sabato, Ottobre 5, 2024
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Trade dispute tra EU e Cina: la guerra per l’energia fotovoltaica

Premessa

Nel 2013 ebbe inizio la prima “trade dispute” tra Europa e Repubblica Popolare Cinese (RPC), in merito alla vendita di impianti fotovoltaici prodotti in Cina e venduti in Europa, un avvenimento, ancora oggi, rimasto irrisoluto e che rappresenta, in buona parte, le contraddizioni produttive che oggi vive la RPC.

Una “trade dispute” può essere definita come “un disaccordo tra più paesi in merito alla produzione di beni che commerciano l’uno con l’altro, per esempio, in merito alle tasse sull’importazione o sul limite massimo di beni che possono essere importati” (fonte: Cambridge Dictionary) e, per ben  comprendere quella in questione, occorre guardare all’ evoluzione della produzione cinese di energia fotovoltaica. Sino al 2015, infatti, l’Europa risultava essere la maggior produttrice mondiale di energia fotovoltaica, con standard altissimi raggiunti soprattutto in Germania, Italia e GB. Secondo EurObserv’ER nel 2017 si è giunti alla produzione di circa 104 GW di elettricità provenienti da impianti fotovoltaici in tutta Europa. Un primato che sino a qualche anno fa sarebbe stato assolutamente impensabile. Tuttavia, già nel 2015, la RPC  aveva superato il primato produttivo mondiale di impianti fotovoltaici, detenuto precedentemente dalla Germania. Nel 2017, inoltre, la RPC ha sfiorato il record europeo con i suoi 100 GW di elettricità provenienti da impianti fotovoltaici e, secondo Jin Yang, professore di ingegneria chimica di Pechino, entro il 2050 la RPC arriverà ad una capacità produttiva di 1300 GW.

I motivi della crescita

I motivi che hanno portato ad uno sviluppo sostanziale degli investimenti, in primis pubblici, da parte delle istituzioni cinesi per lo sviluppo di nuove tecnologie fotovoltaiche è di natura strettamente economica.  Infatti, secondo la BNEF New Energy outlook, entro il 2021 in Cina il costo dell’energia fotovoltaica sarà inferiore al costo dell’energia termoelettrica (generata a carbone). Il punto tuttavia, è un altro, ed è relativo al prezzo di tale crescita. Gli impianti fotovoltaici di nuova generazione sono formati da silicio policristallino che, per essere correttamente trattato al fine di ridurre i danni ambientali, ha bisogno di un lungo e costoso processo di lavorazione. Tale processo è presente negli impianti produttivi europei e americani (il costo in media di un impianto fotovoltaico è di 84.000 $), ma manca in Cina. Il costo di vendita di un impianto fotovoltaico prodotto in Cina e venduto in Europa è, infatti, di molto inferiore: 25.000$. Secondo l’European Institute for Asian Studies, questo ridotto prezzo di vendita è proprio dovuto al mancato processo di trattamento del silicio cristallino.

L’indagine della Commissione Europea e la pratica di dumping

Nel 2012, la Commissione Europea diede avvio ad una prima indagine che ebbe come destinatari i principali produttori e rivenditori di impianti fotovoltaici cinesi con l’accusa di dumping (quando un’azienda vende un prodotto con un prezzo all’esportazione inferiore al prezzo praticato nel mercato di provenienza). A disciplinare tale materia vi è il regolamento UE 2016/1036 (che abroga e sostituisce il regolamento 1225/2009 all’epoca dei fatti vigente) relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea: nel caso in cui si rinvenga l’effettiva presenza di tali pratiche di dumping, la Commissione può rispondere con misure anti-dumping come i dazi ad valorem, ossia una percentuale del valore dell’importazione del prodotto interessato.

L’UE, sulla base di tale regolamento, può, quindi, imporre misure a patto che:

1) le importazioni siano, effettivamente, oggetto di dumping: il regolamento  di esecuzione 2017/367 (riferendosi proprio alle installazioni fotovoltaiche cinesi) stabilisce un margine ammissibile di variazione del prezzo di riferimento nel mercato di ingresso che oscilla tra l’8% e il 12 % rispetto al prezzo di mercato originario, ma, oltre tale margine, vi è pratica di dumping.

2) ci sia un pregiudizio materiale per l’industria dell’UE che fabbrica prodotti simili;

3) ci sia un nesso di causalità fra le importazioni soggette a dumping e il pregiudizio materiale;

4) le misure antidumping non siano contrarie all’interesse dell’UE;

Una volta imposti, I dazi vengono pagati dall’importatore nell’Unione europea e riscossi dalle autorità doganali nazionali dei paesi dell’UE interessati.

Da tale indagine, pubblicata il 4 Giugno 2013, emerge che la RPC è entrata prepotentemente nel mercato fotovoltaico con il subingresso nella WTO nel 2001; da quel momento vi è stata una crescita incontrollabile: in poco più di un decennio la RPC è divenuta la maggior produttrice al mondo di impianti fotovoltaici. Più del 90 % degli impianti prodotti in Cina sono esportati e, di questi, all’incirca l’80% è destinato al mercato europeo. Il punto più importante è, tuttavia, la conclusione: “il valore economico corretto di pannelli solari cinesi venduti in Europa dovrebbe essere dell’88 % più alto rispetto al prezzo di mercato ad oggi stabilito dalle case produttrici cinesi”.

In ragione di tale conclusione, la Commissione europea ha stabilito dei dazi ad valorem come misura anti-dumping su beni importati dalla Cina, aumentandone il prezzo. Così la RPC, in tutta risposta, ha dato il via alla “guerra di commercio” applicando dazi su beni importati dall’Europa come il vino italiano o francese, maggiorandone il prezzo e compromettendone la vendita. Il mercato cinese è il secondo mercato più redditizio per i prodotti europei, dando vita ad un commercio stimato a un miliardo di euro al giorno. Proprio per questo, si capì da ambedue le parti, che questa trade-dispute non avrebbe prodotto alcun risultato positivo. Dunque, a fine 2013, si giunse ad un accordo: l’UE ha imposto una tariffa minima temporanea (condivisa dalle parti) per la vendita di impianti fotovoltaici cinesi in Europa al fine di evitare le pratiche di dumping.

Conclusioni

Nel 2014, la Commissione Europea ha intrapreso una nuova indagine in merito alle medesime pratiche di dumping svolte dalla RPC. Tale indagine ha avuto luogo nel periodo 2014-2016 e il tre marzo 2017 la Commissione, rinvenendo la perseveranza nelle pratiche di dumping da parte di talune aziende cinesi, ha statuito l’applicazione di nuovi dazi ad valorem. Così tale trade dispute, pur rimanendo sostanzialmente aperta a possibili sviluppi futuri, può già essere considerata un ottimo monito per il futuro.

Il mercato energetico è particolarmente fertile, sia per sviluppi scientifici che economici. Tuttavia, occorre sempre una corretta gestione amministrativa dei processi di produzione. In Cina, secondo recenti studi, parte del grosso avvelenamento delle acque è dovuto anche ai non corretti processi di smaltimento e produzione del silicio cristallino. A sua volta, le acque avvelenate, hanno dato vita a ciò che è noto come il fenomeno dei “cancer villages” ( 癌症村) : una serie infinita di piccole città e villaggi, con una presenza preponderante vicino ai grandi centri produttivi, con un tasso di incidenza dei tumori sopraelevato rispetto a quelli ammessi dall’OMS. Da ciò sorge una domanda: il processo di ecocivilizzazione voluto dal primo ministro cinese Xi-Jinping è reale? Il raggiungimento del “sogno cinese”, tanto agognato dalle istituzioni repubblicane cinesi passa per la salute dei suoi cittadini?

Enrico Corduas

Classe 1993, laureato con lode in  giurisprudenza (Federico II) in diritto dell'energia con una tesi dal nome "Europa-Cina: politiche energetiche a confronto", frutto di un'esperienza di ricerca tesi a Shanghai (Koguan Law school). Attualmente svolge il tirocinio ex art 73 presso la Corte d'Appello di Napoli, I sezione penale.

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