venerdì, Marzo 29, 2024
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Terzo settore: imprese profit e non profit.

Le benefit corporation sono delle società che statutariamente si prefiggono scopi sociali. Esistono, da tempo, negli Stati Uniti. Queste realtà hanno molteplici scopi che sono sia lucrativi che di beneficio comune.  In Italia, dal 2016, poco prima della riforma del terzo settore, ci sono le società benefit le quali hanno come scopo sia produrre utili, sia obiettivi sociali.

Gradualmente, si stanno delineando i confini di un nuovo comparto che potremmo denominare quarto settore, vale a dire una realtà che sembra indirizzarsi verso una nuova direzione, che porta ad una nuova concezione del capitalismo e dell’economia minimizzando l’alternativa tra profit e non profit, per dare vita a quella nuova forma di economia che viene chiamata sostenibile.

Quando si fa riferimento all’economia sostenibile si pone l’accento su due requisiti essenziali affinché si possa realizzare, ovvero: ridurre le disuguaglianze (oggi maggiormente amplificate anche dall’emergenza pandemica) e indirizzare le imprese al rispetto e alla tutela ambientale. In Italia, il settore non profit è in forte crescita, inoltre si tratta di una realtà ben radicata e molto equilibrata.

Per quanto concerne la formula giuridica, la forma associativa è la più dominante[1]. Assistenza sociale, sanità e istruzione e ricerca sono i tre settori dove vi è il maggior tasso di occupazione, basti pensare che questi tre settori insieme costituiscono l’80% dell’occupazione. E’ necessario, però, che le imprese del terzo settore si avvicinino, almeno sotto il profilo gestionale, alle imprese lucrative.

Inoltre, c’è da sottolineare che ormai da tempo le imprese lucrative sentono la necessità di operare nel sociale, acquisendo una forte responsabilità sociale. Certamente in questo caso vi sono anche ragioni strategiche di comunicazione, di legge del mercato, di influenza, informazione, coinvolgimento emozionale del consumatore.

Negli ultimi tempi si sta assistendo ad una sorta di avvicinamento tra due mondi che apparivano lontanissimi, in preda ad una sorta di divario per una serie di ragioni, spesso anche tangibili, come speculazione, opportunismo.

E dunque, il profit e non profit sembravano due mondi troppo lontani, distanti. E’ sempre più evidente, invece, che vi sono elementi di interazione tra mercato e altre dimensioni che danno vita alle cosiddette zone grigie che appunto possiamo identificare come “quarto settore”. Nell’ottobre 2020 è stato firmato il decreto attuativo del Registro unico nazionale del terzo settore , tappa fondamentale  che ha reso la riforma del terzo settore  operativa[2].

La riforma ha avuto un ruolo centrale in quanto ha dato vita ad un diritto comune del terzo settore e si tratta di una novità anche in prospettiva europea[3]. In questa fase emergenziale, con la decretazione d’urgenza, l’assenza di un registro ha creato un forte disorientamento, ecco perché ottenere una trattazione unitaria della materia significa disciplinare e creare un diritto comune di una realtà sempre più rilevante per consentire a chi opera di poter applicare la norma in maniera chiara, in un perimetro ben definito.

Questo settore ha necessitato di una riforma e di particolare attenzione perché, essendo in forte espansione, è ormai una realtà che non può fare a meno di modalità manageriali, di una capacità di fare finanza, di gestire le risorse umane e gli altri fattori produttivi che sono tipici delle imprese private, in particolare delle imprese un po’ più grandi, ovvero quelle organizzate come società di capitali.

 Acquisire una capacità manageriale tipica delle imprese lucrative è la vera sfida che la riforma del terzo settore deve affrontare, e oggi, anche la crisi provocata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, richiede al nostro Paese un maggiore sforzo in termini di cooperazione. Questa sfida è molto più rilevante della mancanza di lucro soggettiva, un utile marginale può anche esserci quando si fa impresa, anzi forse è giusto che ci sia. Ciò che è realmente importante è che chi fa impresa lo faccia professionalmente e con cognizione manageriale. Per quanto riguarda le imprese è tangibile, come già detto, la responsabilità sociale dell’impresa, degli investimenti, della sostenibilità in ragione dell’ambiente, dei profili sociali e di governance. Questi fattori stanno cambiando la visione e la modalità di fare impresa lucrativa.

Come sappiamo, le imprese e le società devono prestare grande attenzione  agli interessi di tutti gli stakeholder, tuttavia, è da tempo pensiero comune che vada superata l’ossessione della massimizzazione del profitto[4]. Negli Stati Uniti un gruppo di autorevoli think tank ha evidenziato che lo scopo delle corporation non è solo quello di creare profitto, ma anche di preoccuparsi degli stakeholder.

Un dato significativo che emerge dalle analisi è che la responsabilità sociale fa bene alle imprese. Sia in termini di successo che in termini di resilienza, chi si occupa dei bisogni sociali ha più successo e risponde meglio alla crisi. Un Paese è più forte se in possesso di una buona coesione sociale, se possiede delle reti associative, mutualistiche forti e radicate, tuttavia per raggiungere questo intento è necessario che ci sia sempre di più un numero di cittadini capaci di cooperare per un obiettivo comune assumendosi delle responsabilità.

Dai dati emerge, però, che coloro che operano nel non profit sono sempre più adulti o anziani, in questo senso è fondamentale la sensibilizzazione. C’è da sottolineare che le imprese sociali, in Italia, sono prevalentemente cooperative, le altre realtà sono molto marginali dal punto di vista dei dati. Dai dati rilevati dal registro delle imprese emerge che sono cresciute sì le forme cooperative del 30% ma sono cresciute del +9% le forme non cooperative, ovvero quelle che la legge consentiva di introdurre come modalità con cui realizzare le imprese sociali.

Interessante è porre l’attenzione sul rapporto che intercorre tra pubblica amministrazione e imprese del terzo settore dove piuttosto che ridurre gli operatori delle imprese non lucrative a banali fornitori, bisognerebbe valorizzarli considerando l’importante contributo che apportano alla società, definendoli partner. Gli artt.55 e 56 del d.lgs. 3 luglio 2017 n.117 fanno riferimento a co-programmazione, co-progettazione che non solo sono stati ben delineati ma recentemente sono stati richiamati dalla sentenza n.131 del 26.06.2020 della Corte Costituzionale che rappresenta una svolta nei rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore.

La sentenza mira a sottolineare che tra imprese non profit e pubblica amministrazione non vi è un contro-interesse bensì un interesse generale, affinché si realizzino obiettivi per il bene comune così come previsto dall’art.118 comma 4 della Costituzione[5] in virtù del principio della sussidiarietà orizzontale. In conclusione, nell’ottica di guardare al futuro, benché ci sia ancora molto da lavorare affinché si stabilizzi una connessione sempre più determinante tra imprese del terzo settore e imprese lucrative,  sarebbe stato necessario, come hanno provveduto a fare altri Paesi dell’UE, che nel programma Next generation vi fosse un rappresentante per l’economia sociale del terzo settore, perché  il rafforzamento della coesione sociale è una leva per il rilancio economico[6].

Così come anche Italo Calvino asseriva “Le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente si ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena volere cose buone”.

[1] Sulla riforma si veda, Tonina A., La riforma del Terzo settore. Il nuovo assetto del no profit, Milano 2017.

[2] De Giorgi M.V. Fondamenti di diritto degli enti non profit, Padova 1997

[3] Zizzo G., La fiscalità del terzo settore, 2011

[4] Colombo F., Sciumè P., Zazzeron D. Onlus-Enti non commerciali e organizzazioni non lucrative di utilità sociale, regime fiscale, contabilità e bilancio, in IlSole24Ore, Milano, 2001.

[5] Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

[6] Dagli atti del Convegno Luiss “Terzo settore, imprese e benefici sociali, 2.10.2020

Fonte immagine:

Valentina Marano

Si occupa di politiche pubbliche presso la Luiss Guido Carli.

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