venerdì, Marzo 29, 2024
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La nuova frontiera della responsabilità degli enti: la Tax Compliance e i reati tributari

L’evoluzione giurisprudenziale, inerente al d.lgs. 231/2001 (“Decreto 231”), ha permesso l’inserimento dei reati tributari tra i reati presupposto per innescare la responsabilità dell’ente, nonostante la possibilità di annoverare tale tipologia di reato abbia, da sempre, rappresentato un ostacolo per il legislatore. È scienza comune, ormai, che il reato societario si manifesti all’interno dell’impresa: il legislatore, grazie agli ultimi interventi normativi, non ha solamente allargato i confini del locus committi delicti, ma ha lasciato fuori dal c.d. catalogo taluni reati che – in teoria – potevano essere meglio ricondotti al modello organizzativo, gestionale e di controllo (“Modello 231”); tuttavia, ha incluso altre tipologie di reati che, in realtà, mal si ricollegavano con la logica di impresa e di profitto[1] (come, ad esempio, xenofobia e razzismo).

Ciononostante, malgrado il mancato inserimento dei reati tributari, ab origine, nell’elenco contemplato dal Decreto, la Giurisprudenza di merito ha, sin da subito, affermato che affinchè si potessero realizzare reati come quelli p.p. ex artt. 648 bis e 648 ter c.p. è necessaria la commissione di un reato presupposto, costituito da qualsiasi delitto non colposo, ivi compresi quelli tributari[2], palesando al Legislatore la necessità di aggiornare i reati presupposto previsti dal Modello 231. Solo lo scorso 24 dicembre 2019,  dopo un lungo iter che ha portato il legislatore a comprendere l’effettiva esigenza di annoverare i reati tributari tra i reati ex d.lgs. 231/2001,  è stato approvato il Decreto Fiscale – inerente alle “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”– mediante il quale sono stati introdotti tra i reati ex d.lgs. 231/2001 le seguenti fattispecie criminose:

  • dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti;
  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
  • emissione di fatture per operazioni inesistenti;
  • occultamento o distruzione di documenti contabili;
  • sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

L’inserimento di tali illeciti tra i reati presupposto del Decreto 231, ha una notevole incidenza sui cd. Compliance programs, diversi rispetto a quelli centrati dall’azienda, ossia i meri modelli organizzativi. Tuttavia, per natura, i reati tributari, così come gli altri reati contemplati tra i reati presupposto, presentano dei limiti, in quanto palesano una loro specificità: qualora l’interprete non fosse in grado di comprendere i limiti del reato presupposto, non potrebbe costruire dei modelli efficaci, su cui poi dovranno intervenire altre personalità eterogenee. Questa è la vera novità della legge 157/2019, dove il giurista è affiancato dal fiscalista e dalle altre personalità aventi skills maturate in ambito aziendale.

1. Novità normative

La storia della repressione degli illeciti tributari è tormentata ed il quadro normativo non è affatto stabile. Sul punto, autorevole dottrina sostiene che verrà emanato un decreto bis[3] che tenderà a definire meglio la punibilità dei reati tributari ex art. 231/2001, in combinato disposto con la legge n. 157/2019. Tra le novità apportate dalla legge sopracitata, giova sottolineare come, essendovi stato l’abbassamento delle soglie di rilevanza penale per omesso versamento, è stata introdotta – per quest’ultimo – la confisca allargata, ove, però, l’oggetto del reato non appare succintamente delineato dalla normativa. I reati tributari, in particolare quei reati che il Legislatore ha ritenuto più pericolosi per gli interessi dell’Erario, introdotti nel 2019, sono, come si è visto in precedenza, il reato di dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti, emissione di fatture, altri artifizi, occultamento documenti contabili, comportamenti connotati da un particolare disvalore e fraudolenza.

Nel caso della  dichiarazione fraudolenta per altri artifizi, oltre alla simulazione di reato vengono inclusi anche i comportamenti che siano elusivi di tale condotta. Inoltre, essenziale è l’analisi del rapporto con la Direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, c.d. Direttiva PIF, da cui si evince che, in deroga al decreto del 2000 – che introduce la punibilità del tentativo con riferimento a reati di semplice dichiarazione fedele e non fraudolenta – anche la dichiarazione fraudolenta è annoverata tra i reati per cui è punito il tentativo.

Sul punto, si legge, ancora, che è punito colui che commette i suddetti reati anche “qualora essi siano compiuti anche in un altro Stato facente parte dell’Unione Europea”[4], con riferimento a quei reati istantanei dichiarativi che sono per legge punibili nel luogo in cui il contribuente ha domicilio fiscale, dando così rilevanza al luogo in cui si è espletata la condotta e non la consumazione del reato.

Le conseguenze dell’introduzione dei reati tributari sono visibili per ciò che concerne l’aspetto sanzionatorio pecuniario che preoccupa le imprese (difatti le sanzioni 231 sono parametrate a quote). In realtà, ciò che preoccupa l’impresa è che per quell’illecito possa essere prevista la confisca che, in primis, si coniuga in maniera complessa con la confisca allargata e, in secundis, si coordina con l’eventuale pagamento delle imposte e delle sanzioni dopo l’accertamento dell’amministrazione finanziaria; o ancora sanzioni interdittive già previste dal Decreto 231 applicabili ai reati presupposto[5]: questo nuovo sistema repressivo va considerato con estrema attenzione dalle imprese; in quanto, non essendovi limiti per l’applicazione del Decreto 231 – in astratto – anche le piccole aziende ne possono essere colpite.

2. Tax control framework: una breve riflessione

Secondo parte della dottrina, il motivo per cui i reati tributari sono sempre stati esclusi dal Modello 231 si riscontra nel volere evitare l’eccessività della sanzione. I nuovi sistemi sanzionatori, difatti, devono fare i conti con il principio stabilito nell’art. 4 della Cedu del ne bis in idem, per cui nessuno può essere punito due volte per lo stesso reato.

Il ne bis in idem è stato sottoposto all’attenzione della Corte Europea a seguito del caso AeB c. Norvegia[6], dalla cui sentenza si evince che è ammissibile l’esistenza di un cd. “doppio binario” sanzionatorio, tra sanzione amministrativa e penale, e che i due procedimenti sono legati tra loro da una connessione stretta nella sostanza[7] e nel tempo[8]. Inoltre, alla luce di quanto esposto, è necessario sottolineare l’orientamento tenuto dalla Corte Costituzionale delle due decisioni n. 44/2018 e 222/2019[9], ove condivide gli insegnamenti della Corte Europea al fine di attuare dei meccanismi di compensazione volti ad evitare che vi sia una doppia dazione della sanzione pecuniaria.

Nel settore tributario, però, non si ha una norma come l’art. 187 terdecies c.p. che caratterizza il market abuse – nel quale viene disposto che, nel caso in cui al reo venisse applicata una sanzione pecuniaria ex art. 187 septies c.p., ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato, è necessario che l’Autorità Giudiziaria o la CONSOB tengano conto, nell’irrogare una delle sanzioni di loro competenza, delle misure punitive precedentemente irrogate – in via analogica, una prima riflessione induce a sostenere che, anche in questo caso, i magistrati, nel disporre il quantum pena, debbano tener conto della sanzione complessiva, per non creare eccessive disparità nel trattamento sanzionatorio. Sorge spontanea, quindi, un’altra domanda: è necessario che nell’irrogare la sanzione penale pecuniaria si debba tener conto delle sanzioni amministrative già corrisposte all’Erario?

Tali riflessioni nascono dalla rappresentazione dei reati tributari, la cui commissione apporterebbe dei vantaggi solo nella sfera giuridica e patrimoniale dell’ente. Viene meno, difatti, il rapporto tra persona fisica e l’ente: la persona fisica non riceve alcun vantaggio economico, l’ente si. Nel caso in cui venisse condannato il singolo e non si creasse il doppio binario sanzionatorio nel quale verrebbe coinvolto anche l’ente, è evidente il non interesse di quest’ultimo a scontare la pena irrogata alla persona fisica, poichè, nel caso in cui lo facesse, si esporrebbe ad un’autodenuncia e finirebbe così per pagare due volte per lo stesso reato ed inoltre – in questa sede pare opportuno riportare alla mente del lettore che qualsivoglia causa di esclusione della punibilità non opera verso la persona giuridica – all’ente, in sede di esecuzione della pena, a differenza della persona giuridica, non verrebbe apportata alcuna diminutio sul quantum pena se non nei casi espressamente previsti per legge.

Un’altra aporia del mancato coordinamento è ravvisabile nell’art. 12 ter l. 157/2019, in tema di confisca allargata ex art. 240 bis c.p. all’autore della fattispecie penale tributaria delle somme di denaro, beni e altrui utilità. La misura ablativa incide sul soggetto che è autore del reato ma che non ottiene alcun vantaggio patrimoniale diretto che, invece, si realizza in capo all’ente. Tramite il combinato disposto delle norme sopracitate è chiaro che il Legislatore induce la persona fisica ad adempiere ai debiti fiscali che sono dell’ente con la conseguenza che tutto finisce per gravare sulla persona fisica, a meno che l’ente non si faccia carico del debito della persona fisica sapendo di esporsi ad autodenuncia. Così facendo, lo Stato raggiunge sì l’obiettivo di riscuotere il quantum della sanzione ma, allo stesso tempo, induce l’ente ad adottare dei compliance programs che abbiano una funzione rieducativa e non di mera moralizzazione, pertanto è auspicabile che l’interprete apporti dei rimedi sul piano ermeneutico, volti ad una lettura dell’art. 8 d.lgs. 231/2001 scevra da ipotetiche questioni di legittimità costituzionale.


[1] La Legge Europea del 2017 ha previsto l’introduzione dell’art. 25 terdecies nel D. Lgs. 231/2001 rubricato Xenofobia e Razzismo elevando a reato presupposto della Responsabilità Amministrativa degli Enti il reato di cui all’articolo 3, comma 3-bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654 con ciò mirando a punire i partecipanti di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, fondati in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra. La disposizione è entrata in vigore il 12 Dicembre 2017; sennonché a seguito dell’emanazione del recentissimo D.lgs. 21/2018 siamo costretti a tornare a parlare del medesimo reato.

[2] sul punto si leggano le conclusioni della Sentenza Gubert che tendeva ad includere tali reati già prima dell’annessione dei reati tributari così come espressamente disciplinati dalla legge 157 del 2019 ivi allegata SENTENZAGUBERT

[3] È in corso di attuazione la normativa bis, di cui i lavori sono stati interrotti, ove il punto principale sarà la riformulazione della cd. lotta alla frode degli interessi finanziari dell’unione europea, reati che si riferiscono all’Iva, ammontare elevato per una media impresa non inferiore ai dieci milioni di euro, elementi transnazionali legati all’Unione Europea.

[4] L. 157/2019 ivi allegata legge-19-dicembre-2019-157

[5] A titolo meramente esemplificativo si pensi all’esclusione benefici, divieto di contrarre con la PA; il divieto di pubblicizzare il servizio

[6] È possibile consultare il testo della sentenza al sito https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-168972

[7] Ndr. Coordinamento tra autorità amministrativa e giudiziaria nella valutazione delle prove; e la previsione di una sanzione irrogata proporzionata

[8] Ndr. procedimento parallelo dei limiti del possibile, senza che il procedimento penale duri troppo a lungo dopo che si sia esaurito quello amministrato

[9] Si legga la decisione per intero rimandando al sito https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=222

Per ulteriori approfondimenti si leggano:

AMIRANDA, Anche la società con sede all’estero è responsabile ex D.lgs. 231/2001, Ius In Itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/anche-la-societa-con-sede-allestero-e-responsabile-ex-decreto-231-26948

SORRENTINO, L’autoriciclaggio e la responsabilità degli enti, Ius In Itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/lautoriciclaggio-la-responsabilita-degli-enti-6510

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

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