituzionali, n. 1/2000, p. 123). Com’è noto, con l’ordinanza n. 63, del 27 marzo 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile (per difetti procedurali) l’eccezione di legittimità costituzionale della legge 459/2001. Il giudice a quo, nell’ordinanza di rinvio aveva scritto, a ragione, che «il voto per corrispondenza presenta tali e tante ombre da far persino dubitare che possa definirsi ‘voto’”.
[49] Relazione introduttiva del Disegno di legge costituzionale A.S. n. 515, qui disponibile: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071664/index.html?part=ddlpres_ddlpres1-relpres_relpres1
[50] Relazione introduttiva del Disegno di legge costituzionale A.S. n. 805, qui disponibile: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01076402.pdf
[51] Relazione introduttiva del Disegno di legge costituzionale A.S. n. 214, qui disponibile: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01069126.pdf
[52] M. Luciani, op. cit
[53] Così, D. Porena, op. cit., “più che su un ‘migliore esercizio’ delle attribuzioni, sembra che la revisione di cui si discute sia idonea ad impattare, senz’altro e specificatamente, sui tempi della produzione legislativa.
Sotto questo profilo, è oltremodo chiaro che un’Assemblea dalla composizione più ridotta finirebbe per raccogliere, in relazione a ciascuna proposta di legge, un minor numero di interventi, dichiarazioni, proposte di emendamento, ecc.
[54] Il riferimento è all’iter speciale -c.d. misto- contrassegnato dall’intervento della commissione “in sede redigente”, ricavabile dal disposto dell’art. 72, c. 3 Cost. e ai procedimenti abbreviati per i progetti di legge dichiarati urgenti di cui all’art. 72, c. 2 Cost. Si veda S. M. Cicconetti, “Le fonti del diritto italiano”, pp. 221-224, II ed. 2007, Giappichelli editore.
[55] Casi straordinari di necessità ed urgenza a norma dell’art. 77, c. 2 Cost.
[56] Ord. C. Cost. n. 17/2019, qui disponibile: http://www.giurcost.org/decisioni/2019/0017o-19.html
[57] L. Carlassare, “A proposito di riforme”, maggio 2012, qui disponibile: https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/Carlassare.pdf
[58] D. Porena, op. cit.
[59] Tacito, “Annales”, libro III.
[60] S. Curreri, op. cit.
[61] Si affiancano la funzione di indirizzo e di controllo nei confronti dell’Esecutivo che si sostanzia in interrogazioni, interpellanze, mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, pareri e nei lavori delle Commissioni di inchiesta ex. art. 82 Cost. ed altre funzioni tra cui la richiesta di informazioni e le indagini conoscitive, l’esame delle petizioni, la deliberazione dello stato di guerra. In ultimo, si consideri la competenza de Parlamento in seduta comune circa la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica a norma dell’art. 90 Cost. Si veda S. M. Cicconetti, “Diritto parlamentare”, II ed. aggiornata 2010, Giappichelli editore.
[62] Così recita l’art. 83 Cost.:
“Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.
All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”.
[63] G. Cerrina Feroni, op. cit.
[64] Così, G. di Plinio, op. cit., “la Costituzione sembra invece scegliere una proporzione precisa. Sarebbe necessario chiedersi se quell’equilibrio vada ‘ragionevolmente’ o ‘necessariamente’ conservato. Ritengo valida la seconda opzione” e M. Luciani, op. cit. “mantenendo gli attuali tre rappresentanti regionali, infatti, il peso che questi avrebbero nel Parlamento in seduta comune da loro integrato sarebbe molto più elevato di quello attuale e così significativo da condizionare in modo imprevedibile gli equilibri parlamentari, già – come è ben noto – tanto delicati in occasione dell’elezione del capo dello Stato”.
[65] Di parere avverso S. Curreri, op. cit, secondo cui “la riduzione del numero dei parlamentari non influisce in modo decisivo sull’elezione del Presidente della Repubblica giacché i 58 delegati regionali hanno una connotazione partitica e non regionale”.
[66] G. Cerrina Feroni, op. cit.
[67] Si veda il par. 10 del contratto di Governo alla nota n. 14.
[68] Così, F. Clementi, op. cit. “Una scelta diabolica, allora, che di “neutrale” non ha nulla, tranne le parole dei promotori, perché non soltanto non considera gli effetti in concreto della sua applicazione sul sistema dei partiti (distorcendo implicitamente -ma assai evidentemente- il corretto funzionamento della legge elettorale e punendo non poco le minoranze, a partire da quelle territoriali prima che da quelle politiche), ma anche perché nei fatti, nel proporre una visione apparentemente di mera tecnica, altera l’intero meccanismo di rappresentanza che l’ordinamento costituzionale tutela su tutto il territorio nazionale, arrivando a palesarsi come una vera e propria lesione costituzionale, chiamando in causa -nei fatti, di fronte alla forte divaricazione della potenzialità rappresentativa degli elettori da parte degli eletti nei diversi collegi- lo stesso paradigma dell’eguaglianza del voto, tutelato dall’art. 48 della Costituzione”.
[69] Secondo G. Passarelli, op. cit., non esiste un numero ideale di rappresentanti per le assemblee parlamentari elettive. “Tuttavia, sebbene non ci sia un valore “perfetto”, è pur vero che le conoscenze politologiche comparate hanno elaborato, da decenni, studi in grado di predire un valore che si approssimi ad un numero in grado di coniugare rappresentanza ed efficienza decisionale. La più solida relazione empirica presente in letteratura tra numero di abitanti e grandezza delle assemblee elettive/camere basse, fa riferimento alla cosiddetta “legge della radice cubica” (cube root law). Questa elaborazione teorica fu proposta negli anni ‘70 del secolo scorso dal politologo Rein Taagepera: ogni assemblea tende ad avere un numero di eletti pari alla radice cubica della sua popolazione. Esistono Paesi le cui assemblee sono al di sotto del valore della radice cubica, in particolare: 466 Colombia, 469 Cile, 518 India, 538 Australia, 590 Paesi Bassi, 614 Israele, 659 USA. I Paesi con valori superiori al dato atteso sono: Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia (ante riforma), Svezia e Ungheria. Infine, Spagna, Danimarca, Svizzera e Portogallo, Messico si approssimano al valore atteso”. Anche l’Italia, a seguito dell’entrata in vigore della revisione costituzionale, entra a far parte di quest’ultimo gruppo: la radice cubica di 60.483.973 (popolazione italiana) è, difatti, 393, cifra vicinissima a 400, ovverosia il numero dei deputati.
[70] Estremamente chiare sono le tabelle comparative del Dossier sulla riduzione del numero dei parlamentari a cura del Servizio studi del Senato della Repubblica, qui disponibile: https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/AC0167d.Pdf
[71] G. Passarelli, op. cit.
[72] In latino “Ne quid nimis”, in italiano “nulla troppo”.
[73] Qui disponibile: http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.2238.18PDL0081990.pdf
[74] “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero”.
[75] “All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato”.
[76] Ma come? Si veda il paragrafo n. 4.
[77] Si vedano S. Troilo, op. cit. e il Dossier “Legge elettorale: per una determinazione dei collegi indipendente dal numero dei parlamentari” a cura del Servizio studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, qui disponibile: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01082833.pdf
[78] Relazione introduttiva alla proposta di legge costituzionale A.C. n. 2238.
[79] Aforisma di James Russel Lowell.