Il traffico di organi ex vivo art. 601-bis c.p. : mentre l’Italia e l’Europa progrediscono, il mondo degenera

L’unico articolo fino al 2013 che disciplinava il traffico di organi prelevati da vivente era l’art. 7 della legge n. 458/1967 il quale recita : «è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno e con multa da 154 a 3.098 euro chiunque a scopo di lucro svolge opera di mediazione nella donazione di un rene». Leggendo attentamente l’articolo ci si rende conto di come tale disciplina fosse lacunosa in primis perché mancava un delitto di mediazione lucrativa nella donazione di organi ex vivo diversi dal rene; in secondo luogo incriminare unicamente lo “scambio” tra donatore e ricettore lasciava sfornita di tutela la fase successiva all’espianto: la fase in cui l’organo viene fatto circolare verso il richiedente, illegalmente. La prima lacuna è stata colmata dall’art. 22bis nel corpo della legge n. 91/1999, prevedendo, al primo comma, che «Chiunque a scopo di lucro svolge opera di mediazione nella donazione di organi da vivente è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 50.000 a euro 300.000. Se il fatto è commesso da persona che esercita. una professione sanitaria alla condanna consegue l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione». Per la seconda lacuna, si è provveduto con un disegno di legge definitivamente approvato alla Camera il 23 novembre 2016. Il disegno fu presentato nel 2013 dal senatore Romani con il titolo “Modifiche al codice penale e alla legge 1° aprile 1999, n. 91, in materia di traffico di organi destinati al trapianto” e, nello specifico,volto ad introdurre il nuovo art. 601-bis c.p. da rubricare “Reato di associazione finalizzata al traffico di organi destinati al trapianto”
Il nuovo art. 601-bis c.p. al comma primo punisce con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da 50.000 a 300.000 euro, oltre che con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dall’esercizio della professione qualora soggetto attivo sia l’esercente una professione sanitaria, «Chiunque, illecitamente, commercia, vende, acquista ovvero, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo, procura o tratta organi o parti di organi prelevati da persona vivente». La norma tende ad estendere l’ambito di rilevanza penale del traffico di organi ex vivo attraverso l’incriminazione di condotte cronologicamente successive all’interposizione lucrativa tra donatore e ricettore, già punita dall’art. 22-bis della legge n. 91/1999: incriminando l’acquisto, la vendita, il commercio, il procacciamento e la tratta di organi prelevati ex vivo, «in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo». Si tende, in tal modo, a tutelare la dignità e la salute di coloro che aspirino al trapianto di un organo e a reprimere qualsiasi contributo, da chiunque prestato, consistente nella diretta mercificazione degli organi umani o nel loro approvvigionamento al di fuori del sistema nazionale e legalmente disciplinato dei trapianti .
Il comma secondo del medesimo articolo, nel disciplinare una clausola di riserva che esclude la configurabilità del delitto tutte le volte in cui il fatto sia riconducibile nell’ambito di applicazione di una più grave fattispecie di reato, sanziona “la condotta di chi organizza, propaganda viaggi ovvero pubblicizza o diffonde con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico, annunci finalizzati al traffico di organi ovvero parti di questi, con la pena della reclusione da tre a sette anni e con la multa da Euro 50.000 a 30.000″. L’inquadramento di condotte pubblicitarie finalizzate al compimento di attività connesse al traffico di organi, come già previsto dall’art. 13 comma 3 della Direttiva 2010/53 dell’UE, va ricollegato ad un persistente allarme sociale derivante dalle nuove tecnologie informatiche, dando vita all’intento legislativo di perseguire tali condotte con maggiore precisione e vigore.
Mentre in Italia si cerca di elaborare una disciplina più stringente al fine di preservare l’essere umano, la sua dignità e soprattutto quanto custodisce all’interno del proprio corpo, nel resto del Mondo accadono eventi scandalosi.
Procedendo con ordine : la “Planned Parenthood”, catena di cliniche abortiste più grande d’America, rappresentata dalla Senior Director of Medical Services Deborah Nucatola ha dato vita ad un commercio illegale di organi e altre parti dei bambini appena abortiti (come emerge chiaramente da sue dichiarazioni pubblicate dal Center For Medical Progress riscontrabili al sito https://www.youtube.com/watch?v=s0MxjFWR_Bg ). Durante questa conversazione, ripresa a sua insaputa, la dottoressa spiega con sarcasmo come i medici di queste grandi cliniche siano diventati esperti nel preservare intatti gli organi del feto al momento della nascita, prestando attenzione all’uso delle pinze al fine di non disintegrare il cuore, polmoni, reni e quant’altro…organi per i quali, a sua detta, c’è altissima richiesta. La dottoressa nel corso nella conversazione spiega inoltre come sia possibile effettuare “aborti su misura” a seconda delle necessità del cliente. Peccato però che il commercio di parti del corpo umano sia un reato federale, c’è, infatti, un’espressa previsione che riguarda proprio il traffico di resti di bambini abortiti, punito con la reclusione fino a 10 anni e/o un’ammenda fino a 500mila dollari.
Un’altra realtà inquietante è quella del regime Cinese dove a partire dagli anni 90 e in particolare dagli anni 2000, si è formato e portato avanti un complesso e vasto sistema che trae profitti dalla rimozione forzata degli organi ai dissidenti religiosi, in particolare ai praticanti della disciplina meditativa del ‘Falun Gong’, ma anche a tibetani, Uiguri e cristiani indipendenti. Questi innocenti prigionieri vengono privati dei loro organi, senza loro consenso ovviamente, non appena un facoltoso paziente, in Cina o all’estero, ne fa richiesta. Il Doctors Against Forced Organ Harvesting (DAFOH – Medici Contro il Prelievo Forzato di Organi) in data 03.02.2017 ha affermato in seguito alle dichiarazioni dal medico Huang Jiefu, addetto alle pubbliche relazioni del regime per quanto riguarda i trapianti, che il vertice organizzato alla Pontificia Accademia delle Scienze a Roma, in merito al tema vitale del traffico illecito di organi umani, non dovrebbe andare avanti senza prendere dei provvedimenti per assicurarsi che il governo della Cina abbia messo fine al suo programma di prelievo di organi. L’attuazione delle presunte riforme in Cina rimane vaga e non verificata a causa della mancanza d’ispezioni libere e indipendenti. Ricordiamo che fino al 2015 la Cina praticava legalmente, in conformità con il proprio regime, il trapianto di organi di condannati a morte i quali venivano utilizzati nei due terzi dei trapianti effettuati in tutta la Cina.
La Cina però non ha limitato il traffico al suo stato, tanto è vero che il 27 luglio 2016 una stazione di polizia nella provincia vietnamita di Ha Giang, al confine con la Cina, diede l’allerta alla comunità di un’ondata di rapimenti finiti in modo orribile : sedici furono le vittime rapite e dai cui corpi asportati organi vitali.
Altra faccia della medaglia è quella dell’Isis: ormai da anni i fuggitivi siriani cercano disperatamente di raggiungere le Coste Europee per salvarsi dai loro paesi in guerra e il prezzo che sono disposti a pagare non ha più limiti. Anche via internet, con mezzi come Facebook o Twitter, si dichiarano disposti a «dare un rene per arrivare in Europa » o per far partire la propria famiglia, ovviamente in cambio di poche migliaia di dollari. I donatori prendono dai 1.000 ai 7 mila dollari per un rene o un polmone, ma gli intermediari guadagnano 100 volte tanto: per un trapianto i pazienti pagano fino a 100 mila dollari in nero. Secondo recenti indagini, alcuni profughi sarebbero anche obbligati dalle mafie a vendere gli organi per ripagarsi il viaggio e la Turchia sarebbe uno dei centri più attivi di questo trafficking. Il ministero della Salute siriano stima che in quattro anni di guerra almeno 18 mila siriani siano andati “sotto i ferri” per farsi prelevare organi.
Quanto riportato ha tutte le caratteristiche di un do ut des tragico e disperato che, secondo diversi report, cresce con il flusso dei profughi e la povertà dilagante.
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.