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Criminal & Compliance

Tribunale di Rovigo, Sez. penale, sentenza n. 465, 13 ottobre 2020: Il delitto di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, confini applicativi e considerazioni politico-criminali

A cura di Ludovico Valotti

 

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Rovigo – Sezione penale si è pronunciato con riferimento ad una contestazione del reato di “agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope” (art. 79 d.P.R. n. 309/1990 – T.U. stupefacenti), mossa nei confronti di un catechista.

La sentenza risulta di particolare interesse in quanto circoscrive opportunamente l’ambito di applicazione della fattispecie in parola, per la quale sono previsti limiti edittali elevati e la cui formulazione appare invero non esente da critiche.

All’esito di un’interpretazione condivisibile dell’art. 79 d.P.R. n. 309/1990, il Tribunale di Rovigo è giunto ad assolvere l’imputato dal reato a lui ascritto.

 

2. Al fine di comprendere le ragioni della pronuncia assolutoria in commento, conviene innanzitutto dare conto brevemente dei fatti del caso di specie.

Imputato nel giudizio era, come anticipato, un catechista, responsabile dello svolgimento di un ciclo di incontri post-cresima che si tenevano ogni pomeriggio presso il plesso parrocchiale.

Nel corso delle indagini e del susseguente giudizio, era in particolare emerso che al termine di tali incontri, alcune partecipanti (peraltro minorenni) si intrattenevano in più occasioni nel cortile retrostante la canonica per consumare marijuana.

 

3. Sulla base delle risultanze delle indagini preliminari, dunque, il Pubblico Ministero aveva contestato al catechista di aver adibito <<la canonica della chiesa di (…) di cui aveva la disponibilità quale catechista a luogo convegno abituale per l’uso di sostanza stupefacente tipo “marijuana”>>.

Così ricostruita, la condotta è stata coerentemente riferita all’ipotesi criminosa di cui all’art. 79 d.P.R. 309/1990, aggravata per la partecipazione di soggetti minori ai sensi del comma 3 della medesima norma. L’art. 79, infatti, incrimina il soggetto che, avendo il potere (anche solo di fatto), stabile o temporaneo, su di un luogo, si adoperi affinché esso sia utilizzato da una pluralità di persone per il consumo di sostanze stupefacenti, ovvero consenta (o, semplicemente, tolleri) tale utilizzo (così è stato ritenuto da Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 12679, 11 marzo 2009).

Quindi, l’art. 79 d.P.R. 309/1990 è classificabile come norma a più fattispecie (o norma mista alternativa), in quanto il reato previsto da ciascuno dei primi due commi è astrattamente uno solo, ma può essere realizzato indifferentemente da una delle due condotte (attiva o omissiva) in essi tipizzate.

Inoltre, la norma de qua si presenta anche come una disposizione a più norme (o norma mista cumulativa): essa, infatti, ai primi due commi, prevede due diverse ipotesi criminose, sanzionate con la medesima pena e distinte solo in ragione della natura del luogo adibito a sede per il consumo di sostanze stupefacenti.

A ben vedere, il capo d’imputazione, nel caso di specie, non specifica se la condotta sia riconducibile al primo o al secondo comma; il fatto, però, che in esso vengano utilizzati espressamente i termini <<disponibilità>> e <<abituale>>, presenti solo nel secondo comma dell’art. 79 (e peraltro riproposti nella parte motiva della sentenza), induce a desumere che la condotta dell’imputato era stata, correttamente, sussunta sotto l’ipotesi di cui al secondo comma.

Ed infatti, il cortile retrostante la canonica non può certamente essere qualificato come <<locale pubblico>> o <<circolo privato>>; preferibile è sicuramente la classificazione come <<immobile>> di cui un soggetto può avere la disponibilità.

Ciò posto, il Tribunale di Rovigo non ha aderito all’impianto accusatorio, evidenziando la sua inconsistenza sotto due diversi punti di vista.

Innanzitutto, quanto alla disponibilità del luogo in cui avveniva l’abituale consumo di sostanze stupefacenti, i giudici di merito hanno osservato che lo spazio in questione era un cortile adiacente alla canonica, nel quale alcune partecipanti agli incontri post-cresima si recavano al termine degli stessi. Dall’istruttoria era emerso che a tale cortile era possibile accedere tramite due cancelli; mentre le chiavi del primo erano custodite dal catechista, lo stesso non poteva dirsi delle chiavi del secondo, lasciato sempre aperto.

Di conseguenza, il cortile era accessibile liberamente. Questo elemento è stato ritenuto sufficiente e idoneo, dal Tribunale di Rovigo, per ritenere che l’imputato <<non avesse l’esclusiva disponibilità dei luoghi>>.

Egli non era, quindi, titolare del potere-dovere di intervenire per evitare l’abituale riunione (c.d. ius excludendi), al fine di fare uso di sostanze stupefacenti, delle ragazze; inoltre, il Tribunale ha rilevato l’insussistenza stessa dell’elemento materiale del reato contestato.

Basando la propria conclusione su una recente pronuncia della Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 3728, 7 novembre 2𝟢19), i giudici di merito hanno osservato come, nel caso di specie, difettasse proprio la condotta agevolativa di cui all’art. 79 d.P.R. 309\1990. Ciò è stato affermato sulla base della considerazione che le minori si trovavano nei locali della canonica per svolgere incontri post-cresima e che, solo al termine degli stessi, esse si recavano, del tutto autonomamente, verso il cortile. Pertanto, anche in virtù del fatto che il catechista non aveva alcun obbligo giuridico di impedire eventi come quelli verificatisi, la condotta dello stesso non è stata qualificata come agevolativa, in quanto egli nulla aveva fatto per adibire (né, parimenti, aveva consentito che altri adibissero) il cortile <<a luogo abituale di persone che ivi si diano all’uso di sostanze stupefacenti>>.

 

4. La decisione del Tribunale di Rovigo appare conforme alla lettera dell’art. 79 d.P.R. 309/1990. Le motivazioni della pronuncia in esame risultano peraltro idonee ad evitare un’eccessiva dilatazione dell’ambito di applicazione del reato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope. Le puntualizzazioni ermeneutiche dei giudici di merito circa il concetto di “disponibilità” del luogo e circa le caratteristiche dell’elemento materiale del reato consentono invero di scongiurare un’estensione della repressione penale a casi che, come quello di specie, appaiono immeritevoli di una sanzione (la cui entità, ai sensi dell’art. 79, risulta, peraltro, tutt’altro che trascurabile).

Condivisibile appare anche la sottolineatura, presente nella parte motiva della sentenza, circa il fatto che non fosse configurabile in capo all’imputato alcuna posizione di garanzia di tipo impeditivo; il che, peraltro, rende anche del tutto irrilevante l’eventualità che egli fosse o meno presente nei momenti in cui avveniva il consumo di sostanze stupefacenti.

Tale sottolineatura risulta apprezzabile in quanto consente di escludere alla radice la configurabilità di una sorta di responsabilità oggettiva in capo al catechista (nel caso di specie) ovvero (per esempio) al preside di una scuola, che non possono certo essere trasformati in “guardiani”, gravati del (decisamente arduo) compito di evitare sempre e comunque il consumo di sostanze stupefacenti all’interno di strutture frequentate da ragazzi.

Apprezzabile è, quindi, l’interpretazione restrittiva offerta dai giudici di merito, che hanno escluso i fatti del caso di specie dall’ambito di tipicità dell’art. 79.

 

5. Appare conclusivamente opportuno sviluppare qualche sintetica considerazione di natura politico-criminale sulla fattispecie in esame.

Innanzitutto, va specificato che la ratio dell’art. 79 è da rintracciarsi principalmente nella volontà del legislatore di fare “«terra bruciata» intorno all’utilizzo tout court della droga, anche in fasi unicamente prodromiche al consumo della stessa” (così F. Tuccillo, “Gli altri delitti in materia di stupefacenti”, in L. Della Ragione, G. Insolera, G. Spangher (a cura di), I reati in materia di stupefacenti, edizione 2019, Giuffrè, Milano)

Segnatamente, l’art. 79 presenta la particolarità di incriminare una condotta agevolativa di un fatto penalmente lecito (nel nostro ordinamento lo stesso avviene, per esempio, in forza dell’art. 580 c.p., il quale punisce chi istiga o aiuta qualcun altro a commettere un fatto lecito, quale quello di suicidarsi). Il consumo personale di sostanze stupefacenti (tutt’al più costituente illecito amministrativo ex art. 75 d.P.R. 309\1990) rimane invero irrilevante sotto il profilo penalistico; non altrettanto può dirsi, invece, per il comportamento di chi favorisca o faciliti tale consumo.

La condotta agevolativa de qua deve avere, come emerge dal testo della norma, un carattere materiale, consistente nell’adibizione (o nel consenso all’adibizione da parte di altri) di un locale a <<convegno di persone che ivi si danno all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope>>. Il necessario carattere materiale dell’ausilio in parola affiora anche dall’interpretazione sistematica dell’art. 79 d.P.R. 309\1990, la cui portata applicativa va individuata in relazione agli altri illeciti contemplati nel medesimo corpus normativo. A tal proposito, in prospettiva sistematica emerge come il legislatore abbia sanzionato, quali autonome ipotesi di reato o di illecito amministrativo, le sollecitazioni sul piano motivazionale al consumo di sostanze stupefacenti (artt. 82 e 84 d.P.R. 309/1990).

Detto del necessario carattere materiale del contributo di cui all’art. 79 d.P.R. 309\1990, preme ora rilevare che, sebbene il nomen iuris della norma faccia riferimento genericamente all’<<agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope>>, con essa non si è voluto incriminare qualsiasi comportamento agevolativo. Il legislatore ha piuttosto individuato solo una serie di condotte, allo scopo di circoscrivere il concetto di agevolazione punibile ai sensi dell’art. 79: non rileverà qualsivoglia contributo astrattamente sussumibile sotto la nozione di “agevolazione”, ma esclusivamente l’ausilio apportato nelle forme previste dalla disposizione de qua (meglio descritte nel paragrafo 3).

A ben vedere, però, la fattispecie incriminatrice si presenta lacunosa in punto di tassatività e determinatezza. Ed infatti la condotta incriminata risulta essere descritta in termini alquanto generici, ponendo a rischio di sanzione (e di elevato stigma sociale) soggetti che magari nulla hanno fatto per agevolare l’uso di sostanze stupefacenti. A tal proposito, nella prassi, può verosimilmente risultare arduo circoscrivere la condotta di chi si limita a consentire che altri adibiscano un luogo per il consumo di droga; ciò può portare, per l’appunto, ad un’eccessiva dilatazione dell’ambito di applicazione di una fattispecie incriminatrice così severa.

A tal riguardo va, infatti, sottolineata l’entità draconiana delle sanzioni (tale da porre anche dubbi sulla conformità al principio di proporzionalità della fattispecie in parola) previste dalla norma in commento, che, a seconda del tipo di sostanza stupefacente e delle circostanze del caso concreto, vanno da un minimo di un anno a un massimo di dieci anni di reclusione (più una cospicua multa).

In conclusione, anche per quest’ultima ragione, non si può che esprimere apprezzamento nei confronti di pronunce della giurisprudenza che, come quella in commento, evitano un’indiscriminata estensione dell’ambito di applicazione di fattispecie dai contorni piuttosto indefiniti.

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