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Tar Lazio: annulla la creazione del Parco Archeologico del Colosseo, altro dietro-front per la ” Riforma della cultura”

Tar Lazio

Una nuova sentenza del Tar Lazio è ritornata sulla tematica del rilancio della cultura nel nostro Paese, ed arriva un altro “stop” del Giudice amministrativo al progetto ministeriale.

La sentenza emanata dal Tar Lazio n°6720 del 07/06/2017 ha accolto il ricorso proposto dal Campidoglio contro il decreto ministeriale varato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

In questo caso, a differenza della sentenza  del 24 maggio ( che fa riferimento ad anomalie tecniche durante il procedimento di nomine dirigenziali di alcuni musei) , ciò che viene rilevato è un vizio di eccesso di potere ed una violazione del principio di leale collaborazione tra enti.

 

La vicenda

Il Tar Lazio con la sentenza n° 6720 viene chiamato a pronunciarsi riguardo la legittimità del decreto, sintetico poichè composto di soli 6 articoli, varato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 12 Gennaio 2016, che aveva fatto istituire il Parco Archeologico del Colosseo riconoscendo delle competenze attive sulle zone del Colosseo, Foro Romano, Palatino e Domus Aurea.

Per meglio comprendere le motivazioni che hanno spinto il Giudice amministrativo alla rimozione del Parco Archeologico del Colosseo, è necessario analizzare il decreto in tutti i suoi riferimenti.

Il decreto deve essere contestualizzato all’interno di un più ampio programma ministeriale: il rilancio della cultura e l’organizzazione degli uffici che si occupano della tutela, organizzazione e funzionamento dei siti interessati.  Nel caso di specie si parla dell’avvenuta istituzione del “Parco Archeologico del Colosseo” che avrebbe dovuto occuparsi dell’organizzazione del Colosseo, del Foro Romano, Palatino e della Domus Aurea.  Grazie la pubblicazione dell’atto sulla Gazzetta Ufficiale, in data 30 Marzo,  è possibile ben capire quale sia la funzione del Parco che viene definito come un “ufficio dirigenziale di livello generale  periferico del Ministero”.  Un vertice da cui controllare l’evoluzione e la progressiva riformazione sia de Colosseo che degli altri siti archeologici nominati.

Il Tar, dopo aver esaminato le esigenze che avevano spinto all’emanazione del decreto, le modalità e l’ excursus storico della normativa previgente,  decide di annullare il decreto e la conseguenziale costruzione del Parco.

Le motivazioni del Tar

L’annullamento del decreto viene disposto sulla base di “riscontrati vizi di eccesso di potere e di violazione del principio della leale collaborazione tra enti.”  Il Collegio, però, prima di arrivare a questa decisione esamina il caso partendo, anche, dalla previgente disciplina e dall’esame della necessità di cambiarla, fino ad arrivare alle modalità di ristrutturazione della normativa e alle prospettive future.

Quello del Tar è stato quasi un “dialogo tra vecchio e nuovo” improntato a delineare i margini di azione entro cui il Ministero è legittimato ad operare.

Per quanto riguarda la “violazione del principio di leale collaborazione tra enti” bisogna leggerla in relazione al decreto del 2012 facente riferimento al coordinamento istituzionale tra amministrazioni statali ed il comune di Roma Capitale.  Nel 2012 quella che è sembrata essere la parola chiave è “autonomia regionale”. Una serie di articoli e predisposizioni tutte dirette verso il mantenimento di una propria autonomia.

Una lettura attenta del decreto 2012 fa sorgere dubbi riguardo il raggio di azione dell’operazione ministeriale. Al riguardo, dopo aver esaminato il caso, il Tar ha ritenuto che la normativa precedente non lasciava spazio al Ministero di poter esercitare poteri generali di riorganizzazione degli uffici dirigenziali generali. Quindi è ben comprensibile che senza la possibilità di esercizio di tale potere la creazione del Parco Archeologico  non risulta essere legittimata. Il Parco, quindi, inteso come nuovo ufficio dirigenziale generale non sarebbe mai potuto essere istituito. La non comprensione o forse la voglia di “forzatura” della legiferazione  precedente in materia, ha portato il Ministero ad attuare un atto che si estende oltre la soglia dei suoi “poteri di modificazione normative”.  Quello che, dalla lettura del decreto precedente, spetta al Ministero è l’esercizio di un  potere organizzativo circoscritto capace di  consentire la soppressione, la fusione, ovvero l’accorpamento di uffici, in funzione di peculiari esigenze, tra le quali anche quelle di garantire il buon andamento dell’amministrazione di tutela del patrimonio culturale. Un potere preciso guidato da criteri speciali e soprattutto dettato da contingenze urgenti e temporaneo.

Altro parametro di giudizio utilizzato dal Collegio è il dispositivo dello Statuto comunale della città di Roma Capitale. Un documento di grandissima rilevanza che non solo traccia i confini dell’azione ministeriale sul territorio romano, ma spiega quale siano i limiti invalicabili. Al comune di Roma spetta un “particolare ruolo nell’ attività di valorizzazione dei beni culturali romani, rispetto a cui lo Stato, pur mantenendo le proprie funzioni in materia di organizzazione dei propri uffici, non può incidere unilateralmente, trattandosi appunto di aspetti relativi alla valorizzazione dei beni culturali, le cui funzioni amministrative sono state attribuite alla competenza concorrente di Roma capitale”.

Volendo immaginare un atto ministeriale che operi in conformità a questo Statuto ci si allontana dalla realtà. Il decreto ministeriale, infatti, va ben oltre le sue possibilità ed entra in quella “zona bianca” sottoposta alla gestione comunale. Lo Stato non può incidere unilateralmente sulla gestione e la valorizzazione dei beni culturali, poichè, su questi vige una competenza concorrente del comune di Roma.  La violazione del precedente accordo e l’emanazione di una norma non conforme con lo statuto si collegano alla seconda motivazione di annullamento: l’eccesso di potere.

 

Il Tar Lazio a poche settimane dall’annullamento delle nomine dirigenziali di alcuni musei (leggi l’articolo “Il Tar Lazio annulla 5 nomine dei super direttori della cultura“) , ritorna a discutere ed esaminare una “manovra del dicastero Franceschini” trovando, anche questa volta, irregolarità.

La “Riforma della Cultura” quindi, sebbene abbia socialmente ingentilito gli animi riavvicinandoli alla cultura e all’apprezzamento del nostro patrimonio culturale, non riesce a trovare una strada giuridicamente benevola per potersi estendere. Il Tar con queste due sentenze ha sottolineato come le “mosse vincenti” non siano quelle che portino solo a risultati socialmente importanti, ma quelle che decidano di arrivarci con la forma e la sostanza idonee.

L’amministrazione e le cariche dirigenziali di questi uffici sono tematiche importanti, che vanno affrontate con tutte le dovute cautele. La protezione e l’evoluzione di siti archeologici così importanti non possono prescindere da una competenza concorrente tra Stato e Regioni e soprattutto da un accordo costruito sul dialogo e l’analisi dei fatti storici ed attuali.

 

 

Mirella Astarita

Mirella Astarita nasce a Nocera Inferiore nel 1993. Dopo la maturità classica prosegue i suoi studi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo Federiciano. Amante fin da piccola della letteratura e dei mondi a cui dà accesso, crescendo impara a guardare e raccontare con occhio critico ciò che la circonda. Le piace viaggiare, conoscere posti nuovi, sentire le loro storie ed immaginare come possa essere vivere lì. Di indole curiosa lascia poche cose al caso. La sua passione verso il diritto amministrativo nasce seguendo i primi corsi di questa materia. Attenta all’incidenza che ha questa sfera del diritto nei rapporti giuridici, le piace sviscerare fino in fondo i suoi problemi ed i punti di forza. Attualmente è impegnata nella stesura di una tesi di diritto amministrativo comparato, riguardante i sistemi di sicurezza.

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