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Tra obbligo e sicurezza: vaccini e tutela dei diritti umani

Con la somministrazione delle prime dosi del vaccino prodotto dalle aziende farmaceutiche Pfizer-BioNTech, lo scorso 27 dicembre ha avuto inizio, in tutta Europa, il piano di vaccinazione contro il Covid-19. Una data, però, meramente simbolica, atteso che lo stoccaggio e la distribuzione dei vaccini avverranno con tempi e modalità differenti da Stato a Stato. Tuttavia, mentre i governi di tutto il mondo lavorano per superare la pandemia e giungere alla c.d. “immunità di gregge”, garantendo a tutti i cittadini una vaccinazione rapida e sicura, l’argomento sta diventando sempre più divisivo nell’opinione pubblica.

Il tema della vaccinazione si lega inevitabilmente alla loro obbligatorietà e all’impatto sulla tutela dei diritti fondamentali: le autorità nazionali possono obbligare un individuo a vaccinarsi? Esistono dei criteri per stabilire l’opportunità di una vaccinazione obbligatoria? In altre parole, in quali circostanze le esigenze di tutela della salute pubblica permettono una compressione della sfera di decisione dei singoli individui in un ambito così delicato come la tutela della salute?

Per rispondere a queste domande, occorre anzitutto contestualizzare la questione in un quadro europeo variegato e in rapida evoluzione.

Le vaccinazioni in Europa

In questi ultimi anni, in tutta Europa, si sta assistendo ad una crescente ondata di sfiducia nei confronti dei vaccini, infondatamente accusati di causare danni alla salute degli individui, soprattutto se somministrati in dosi massicce e in un breve periodo di tempo[1]. A questa sfiducia segue una preoccupante riduzione nel numero di persone che decidono di accettare la somministrazione di un vaccino, con il conseguente rischio di assistere a focolai di malattie altrimenti gestibili, come il morbillo o la varicella. Benché la competenza in materia sanitaria sia riservata agli Stati membri, il Consiglio europeo, in una proposta di raccomandazione del 2018, ha segnalato che “la rapida diffusione della disinformazione attraverso i social media e gli antivaccinisti in pubblico ha alimentato pregiudizi … una maggiore diffidenza e timori nei confronti di eventi collaterali non dimostrati[2].

La questione, dapprima solo mediatica, ha avuto un impatto anche sul piano politico e legislativo: molti stati hanno rivalutato la propria legislazione in materia, innalzando il numero di vaccini obbligatori per mantenere l’immunità di gregge e sfidare il crescente scetticismo[3].

Attualmente, in Europa, ben 14 paesi non prevedono alcun vaccino obbligatorio, tra cui Portogallo, Spagna, Inghilterra e Irlanda, Svezia, Finlandia e Germania. È bene precisare, tuttavia, come le autorità sanitarie tedesche, pur non obbligando ad alcuna vaccinazione, ne raccomandino fortemente la somministrazione ai minori prima dell’accesso alla scuola primaria, richiedendo l’esibizione di un “libretto vaccinazioni” prima dell’iscrizione. Tra i paesi che invece prevedono l’obbligo di vaccinazione rientrano la Lettonia (che annovera ben 13 vaccini obbligatori) e la Francia (che ha di recente aumentato il numero di somministrazioni obbligatorie da 3 a 11).

Nel nostro Paese, la recente legge n. 119/2017[4] (il c.d. “Decreto vaccini”) ha reintrodotto un obbligo vaccinale “mediato”: non sono predisposti piani di vaccinazione di massa – come accaduto negli anni ’60 del secolo scorso – tuttavia la mancata somministrazione dei vaccini (aumentati da quattro a dieci) ora preclude l’iscrizione alle scuole dell’infanzia, ma non alle scuole elementari (i minori, in questo caso, vengono segnalati all’ASL competente e i genitori possono essere passibili di sanzione amministrativa)[5].

Quello che ne emerge è un quadro certamente disomogeneo, ma che mostra come i paesi europei (con il sostegno delle istituzioni dell’Unione Europea) siano orientati verso una disciplina sempre più stringente, con la collaborazione delle autorità locali – sanitarie e scolastiche – per segnalare eventuali profili di rischio (quali, ad esempio, i minori che non sono stati vaccinati contro determinate patologie).

In “tempo di pace”, dunque, il principale obiettivo delle istituzioni (nazionali e comunitarie) è quello di rimuovere il problema alla radice, intervenendo sin dalla più tenera età e raggiungendo così un duplice scopo: ridurre (fino quasi ad azzerare) la mortalità infantile – evitando la diffusione di pericolosi morbi infantili, come morbillo e varicella – e garantire una copertura vaccinale diffusa nella popolazione, usando la scuola come “strumento” per mappare la popolazione e tenere sotto controllo i focolai.

L’emergenza da Covid-19

Non solo l’attuale situazione di emergenza epidemiologica rende questi strumenti inadatti ad affrontare la pandemia, ma le stesse caratteristiche del virus impongono un programma di vaccinazioni radicalmente differente, con obiettivi e risultati finalizzati, se non a debellare, quantomeno a rendere più gestibile l’epidemia, permettendo di eliminare le limitazioni agli spostamenti e le misure di distanziamento sociale.

L’aspetto certamente più critico è l’alta infettività del virus, che si trasmette rapidamente e che colpisce con diversa incidenza le diverse fasce della popolazione: come noto, i dati dimostrano che il Covid-19 colpisce maggiormente persone adulte e anziane, con patologie pregresse, mentre si registra un numero minore di casi tra bambini e giovani[6]. Ciò pone in capo alle autorità sanitarie l’onere di predisporre un piano di vaccinazione mirato alle fasce più deboli della popolazione.

Pur tra le molte difficoltà di questa prima fase di distribuzione e stoccaggio del vaccino, in Europa le prime dosi sono state somministrate seguendo criteri similari e dando priorità al personale medico-sanitario, ai dipendenti pubblici in settori sensibili (come scuola e ricerca) e, a seguire, alla popolazione nel suo complesso, seguendo una “corsia preferenziale”, per persone deboli, anziani e maggiormente esposte ai rischi connessi al contagio.

Gli stessi governi nazionali hanno comunque paventato la possibilità  di obbligare tutta la popolazione o, perlomeno, alcune categorie di lavoratori (quali i membri del personale sanitario), a sottoporsi al vaccino anti-Covid 19, anche introducendo un “patentino” con cui certificare le avvenute vaccinazioni e applicando sanzioni a quanti decidano di sottrarsi all’inoculazione (ad esempio,  e sollevandoli da specifici incarichi o vietando l’accesso a determinati luoghi o servizi).

La domanda però resta: le autorità nazionali possono imporre la vaccinazione obbligatoria? E in caso di risposta positiva, in che modo ciò è compatibile con la tutela dei diritti umani?

Vaccini obbligatori e tutela dei diritti umani

Occorre preliminarmente evidenziare che le convenzioni e le carte internazionali in materia di diritti umani non prevedono alcun riferimento specifico ed esplicito ai vaccini e alle loro modalità di utilizzo.

Più ricorrenti, invece, sono i riferimenti alla tutela del diritto alla salute, esplicitamente previsto non solo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 25) ma anche da alcune carte regionali, come la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (art. 16) e la Dichiarazione americana dei diritti e doveri dell’uomo (art. XI). Ciò, però, non vale nel nostro continente: invero, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito, “CEDU”) non tutela in maniera esplicita un vero e proprio “diritto alla salute”. Tale diritto è, tuttavia, ampiamente riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo: ai sensi dell’art. 2 della Convenzione, gli Stati sono chiamati ad adottare tutte le misure adeguate a salvaguardare la vita delle persone sottoposte alla loro giurisdizione[7]. La natura e l’estensione di tale obbligo va parametrata in base allo specifico ambito in cui il diritto alla vita è messo in pericolo, nonché in relazione all’intensità del rischio.

La tutela della salute pubblica, in particolare, pone in capo alle autorità pubbliche una serie di obblighi positivi che consistono nell’adozione e nel rispetto di protocolli e regolamenti, per proteggere la vita dei pazienti[8]. Ad esempio, gli Stati hanno l’obbligo non solo di adottare specifici protocolli medici (basti pensare a quelli adottati per trapianti e trasfusioni[9]), ma anche di regolare l’accesso a determinate cure mediche e stabilire quali siano o meno concesse (gratuitamente o a pagamento) dal servizio sanitario nazionale. L’appropriatezza di dette misure è, nell’opinione della Corte, da valutare anche alla luce della professionalità del personale medico-sanitario impiegato, della strumentazione tecnica, dalla qualità delle strutture e così via[10]. Il mancato rispetto di questi obblighi generali, però, non è sufficiente per causare una violazione dell’art. 2 CEDU, ma occorre dimostrare che tale mancanza abbia avuto effetti negativi sulla salute di un individuo[11].

Oltre a questi obblighi positivi, dall’art. 2 CEDU discendono anche una serie di obblighi negativi, che impongono alle autorità sanitarie nazionali di astenersi dal compiere qualsiasi atto che possa interferire con l’autodeterminazione e la libera scelta nel campo della tutela della propria salute: ogni individuo, infatti, gode di un certo margine di discrezione ed è libero di decidere se accettare o rifiutare uno specifico trattamento medico, così come di scegliere cure alternative rispetto a quelle offerte dal servizio sanitario nazionale. Nella pronuncia sul caso Testimoni di Geova c. Russia, i giudici di Strasburgo hanno infatti evidenziato come ogni individuo goda di libertà di scelta e di auto-determinazione, atteso che un’interferenza in questa libertà “can only lessen and not enhance the value of life[12]. La Corte ha peraltro più volte evidenziato come essere sottoposti ad un trattamento obbligatorio possa[13] rappresentare una violazione dei diritti convenzionalmente garantiti[14], tra cui non solo il diritto alla vita, ma anche il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 CEDU.

Questa libertà si scontra inevitabilmente con le esigenze di tutela della salute pubblica, ancor più prioritarie nell’ambito della gestione della diffusione di patologie virali potenzialmente pandemiche.

CEDU e vaccinazioni

È curioso notare come, ad oggi, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sia scarna su questo delicato tema, nonostante la vastità di pronunce in materia di tutela del diritto alla salute[15].

In tempi più risalenti, la Commissione, nel caso Boffa e altri c. San Marino, si era pronunciata sulla compatibilità del piano di vaccinazioni obbligatorio contro l’epatite B alle previsioni convenzionali. Nella sua decisione, i giudici avevano statuito che non sussisteva alcuna violazione dell’art. 8 CEDU in quanto il programma di vaccini era giustificato dalla necessità di proteggere la salute pubblica e, dunque, rientrava tra le eccezioni previste dal secondo comma della norma. Già dal testo della Convenzione, infatti, è possibile ricavare una serie di utili criteri per stabilire se un determinato trattamento medico-sanitario possa essere considerato compatibile con la Convenzione: il citato art. 8, § 2 CEDU dispone che “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessariaalla protezione della salute”.

Circa il primo requisito, la giurisprudenza della Corte è concorde nel riconoscere che non è sufficiente che il provvedimento sia formalmente previsto dalla legge, bensì occorre che esso sia accessibile e comprensibile nel contenuto e nelle circostanze in cui questo viene applicato[16]. Più complesso è invece stabilire quando un provvedimento sia da ritenersi “necessario in una società democratica” per tutelare la salute dei consociati, così come complesso è anche definire la proporzionalità di una misura rispetto alle sue concrete finalità[17].

A tal riguardo, vale la pena segnalare il caso Solomakhin c. Ucraina[18], in cui il ricorrente era stato vaccinato contro la difterite nonostante lo stesso soffrisse di gravi patologie croniche e la vaccinazione presentasse diverse controindicazioni. Tale pronuncia merita di essere citata in quanto i giudici sono tornati sul già citato – e annoso – tema della proporzionalità, affermando che ogni procedura medica – inclusa la somministrazione dei vaccini – deve essere adottata effettuando un bilanciamento tra le esigenze di salute pubblica e le condizioni dei singoli pazienti – ossia, in particolare, la loro possibilità di accettare un trattamento medico senza subire ripercussioni negative[19]. Ad ogni modo, la Corte EDU ha chiarito che l’onere della prova grava in capo ai singoli ricorrenti, che devono essere in grado di aver subito un concreto danno alla salute a seguito dell’iniezione (e infatti, nel caso di specie, i giudici non hanno riconosciuto violazione dell’art. 8 CEDU in quanto il ricorrente non era stato in grado di provare di aver subito conseguenze negative dopo essere stato vaccinato –  ciò nonostante le patologie pregresse di cui lo stesso soffriva).

È in questo bilanciamento che gioca il margine di apprezzamento di cui ogni singolo Stato gode nel decidere gli interventi da effettuare in materia sanitaria; un margine in concreto molto ampio anche alla luce di un quadro europeo variegato, in cui manca un consensus sul tema[20] e in cui molti Stati preferiscono rimanere sulla scia della raccomandazione, piuttosto che dell’obbligo.

Attualmente, dinanzi alla Corte di Strasburgo, sono pendenti una serie di ricorsi[21] nei confronti della Repubblica Ceca, le cui autorità sanitarie, all’inizio degli anni 2000, avevano disposto l’obbligo di vaccinazione contro poliomielite, epatite B e tetano, per l’accesso dei minori alle scuole elementari. Tale obbligo, nell’opinione dei ricorrenti, non era previsto dalla legge, né era costituzionalmente legittimo e, in ogni caso, costituiva un grave rischio per la salute dei minori (Vavřička); peraltro, le autorità nazionali non avevano prestato alcuna garanzia in caso di eventuali conseguenze negative (Hornych). L’obbligatorietà delle vaccinazioni disposta dal Ministero della Salute, inoltre, rappresentava un’indebita ingerenza nella sfera individuale degli individui – nonché fattore di discriminazione – in quanto ostacolava l’accesso dei minori all’educazione elementare sulla base delle convinzioni dei genitori (Novotná, Hornych). Alla luce di queste valutazioni, secondo i ricorrenti, la Repubblica Ceca avrebbe violato non solo l’art. 2 CEDU, ma anche l’art. 8 (rispetto della vita privata e familiare), l’art. 9 (libertà di pensiero, coscienza e religiosa), nonché l’art. 2, protocollo 1, CEDU (diritto all’istruzione).

I ricorsi sono stati recentemente assegnati alla Grande Camera e lo scorso luglio si è tenuta una prima udienza. Si è ora in attesa di una sentenza che sarà, a suo modo, storica.

Considerazioni conclusive

La pronuncia della Corte nei confronti della Repubblica Ceca si inserirà in un contesto internazionale in evoluzione e ora fortemente condizionato dall’emergenza pandemica e in cui il tema della vaccinazione obbligatoria rappresenta sempre oggetto di forte dibattito. La pandemia ha rappresentato – e sta rappresentando – una sfida inedita, che ha spesso obbligato i paesi, non solo europei, ad adottare misure drastiche per contenere il contagio e proteggere la vita dei cittadini, sfidando i limiti imposti dal proprio (già ampio) margine di apprezzamento.

In tale contesto, anche la decisione di rendere il vaccino anti-Covid-19 obbligatorio potrebbe rivelarsi necessaria per superare le fasi più acute dell’emergenza. In questo caso, anche la giurisprudenza della CEDU non sembra porre particolari limiti o divieti, purché una simile decisione venga adottata nel rispetto delle procedure democratiche di produzione legislativa costituzionalmente previste e sia finalizzata alla tutela della salute pubblica, sempre tenuto conto del già citato largo margine di apprezzamento di cui godono gli Stati[22].

Ma nel nostro Paese, già dopo l’inizio delle vaccinazioni, l’opinione diffusa – tanto tra i banchi del Governo[23] quanto dell’opinione pubblica[24] – si riferiva ad un vaccino “fortemente raccomandato”, piuttosto che obbligatorio. Sul punto ha preso posizione anche il Comitato nazionale di bioetica che, nella persona del presidente, Lorenzo d’Avack, ha riferito come l’obbligatorietà dei vaccini sia da prendere in considerazione come extrema ratio[25]. D’altra parte, l’emergenza, che ormai perdura da quasi un anno, inevitabilmente spinge molti cittadini a richiedere provvedimenti celeri per raggiungere al più presto quell’immunità di gregge che permetterebbe di abbattere le limitazioni imposte dal Covid-19.

[1] La letteratura scientifica smentisce ampiamente questo “falso mito”, proliferato sul web e assurto a questione politica, prima che medica. Si veda in questo senso l’articolo di KATA A., A postmodern Pandora’s box: Anti-vaccination misinformation on the Internet, Vaccine, vol. 28, 7 febbraio 2010, pp. 1709 – 1716.

[2] Raccomandazione del Consiglio relativa al rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccin, Bruxelles, 26 aprile 2018, COM(2018) 244 final – 2018/0115(NLE).

[3] Tra cui non solo l’Italia, ma anche la Francia. Si veda Vaccination rates rise in Italy and France after law change, Nature, 16 luglio 2019 (https://www.nature.com/articles/d41586-019-02193-4).

[4] Decreto-Legge n. 73 del 7 giugno 2017, convertito con modificazione con L. n. 119 del 31 luglio 2017, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale (in Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 182 del 5 agosto 2017.

[5] Si veda il vademecum stilato dal Ministero della Salute sul sito ufficiale (al link http://www.salute.gov.it/portale/vaccinazioni/dettaglioContenutiVaccinazioni.jsp?lingua=italiano&id=4824&area=vaccinazioni&menu=vuoto).

[6] Stando ai dati riportati dall’Istituto Superiore della Sanità alla voce Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia ).

[7] Corte EDU, L.C.B. c. Regno Unito, ricorso n. 23413/94, sentenza 9 giugno 1998, §36.

[8] Ex multis, Corte EDU, Calvelli e Ciglio c. Italia, ricorso n. 32967/96, sentenza 17 gennaio 2002, §49, Corte EDU, Vo c. Francia, ricorso n. 53924/00, sentenza 8 luglio 2004, §89.

[9] Nel nostro paese ammodernati e diventati tema centrale di politica sanitaria dopo lo scandalo degli emoderivati scoppiato negli anni ’90.

[10] Corte EDU, Powell c. Regno Unito, ricorso n. 56080/13, decisione 4 maggio 2000; Corte EDU, Dodov c. Bulgaria, ricorso n. 59548/00, sentenza 17 gennaio 2008, § 82,

[11] La recente sentenza sul caso Lopes de Sousa Fernandes ha fatto chiarezza su una giurisprudenza prima confusa, stabilendo che, perché vi sia violazione dell’art. 2 CEDU sotto il profilo sostanziale, è necessario che concorrano una serie di requisiti: (a) le azioni e/o omissioni del personale sanitario devono consistere in una vera e propria violazione dei propri obblighi professionali; (b) tali violazioni devono essere genuinely identifiable come sistemiche e strutturali nel sistema sanitario nazionale; (c) vi deve essere un legame causa-effetto tra le azioni e/o omissioni delle autorità sanitarie e il danno patito dal paziente; (d) in ultimo, le violazioni devono essere il risultato di un mancato rispetto dei propri obblighi regolamentari da parte delle autorità statali, si veda Corte EDU, Lopes de Sousa Fernandes, ricorso n. 56080/13, sentenza 19 dicembre 2017, §§188 e §§191 – 196.

[12] Corte EDU, Testimoni di Geova e altri c. Russia, ricorso n. 302/02, sentenza 10 giugno 2010, §136

[13] La Corte utilizza le parole “may amount” in Commissione EDU, Boffa e altri c. San Marino, ricorso n. 26536/95, decisione 15 gennaio 1998.

[14] In particolare, l’art. 8, che tutela il diritto al rispetto della vita privata familiare (si vedano Commissione EDU, Acmanne e altri c. Belgio, ricorso n. 10435/83, 15 gennaio 1984, pp. 251 – 255).

[15] Si veda S. Katsoni, Do compulsory vaccinations against COVID-19 violate human rights?, Völkerrechtsblog, 2 dicembre 2020.

[16] Si veda Corte EDU, Silver e altri c. Regno Unito, ricorsi nn. 5947/72, 6205/73, 7052/75, 7061/75, 7107/75, 7113/75 e 7136/75, sentenza 25 marzo 1983, §87.

[17] Corte EDU, Dudgeon c. Regno Unito, ricorso n. 7525/76, sentenza 24 febbraio 1983, §§51-53

[18] Corte EDU, Solomakhin c. Ucraina, ricorso n. 24429/03, 15 marzo 2012.

[19] Ibid., §36.

[20] Sul ruolo del consensus nel delimitare il margine di apprezzamento delle autorità nazionali si veda Corte EDU, X, Y e Z c. Regno Unito, ricorso n. 21830/93, 22 aprile 1997, § 44.

[21] Corte EDU, Vavřička c. Repubblica Ceca, ricorso n. 47621/13; Corte EDU, Novotná c. Repubblica Ceca, ricorso n. 3867/14; Corte EDU, Hornych c. Repubblica Ceca, ricorso n. 73094/14; Corte EDU, Brožík c. Repubblica Ceca, ricorso n. 19306/15 e Corte EDU, Dubský c. Repubblica Ceca, ricorso n. 19298/15.

[22] Un aspetto evidenziato anche da alcune autorevoli voci, benché limitatamente al nostro paese, si veda Melzi d’Eril C., Enea Vigevani G., Lo Stato può obbligarci a fare il vaccino?, IlSole24Ore, 8 dicembre 2020 (https://www.ilsole24ore.com/art/lo-stato-puo-obbligarci-fare-vaccino-ADKUe36).

[23] Vaccino, Conte: “Renderlo obbligatorio? Escluso”, ANSA, 30 dicembre 2020 (https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2020/12/30/vaccino-conte-renderlo-obbligatorio-escluso_3c736577-9466-4e62-9e0a-a8837e57085c.html).

[24] Secondo un sondaggio Emg/AdnKronos, mentre 8 italiani su 10 sono favorevoli alla vaccinazione, meno di un italiano su 4 è favorevole all’obbligatorietà.

[25] Comitato nazionale di bioetica, I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione, 27 novembre 2020 )

Fabio Tumminello

30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all'esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017. Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell'Unione Europea. Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos - Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Paulo Pinto de Albuquerque ("I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 - 2020").

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