Superficialità della pubblica amministrazione: è dovuta la ripetizione dell’indebito?
La IV Sezione del Consiglio di Stato, in data 5 aprile 2018 si è pronunciata in materia di ripetizione del’indebito, proposto da più ricorrenti contro la Croce Rossa Italiana (C.R.I.) rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato. Il contenzioso riguardava l’attribuzione, al Corpo militare della Croce rossa italiana, in danno alle casse dell’ente, di buoni pasto del valore maggiore di quello fissato dalla legge. Infatti il d.P.R. 255/1999, all’art. 17 dispone che “qualora presso l’ente di appartenenza o presso altro ente nella stessa sede sia impossibile assicurare direttamente o mediante appalto il servizio mensa […] l’Amministrazione può concedere un buono pasto dell’importo giornaliero non superiore a lire 9.000 […]”.
Il Commissario straordinario della CRI, a seguito di una ispezione amministrativo-contabile eseguita dal Servizio ispettivo di finanza pubblica del Ministero dell’economia e delle finanza, riduceva il valore dei suddetti buoni pasto da 8,65 euro a 4,65 euro [1]. In seguito, [2] questo stesso ne disponeva l’adeguamento alla misura di 7 euro. Infine, avviava il procedimento di recupero delle somme indebitamente corrisposte [3] dando altresì mandato al Direttore generale della CRI, che a sua volta nominò il Capo del Dipartimento risorse umane e organizzazione responsabile del procedimento. Il Capo del Dipartimento disponeva il recupero delle maggiori somme corrisposte al personale militare a partire dal 2012 [4]; tale recupero avrebbe dovuto avere le modalità interruzione dell’erogazione di buoni pasto sino a compensazione totale del debito o, in alternativa e su richiesta dell’interessato, mediante prelievo dell’intero importo dalla busta paga. È per tale motivo che dal novembre 2011 l’ente interrompeva l’erogazione dei buoni pasto e, dunque, alcuni impiegati dell’ente impugnavano i provvedimenti avversi e chiedevano il risarcimento del danno sofferto. Così il TAR Liguria, sez II, con ordinanza n. 251 del 15 ottobre 2015 accoglieva la domanda dei ricorrenti disponendo la sospensione della procedura di recupero. Però, con sentenza 13 maggio 2016, n. 469, lo stesso TAR respingeva il ricorso nel merito. Avverso tale sentenza i ricorrenti originari proponevano appello dolendo della violazione e falsa applicazione dell’articolo 2033 c.c. [5] ed eccesso di potere. Le censure degli appellanti erano diverse: innanzitutto i ricorrenti si appellavano alla circostanza secondo cui il primo giudice non avrebbe considerato la funzione, peculiare, dei buoni pasto sostitutivi del servizio di mensa e dunque non di remunerazione economica del lavoratore, che perciò comporta il venir meno dell’avvenuto arricchimento del percettore che presuppone il 2033 c.c.; in secondo luogo, il recupero delle somme indebitamente erogate dalla P.A. andrebbe adattato al caso di specie considerando perciò la funzione del buono pasto e l’errore contabile commesso dall’Amministrazione; inoltre, l’indebito sarebbe stato prodotto dalla superficialità e difetto di istruzione dell’Amministrazione che gli impiegati hanno percepito in buona fede (bona fidei percipiendi: la P.A. avrebbe cioè ingenerato la convinzione della correttezza del costo del buono pasto); infine, le trattenute stipendiali sarebbero avvenute attraverso un provvedimento atipico e perciò illegittimo.
L’Appello è stato ritenuto fondato in quanto: “a) l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento; b) il recupero delle somme erogate e non dovute costituisce il risultato di attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale; c) in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente; d) si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facoltà di agire e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; e) il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore; f) l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, nel senso che l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato”.
Si sottolinea che il Consiglio di Stato, sez. V, già con la sentenza n. 2118 del 13 aprile 2018 aveva osservato che la ripetizione dell’indebito è “illegittima” nel caso in cui da diversi elementi della fattispecie possa desumersi una situazione di “cattiva amministrazione”.
Premesso che, secondo giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, tra cui si segnala la sez. lav., 14 luglio 2016, n. 14388, così come sostenuto dal sopra menzionato d.P.R. 255/1999, l’attribuzione dei buoni pasto rappresenta una agevolazione di carattere assistenziale, occorre sottolineare che, nel caso di specie, i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente a esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento. Si tratta dunque di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, a fronte dei quali non è configurabile una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buoni-pasto nel periodo di riferimento. È per tali motivi che l’appello viene accolto e la CRI cessa la procedura di recupero e viene condannata alla restituzione delle somme già ripetute con gli interessi legali.
Infine, si rileva nella sentenza esaminata l’importanza che in essa assume l’esclusiva imputabilità alla Amministrazione dell’errore nell’eccessivo valore dei buoni pasto e dell’altresì eccessivo lasso di tempo tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento.
[1] con ordinanza n. 20 del 20 gennaio 2009.
[2] con ordinanza n. 191 del 18 gennaio 2009.
[3] con ordinanza n. 297 del 13 gennaio 2011.
[4] con ordinanza n. 122 del 4 agosto 2011.
[5] Art. 2033 c.c.: <<Indebito oggettivo. Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda>>.
Rossella Santonicola, nasce a Napoli nel 1994, é studentessa di giurisprudenza dell’ateneo federiciano attualmente iscritta al suo ultimo anno.
Conseguita la maturità classica, ad indirizzo linguistico a Nocera inferiore (provincia di Salerno), città dove vive fin dalla nascita, segue poi la sua passione per lo studio del diritto.
L’ammirazione per il diritto e per le lingue e culture europee la portano a studiare per un semestre diritto e Amministrazione delle Imprese all’Università cattolica di Pamplona (Spagna), grazie alla vincita di una borsa del progetto europeo ‘Erasmus’. Questa esperienza le apre nuovi orizzonti fino a farle sviluppare propensione per le materie che riguardano la Pubblica Amministrazione e la comparazione tra ordinamenti giuridici, che la conduce ad uno studio critico e ragionato del diritto.
A conclusione del suo percorso universitario è attualmente impegnata a scrivere la tesi in diritto amministrativo comparato dal titolo “La prevenzione e il contrasto della corruzione. Prospettive di diritto comparato tra Italia e Francia”.
Da sempre amante della lettura, nel tempo libero si dedica a classici e romanzi. Ama viaggiare, scoprire posti nuovi, conoscere nuove culture e relazionarsi con persone sempre diverse.
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