venerdì, Aprile 19, 2024
Diritto e Impresa

Tra Intelligenza Artificiale (AI) e Diritto d’Autore: quale futuro per le “macchine autrici”?

Tra Intelligenza Artificiale (AI) e Diritto d’Autore: quale futuro per le “macchine autrici”?

  1. Premessa

Quando si parla di Intelligenza Artificiale (AI) sono molti gli interrogativi che sorgono: alcuni di natura tecnico-scientifica, altri di natura etica, altri ancora di natura giuridica[1].

Alla prima categoria appartengono gli interrogativi che rientrano nell’ambito della ricerca e, conseguentemente, riconducibili essenzialmente a questioni di carattere teorico-applicative.

Un esempio di interrogativi appartenenti a questa prima categoria è quello di chi si chiede quando e come sarà possibile addivenire ad applicazioni di intelligenza artificiale c.d. “forte” e/o generale.

Invero, nel campo dello sviluppo di questa tecnologia risultano predominanti due filoni principali: da una parte, coloro che sviluppano e realizzano sistemi di intelligenza artificiale “debole” o specifica, ossia applicazioni di AI mirate alla risoluzione di determinati problemi (si pensi, ad esempio, a quei sistemi di machine learning pensati per svolgere attività di riconoscimento biometrico, oppure a quelli utilizzati per calcolare il rischio di recidiva all’interno del processo[2]); dall’altra, parlando cioè di AI generale, il tema richiama anche problematiche di carattere etico e giuridico.

Infatti, quando si parla di intelligenza artificiale generale, l’obiettivo non è solamente quello di sviluppare un’AI capace di replicare il funzionamento del cervello umano, bensì quello di implementare una tecnologia in grado di esprimere anche altre caratteristiche tipiche degli esseri umani.

Ci si chiede, cioè, se sarà possibile (un giorno) ottenere un’intelligenza artificiale cosciente della propria esistenza e, dunque, anche delle attività da essa poste in essere.

Sotto questa prospettiva, si possono evocare i timori espressi da Nick Bostrom nella sua celebre opera, “Superintelligence”, in cui vengono manifestate perplessità circa la possibile introduzione di sistemi di intelligenza artificiale di tal sorta: sul punto,  invero, viene esternato il timore generato dall’idea di uno sviluppo incontrollato di queste forme di AI che potrebbero, ben al di là di possibili effetti benefici per l’umanità, operare in modi non preventivabili per il genere umano e, potenzialmente, in aperto contrasto con relativi valori e modelli.

Al contrario, invece, vi è anche chi si dimostra particolarmente ottimista su questa eventualità, ritenendo che potrebbero esserci molteplici aspetti positivi conseguenti all’introduzione di tali sistemi di AI.

Sul versante etico, invece, la questione riguarda possibili effetti negativi (o, comunque, problematici) che potrebbero determinarsi alla luce di applicazioni di intelligenza artificiale inficiate dai bias algoritmici (a loro volta conseguenza di quelli cognitivi “ereditati” dagli esseri umani), ovvero i pregiudizi, di cui possono essere afflitte queste tecnologie[3].

Invero, tale aspetto rileva anche sotto il profilo giuridico, ove l’obiettivo principale è quello di garantire applicazioni di AI in linea con i principi e valori[4] a tutela dei diritti del singolo individuo: sul punto, basti pensare alla recente proposta di Regolamento della Commissione UE[5] in cui, nell’ambito del primo tentativo di codifica normativa organica nel settore dell’intelligenza artificiale a livello mondiale, essa si propone di costruire un sistema legislativo che tenga conto dei vari gradi di rischio insiti nelle diverse applicazioni di intelligenza artificiale[6].

Ora, al di là di queste valutazioni preliminari sul tema dell’approccio trasversale e polisettoriale che riguarda la materia, veniamo ad analizzare alcuni profili relativamente al settore dell’intelligenza artificiale e della proprietà intellettuale, nello specifico concentrandoci sul versante del rapporto tra AI e diritto d’autore.

  1. Riflessioni sul diritto d’autore delle opere realizzate mediante impiego di Intelligenza Artificiale: panorama normativo e giurisprudenziale

Quando parliamo di diritto d’autore, alla luce della normativa vigente in materia (Legge n. 633 del 1941, d’ora in avanti “LdA”), intendiamo quella tutela che l’ordinamento accorda alle “opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” (art. 1 della LdA).

Soggetto del diritto d’autore è il creatore dell’opera, sia essa individuale oppure collettiva (art. 6 e 7 della LdA). In generale, la tutela accordata dal diritto d’autore è riferibile all’autore inteso come persona fisica.

Ci si pone, dunque, l’interrogativo circa la possibilità di riferire il diritto d’autore alle opere ottenute mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale: infatti, i sistemi più moderni di AI sono in grado di compiere sempre più attività, tra le quali figurano anche quelle artistiche che, normalmente, penseremmo poter essere realizzate esclusivamente da esseri umani.

Invero, posto che nel settore industriale si riesce più facilmente ad immaginare l’impiego di un algoritmo di AI nello svolgimento di un dato compito[7], in ambito artistico il discorso (apparentemente) cambia.

Ciononostante, è ben possibile che, allo stato attuale, l’applicazione dell’AI consenta la realizzazione di opere che, qualora fossero compiute da un essere umano, verrebbero tutelate dal diritto d’autore.

Ciò posto, possiamo dunque chiederci quale sia il destino di opere di tal sorta sul presupposto che, attualmente, i sistemi di intelligenza artificiale non sono dotati di personalità giuridica.

Guardando al panorama internazionale, l’ordinamento statunitense sembrerebbe escludere la possibilità che si possa riconoscere il diritto d’autore alle “macchine autrici”, pur non specificando il Copyright Act chi sia il titolare del diritto; invero, ciò si può desumere dal riferimento che altre disposizioni compiono circa la realizzazione dell’opera da parte di una persona fisica.[8]

Un’indicazione interessante potrebbe provenire dal Copyright, Design and Patent Act[9] britannico in cui si ritiene autore dell’opera realizzata tramite un computer colui che è artefice della configurazione della macchina funzionale alla creazione dell’opera stessa. Inoltre, è previsto che non venga riconosciuto il diritto morale d’autore per le opere realizzate mediante l’impiego di una macchina e/o computer.

Venendo poi alla legge italiana (LdA, n. 633 del 1941), non ci sono previsioni espresse che si riferiscono a questa ipotesi.

Volgendo infine l’attenzione alla posizione assunta dall’Unione Europea, giurisprudenza e normativa sembrano confermare l’assenza di apertura circa la possibilità di riconoscere quale autore dell’opera direttamente un sistema di AI.

Sul versante normativo, si richiamino brevemente la Direttiva Software[10] e la Direttiva Database[11]: entrambe, infatti, prevedono che l’autore di un programma per elaboratore e/o di un database sia una persona fisica.

Ancora, lato giurisprudenza, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea è apparsa “pessimista” sulla possibilità di configurare la nascita del diritto d’autore direttamente in capo all’intelligenza artificiale, e ciò sul presupposto secondo cui i soggetti titolari dell’interesse verso questa forma di tutela (soprattutto sul versante del diritto morale d’autore) sono esclusivamente le persone fisiche[12]

  1. Il requisito della creatività e possibili sviluppi futuri

Uno dei requisiti più importanti, almeno sulla carta, ai fini dell’ottenimento della protezione accordata dal diritto d’autore è rappresentato dalla creatività.

Tale parametro è fondamentale, in quanto rappresenta il motivo per cui l’ordinamento attribuisce il diritto di esclusiva sull’opera creata a favore dell’autore.

Tuttavia, v’è da dire che il nostro ordinamento ha ampliato notevolmente il significato di “creatività”, al punto che oggi si arriva perfino a dubitare circa il possesso di tale requisito da parte di alcune opere[13].

Ciononostante, quello che ci interessa capire è se, parlando di opere dell’ingegno realizzate da un’AI, sia possibile ritenere sussistente in esse (o meno) il requisito della creatività.

Infatti, la creatività rappresenta (o dovrebbe rappresentare) l’esternarsi della personalità del creatore che arriva a riflettersi sull’opera frutto del suo ingegno.

In altre parole, l’autore sceglie come estrinsecare una determinata opera e, nel fare ciò, individua quale percorso è preferibile per esprimere la propria idea: non si tratta, cioè, di un monopolio sull’idea, bensì sulle modalità attraverso cui essa viene espressa.

Il punto, dunque, è esattamente questo: laddove non si parli di sistemi di intelligenza artificiale generale, come si potrebbero ritenere libere le scelte attraverso cui la “macchina” giunge a concepire una determinata opera?

Il problema è rilevante sotto molteplici aspetti: il primo, relativamente al rapporto intercorrente tra uomo e macchina, e ciò in quanto è pur sempre l’uomo che realizza l’intelligenza artificiale e ne programma, attraverso determinate scelte, il funzionamento.

Tuttavia, se si pensa agli attuali sistemi di deep learning basati su reti neurali, capaci di compere scelte non preventivabili e conoscibili ex ante da parte di sviluppatori e/o programmatori, appare di tutta evidenza come l’output finale si possa definire come soluzione “creativa” e originale individuata direttamente dall’intelligenza artificiale.

Detto altrimenti, ben potremmo considerare “libero” il percorso decisionale che essa “sceglie” nella realizzazione di una data opera.

Si potrebbe invece pensare, in assenza di indicazioni e dettami chiari da parte del legislatore e della giurisprudenza, che la creatività del programmatore – creatore dell’intelligenza artificiale consista proprio nella selezione delle modalità attraverso cui l’algoritmo concretamente funzionerà, sì da ritenere il requisito in questione insito in tali scelte tecniche ed operative. La soluzione, dunque, potrebbe essere rappresentata dalla previsione di un diritto particolare (sui generis) riconosciuto al creatore di essa in alternativa all’attribuzione del “tradizionale” diritto d’autore.[14]

Ad ogni modo, la questione appare di cruciale importanza, e ciò in ragione dei variegati interessi in gioco che potrebbero sovrapporsi. E veniamo dunque al secondo rilevante aspetto.

Si pensi, ad esempio, al caso relativo all’impiego di una tecnologia di AI da parte di un qualunque artista che, per realizzare una data opera, decida di avvalersi di un algoritmo sviluppato da un programmatore terzo: chi potrebbe configurarsi, in un caso del genere, quale titolare del diritto d’autore sull’opera creata?

Potremmo rispondere a tale domanda in diversi modi, considerando volta per volta titolare del diritto d’autore l’artista, il creatore dell’algoritmo di intelligenza artificiale oppure, per i più “avanguardisti”, l’intelligenza artificiale stessa.

Nel primo caso, si potrebbe considerare rilevante quanto e quale spazio creativo permane all’autore nell’impiego dell’AI durante la realizzazione dell’opera: infatti, potrebbe essere dirimente il fatto che l’intelligenza artificiale svolga un ruolo predominante ovvero strumentale a determinate componenti di essa.

Ancora, potrebbe accadere che il creatore – programmatore decida di rivendicare le scelte con cui ha realizzato l’algoritmo, con ciò pretendendo il riconoscimento dei propri meriti (e relativi diritti) in ordine al dataset selezionato e funzionale all’impiego dell’AI.

Si consideri, tuttavia, che il programmatore viene già tutelato dal diritto d’autore con riferimento alla realizzazione del software in quanto tale, ovvero con il brevetto laddove si tratti di un software parte di un più ampio sistema hardware (c.d. computer implemented inventions). In quest’ottica, potrebbe apparire eccessivo riconoscergli ulteriore tutela per il portato ottenuto e, in previsione, per l’opera futura che sarà realizzata dall’algoritmo.

Infine, per chi paventasse la possibilità che all’AI venga attribuita direttamente la titolarità del diritto d’autore, sia sul versante morale che patrimoniale, bisogna sottolineare che, allo stato attuale, questa possibilità appare precipitosa e, in parte, prematura. Infatti, prima ancora che sul piano giuridico, bisognerebbe in tal caso considerare che la paternità di una data opera è riconducibile, essenzialmente, alla percezione della persona fisica di essere tale rispetto all’opera realizzata.

Di conseguenza, un’intelligenza artificiale potrebbe oggi percepire sé stessa quale autrice dell’opera e, come tale, rivendicarne la paternità?

Questa domanda è molto importante, in quanto laddove la risposta fosse affermativa (oppure diventasse tale, in futuro), il problema potrebbe essere superato attribuendole direttamente la titolarità delle sue opere, e ciò anche con riguardo agli istituti del brevetto e del marchio per non parlare, a trecentosessanta gradi, della titolarità di diritti tout court.

Tuttavia, posto che l’impianto del diritto d’autore risponde ad una finalità precisa, ovvero stimolare l’autore a generare nuove creazioni e, così facendo, concorrere al progresso culturale della società, non sembra che questo stesso obiettivo possa concepirsi rispetto agli attuali sistemi di intelligenza artificiale che, come è evidente, non necessitano di incentivi particolari per svolgere attività “creativa”.

Ad ogni modo, pur potendo apparire come un discorso ancora embrionale, le riflessioni sul tema dell’AI rispetto al paradigma classico di attribuzione di situazioni giuridiche soggettive appaiono quanto mai opportune.

Tanto per citare qualche esempio: pochi anni fa ha visto la luce il primo volume di poesie realizzato da un’AI denominata “Xiaoice[15]”; la Sony, per il tramite del Sony CSL Research Laboratory, ha programmato alcuni algoritmi affinché risultassero in grado di comporre musica nello stile di artisti famosi[16]; ancora, si pensi a “The Next Rembrandt”, uno dei primi quadri realizzati in applicazione di tecnologie di machine learning nello stile del noto pittore olandese.

Un’altra soluzione, secondo alcuni, potrebbe essere quella della caduta in pubblico dominio delle opere AI-generated, con l’ovvio corollario dell’utilizzo gratuito da parte di chiunque voglia utilizzare l’opera.

È evidente, infatti, che un’ipotesi del genere comporterebbe diversi problemi: in primis, venendo meno gli incentivi a creare con l’impiego dell’AI, verrebbe ostacolato il processo creativo (perlomeno in quegli ambiti dove si coniugano tradizione ed innovazione).

Di contro a tale ipotesi, vi sono coloro che sostengono l’eventualità di una caduta in pubblico dominio delle opere realizzate dall’intelligenza artificiale; invero, a sostegno di questa tesi, vi è la preoccupazione che la tutela esclusiva di questi portati dell’ingegno avrebbe come risultato il detrimento dell’individuo come artista.

In conclusione, quale che sia la prospettiva che si dovesse ritenere migliore, risulta ovvio come saranno gli ulteriori sviluppi, tecnologici e successivamente giuridici, a suggerire nuovi spunti e possibili soluzioni ai problemi appena evidenziati.

 

 

[1] U. Ruffolo, Intelligenza Artificiale: il diritto, i diritti. L’etica, 2020

[2] Di questa tipologia, si pensi a COMPAS, algoritmo predittivo utilizzato nell’ambito del processo statunitense per calcolare il rischio di recidiva; proprio l’utilizzo di questo algoritmo ha generato il noto “Caso Loomis”, emblematico delle problematiche legate all’impiego dell’AI all’interno del processo. Per ulteriori info, vedi https://www.iusinitinere.it/intelligenza-artificiale-se-lalgoritmo-e-discriminatorio-31066 ad opera di M. C. Falchi, su Ius in Itinere.

[3] Nello specifico, il problema è relativo ai pregiudizi contenuti nei dati che vengono impiegati per istruire l’algoritmo che permette all’AI di funzionare.

[4] Per altre prospettive sul tema, consulta su “Ius in itinere”, Intelligenza Artificiale: implicazioni etichein materia di privacy e diritto penale”, a cura di Chiara Limiti, https://www.iusinitinere.it/intelligenza-artificiale-implicazioni-etiche-in-materia-di-privacy-e-diritto-penale-35424

[5] https://www.consulenzalegaleitalia.it/intelligenza-artificiale-domande-brevetto/

[6] Interessante come l’approccio utilizzato dalla Commissione per giungere a tale quadro legislativo sia il medesimo utilizzato per realizzare ed implementare il GDPR, ovvero utilizzando un approccio basato sul rischio (c.d. “risk based”) che tenga conto delle differenti aree e settori in cui i sistemi di AI vengono sviluppati e, dunque, dei potenziali diversi effetti che dal loro utilizzo potrebbero derivare.

[7] Si pensi al caso, tanto per citarne uno, di COMPAS, algoritmo predittivo utilizzato nel processo penale statunitense per calcolare il rischio di recidiva di un dato imputato.

[8] Compendium of U.S. Copyright Properties, 2017, III edizione

[9] Copyright, Designs and Patent Act, 1988, art. 9 comma 3, art. 77

[10] Direttiva 2009/24/CE

[11] Direttiva 1996/9/CE

[12] Caso Infopaq International vs Danske Dagblades Forening, C-5/08

[13]Con riferimento al “software”, fin dalle origini del dibattito circa il tipo di tutela da accordare, è evidente come risultasse già allora secondario il tema della creatività di tale opera.

[14] Un po’ quello che avviene, ad esempio, parlando di diritto sui generis in materia di banche dati.

[15] https://www.hwupgrade.it/news/telefonia/xiaoice-come-microsoft-ha-creato-una-fidanzata-virtuale-con-le-sue-tecnologie-ia_94318.html

[16] Con riferimento a tale esperimento, è noto il brano realizzato da un’AI con lo stile dei Beatles intitolato “Daddy’s Car”.

Sandro Marcelli

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Perugia, svolge attualmente la pratica per diventare avvocato. Svolge altresì un Master di II livello in Diritto della Concorrenza e dell'Innovazione, dove le principali tematiche affrontate riguardano i temi della proprietà intellettuale e industriale, concorrenza, big data, AI e data protection. Unisce alla grande passione per il diritto quella per le nuove tecnologie e l'innovazione, ritenendo fondamentale interrogarsi sulle implicazioni e ripercussioni di esse per le sfide che il diritto è chiamato ad affrontare.

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