giovedì, Aprile 18, 2024
Di Robusta Costituzione

Tutela dell’ecosistema nell’interesse delle generazioni future: riflessioni a partire da una risalente pronuncia della Corte Suprema delle Filippine

  1. Premessa: un problema etico con soluzione giuridica

I diritti delle generazioni future sono un tema relativamente recente nella dottrina giuspubblicistica, eppure estremamente attuale e soprattutto percepito a ragione come urgente, in quanto l’oggetto dei diritti coinvolti rileva la propria fragilità con sempre più frequente e drammatica evidenza, come nel caso delle catastrofi ambientali.

Nel perseguire strategie di adattamento ai cambiamenti climatici e di trasformazione dei rapporti economici e sociali in osservanzza di un generale principio di sostenibilità – talvolta in modo più radicale, altre nel solco di una più passiva ideologia della resilienza[1] – si fa strada, da un lato, “la percezione che, senza un’intesa globale sul futuro del pianeta, le stesse condizioni di vita dei paesi economicamente più avanzati potranno essere messe seriamente in discussione”[2] e, dall’altro, la più mesta consapevolezza che cambiamenti radicali nello stile di vita e di consumo diffusi negli ultimi due secoli sono non più procrastinabili ed essenziali per garantire più a lungo la stessa sopravvivenza della specie umana.

Ciononostante, specialmente nella filosofia giuridica si è comunque posto il problema etico che impone di chiedersi perché chi esiste oggi dovrebbe limitare i propri diritti attuali in funzione di chi ancora non esiste – e comunque esisterà in modo eventuale ed ipotetico, seppure altamente probabile, almeno come elemento di una collettività – e poi, anche qualora si accetti tale fonte di limitazione dei diritti dei contemporanei, fino a che punto si può o si deve spingere la protezione di questi diritti: soltanto ai discendenti immediati o anche agli abitanti di un futuro remoto e maggiormente ipotetico[3]?

Al primo problema, fermo restando il persistere del dibattito filosofico sul tema, si è data una soluzione definita non tanto sul piano etico, ma piuttosto su quello giuridico: ovvero, sempre più corti e legislatori, in diversi Paesi, hanno deciso di percorrere questa strada, poiché nella loro analisi, che è ormai prevalente, ciò risponde a criteri di giustizia e soprattutto ai principi fondamentali dell’ordinameno internazionale e di quelli interni, vi sia o no una previsione espressa in tal senso. Più complessa, almeno almeno a prima vista, la seconda questione: si vedrà che, specialmente in ambito processuale, la tutela viene accordata con maggiore agilità alle generazioni più prossime, anche in ragione del fatto che è più semplice immaginare una loro rappresentanza, posta la (tutto sommato) prossima venuta al mondo che le attende, nonché perché la vicinanza temporale consente di presumere più facilmente l’esistenza di un’identità di interessi tra i viventi e i loro figli e nipoti, che si intravede già meno rispetto a discendenti remoti ed eventuali.

  1. Questioni sostanziali e processuali: esistenza come autonomo diritto, rappresentanza delle generazioni future, utilizzabilità come metro di giudizio

Tre questioni caratterizzano in modo significativo la stessa possibilità che il diritto delle generazioni future possa avere rilevanza in sede processuale.

La prima, in verità, è questione di carattere eminentemente sostanziale, già anticipata in premessa, e coinvolge la stessa esistenza ed il possibile riconoscimento di diritti in capo alle generazioni future. Senza troppo diffondersi su questo argomento, si può osservare che, a ben vedere, spesso tanto la legge quanto la giurisprudenza hanno riconosciuto diritti o quantomeno situazioni giuridiche attive – come l’aspettativa – in capo a soggetti non ancora venuti al mondo: si pensi ai diritti e alla protezione di cui gode il nascituro[4].

La seconda è questione più tecnica, strettamente di carattere processuale: chi – se qualcuno esiste – è legittimato ad assumere in giudizio la rappresentanza di un’entità che, seppure non sia corretto considerare astratta, è sicuramente indefinita nei suoi precisi confini, come le “generazioni future”? In generale, come accade usualmente nelle azioni di classe, si potrebbe ritenere che gli enti che abbiano quale finalità statutaria un diritto che senza dubbio costituisce altresì interesse delle future generazioni siano possiedano tale legittimazione, qualora venga leso precipuamente quel diritto o interesse. Nel caso delle Filippine però – si vedà – viene riconosciuta legittimazione ad agire in giudizio alla più giovane generazione contemporanea, sia per la tutela dei propri diritti, che per quelli delle generazioni future.

Inoltre, specialmente grazie a costituzioni sociali come quella italiana e ai trattati internazionali sui diritti umani, si potrebbe osservare come il primo interessato, sia in quanto interprete di finalità che lo trascendono[5], sia perché interessato alla propria stessa sopravvivenza, sia proprio lo Stato[6]. Da altra prospettiva, si potrebbe infine anche sostenere che chiunque condivida questo interesse – ovvero sostanzialmente ognuno – sia legittimato a far valere un diritto anche a vantaggio delle generazioni future, però quest’ultima appare più come un’argomentazione utilizzabile in corso di giudizio, che una fonte di legittimazione processuale.

Infine, a proposito della validità dei diritti delle generazioni future come metro di giudizio, a supporto di decisioni giudiziali, non sussistono particolari dubbi: si osserverà infatti nel prosieguo come le Corti abbiano già iniziato a utilizzarlo in diverse ocasioni, a maggior ragione qualora sollecitate da apposite previsioni legislative o, meglio ancora, costituzionali.

  1. La sentenza della Corte Suprema delle Filippine del 1993[7].

Vale dunque la pena richiamare per sommi capi le disposizioni della celebre sentenza del 30 luglio del 1993, emessa dalla Corte Suprema delle Filippine, per lungo tempo unico caso in cui le generazioni future hanno trovato espresso riconoscimento da parte di un tribunale[8].

Attraverso un’azione di classe, i ricorrenti – un gruppo di minorenni filippini rappresentati dai genitori – agivano infatti in giudizio chiedendo di revocare e vietare il rilascio delle licenze rilasciate dalle autorità governative ai fini dello sfruttamento del patrimonio boschivo per la produzione di legname, sostenendo che la conseguente deforestazione avrebbe leso il diritto a un ambiente salubre. L’elemento rivoluzionario[9] di questa pronuncia è data dalla circostanza che essa, “oltre ad aver sancito che il diritto ad un’ecologia equilibrata e sana costituisce un preminente valore costituzionale in quanto connaturato ad esigenze fondamentali di conservazione e riproduzione del genere umano, è arrivata a riconoscere il diritto d’azione popolare ai minorenni in quanto rappresentanti nello stesso tempo la propria e la generazione non ancora nata”[10].

La Corte Suprema delle Filippine, dunque, anzitutto ha ammesso che i minorenni costituiti in giudizio tramite i genitori nell’azione di classe potessero rappresentare non soltanto l’intera generazione cui appartenevano, ma anche quelle future, ancorando la decisione a un principio di responsabilità intergenerazionale, secondo il quale, non manca di notare, “l’asserito diritto dei ricorrenti a un ambiente salubre rappresenta, allo stesso tempo, la misura del loro dovere di garantire lo stesso diritto per le generazioni successive”[11].

Inoltre, sotto il profilo sostanziale, la Corte ha riconosciuto il principio di responsabilità intergenerazionale sulla base dell’argomento testuale costituito dall’art. 16 Cost. Filippine del 1987, che affida allo Stato il compito di proteggere il “right to a balanced and healthful ecology“, da cui il diritto a un ambiente salubre sopra citato. Ciò che rivela però la natura peculiare dei diritti delle generazioni future – che paiono quindi potersi ricondurre ad una matrice di tipo giusnaturalistico – è la successiva affermazione per cui, anche in mancanza di specifica previsione costituzionale, “si presuppone che esistano dall’inizio del genere umano”[12]. Se invece ora vengono inseriti espressamente nella carta costituzionale, ciò accade – osservano i giudici – “in ragione del fondato timore dei costituenti che, senza un esplicito dovere dello Stato di tutelare i diritti all’ambiente e alla salute, potrebbe non essere lontano il giorno in cui le condizione di autoconservazione vengano meno non solo per la generazione presente, ma anche per quelle future[13].

Sul piano politico e sociale, non vi è dubbio sulla validità dei ragionamenti posti alla base della sentenza filippina, tanto che il principio della responsabilità intergenerazionale, anche oltre la questione ambientale dalla quale è scaturito, “invita l’uomo a riflettere sul suo destino e sulla sua identità”[14], costituendo anche per gli autori che non condividono il versante processuale della pronuncia – non ritenendo che esso sia giudizialmente azionabile – un nuovo diritto umano[15].

Il filone giurisprudenziale noto come “climate change litigation”, d’altra parte, al tempo della citata sentenza del tutto inesplorato, è oggi in netta crescita ad ogni latitudine, di fronte all’urgenza di far froonte alla questione climatica anche per via giurisdizionale[16]: si possono citare l’ormai storica sentenza Urgenda del 2015, nei Paesi Bassi[17], la sentenza Trillium in Cile[18], più recentemente le sentenza della Corte Suprema irlandese nel 2020[19], quella del Tribunale Amministrativo di Parigi del 3 febbraio 2021[20], di nuovo la Corte distrettuale olandese di Hague, che ha condannato la Royal Duch Shell ad abbattere le emissioni[21], il Tribunale costituzionale tedesco, che ha dichiarato illegittima la legge federale sul clima, e molte altre sono ancora pendenti[22].

  1. Affermazione in Italia e recepimento costituzionale

Anche nell’ordinamento italiano, è possibile fare riferimento a due illustri precedenti della Corte Costituzionale: con due sentenze del 1996, la n. 259 e la n. 419, infatti, la Consulta ha risolto una questione sollevata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche motivando con riferimento alla salvaguardia del “diritto  fondamentale  a  mantenere integro il patrimonio ambientale”[23], che la Corte espressamente riconosce essere un diritto fondamentale dell’uomo e delle generazioni future[24].

Nella fattispecie, il giudice a quo lamentava infatti il contrasto con gli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione dell’art. 1 co. 1, l. 5 gennaio 1994, n. 36, il quale dichiarava il regime pubblico e dunque operava la demanializzazione di tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, in quanto costituiscono  una  risorsa  salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà. Di contro, l’Avvocatura generale, per la Presidenza del Consiglio, osservava che “l’acqua  e’  il  bene  primario  della  vita,   con   caratteristiche ontologiche peculiari ed esclusive, e che essa non è suscettibile di dominio,  ma  solo  di  uso”[25], giustificando in tal modo l’intervenuta novella legislativa.

La Corte, infine, nel motivare la posizione assunta dal collegio, faceva ampio riferimento ad un criterio storico, collocando storicamente l’esigenza di tutela delle acque: nell’arco di un secolo, infatti, le risorse idriche hanno conosciuto ovunque una crescente preponderanza dell’interesse  pubblico, “correlata all’aumento dei fabbisogni, alla limitatezza delle disponibilità e ai rischi concreti di penuria  per i   diversi   usi   (residenziali,  industriali,  agricoli),  la  cui preminenza e’ venuta nel tempo ad assumere connotati diversi”[26]. Inoltre, rispetto al passato, oggi è necessario osservare il tema forti della “raggiunta  consapevolezza della limitata disponibilità idrica”[27], che si riflette nella  Carta  europea dell’acqua del 16 maggio 1968 e nelle ulteriori normative sovranazionali.

In sede di giudizio di legittimità costituzionale, dunque, non veniva rilevata alcuna criticità nella lettera della legge sottoposta alla supervisione della Corte, in quanto il regime di pubblicità delle acque sarebbe giustificato dalla limitatezza delle risorse idriche; ciò che è stato correttamente osservato dalla dottrina come affermazione degna di nota, però, è “questo fatto, […] che il diritto delle generazioni future ad un uso razionale delle risorse da parte delle attuali generazioni sia entrato nella motivazione di decisioni di un Tribunale di così alto grado”[28], poiché sarebbe indice di un orientamento alla sostenibilità nell’uso delle risorse naturali in grado di indirizzare sia il legislatore, che le corti.

Oltre due decenni dopo queste settoriali iniziative legislative, e relative pronunce della Corte, come noto si è giunti al recepimento del diritto intergenerazionale in Costituzione, proprio con riferimento ai temi ambientali sui quali si è affermato. Con la l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1, il legislatore è infatti intervenuto modificando l’art. 9 co. 3, ove si afferma ora che che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, e l’art. 41 co. 2 e 3, secondo il quale l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.  Si coglie, dalla lettura della riforma, la connessione inequivocabile del tema ambientale con la responsabilità degli attori economici, che sono tenuti a farsi carico degli effetti negativi delle loro iniziative sul bene pubblico costituito dalla conserazione dell’ambiente e dell’ecosistema, in aderenza a un principio di solidarietà che si estende alle generazioni future nel godimento dei medesimi diritti e dello stesso benessere goduto da quelle attuali[29].

Se dunque attenta dottrina, interrogandosi sul diritto delle future generazioni, ha osservato che nella legislazione nazionale e sovranazionale “rimane ancora in gran parte da costruire lo strumento giuridico diretto a garantire tale tutela”[30] e, nonostante l’impennata di procedimenti sorti negli ultimi anni, trarre delle conclusioni definitive sulla tendenza in atto sarebbe tuttora avventato[31], l’auspicio che “anche le associazioni ambientalistiche nel ventaglio delle proprie competenze finalizzate alla protezione dell’ambiente possano ricomprendere una legittimazione processuale a tutela del diritto delle generazioni future”[32] e che dunque di quest’ultimo si faccia una più continua applicazione.

  1. Conclusioni 

È noto come, molto spesso, la legge scritta sia l’ultima a cambiare, solo dopo lunghi ripensamenti a valle di posizioni ormai consolidate nel sentire comune e, talvolta, in dottrina e giurisprudenza. Ciò è sicuramente vero in relazione a mutamenti epocali nelle priorità avvertite dal tessuto sociale, che in certa misura, almeno come “pura forza” non organizzata o sistematizzata all’interno di un contesto ideologico coerente, li precedono quasi sempre: e questa osservazione, che viene spesso riscontrata criticamente, come un sintomo del perenne ritardo del potere legislativo rispetto al progredire degli eventi, meriterebbe invece una favorevole rivalutazione, come fattore di adattamento dell’ordinamento giuridico al sentimento e alle necessità degli abitanti di un epoca, riducendo al minimo indispensabile l’imposizione del diritto come pura lex posita.

Il diritto intergenerazionale, dunque, al netto di ogni legittima perplessità di carattere etico e filosofico, è entrato progressivamente nelle categorie del diritto pubblico dapprima in qualità di elaborazione teorica, secondariamente, come spesso accade qualora vi siano giudici dotati di particolare sensibilità – specie in sede di giudizio di legittimità costituzionale – grazie al formante giurisprudenziale, e soltanto alla fine più direttamente in via normativa.

Interessante è però osservare come principi che, un tempo, erano a stento considerati meritevoli di considerazione scientifica, oggi rivestano importanza tale da incidere persino su questioni procedurali che poco attengono alla questione prettamente teorica, ripristinando e restituendo allo Stato un finalismo intrinseco[33] che altrimenti, nell’ordinaria amministrazione della cosa pubblica, rischia di rimanere imbrigliato.

Infine, altrettanto interessante è osservare come anche Paesi indubbiamente sviluppati sotto il profilo industriale e dotati di ampie risorse economiche fatichino, non meno di Paesi in via di sviluppo che ancora perseguono una strategia di crescita che si confronta relativamente con i problemi ecologici e ambientali, a fare proprio il principio di responsabilità intergenerazionale, che pure è garanzia di benessere per sè e per i propri discendenti: faticano dunque a discostarsi da un’idea di eredità prettamente patrimoniale, rallentando l’affermazione universale di un principio che vede in estrema sintesi nel bene comune – o nei beni comuni singolarmente intesi, tra i quali senz’altro quelli naturali – un patrimonio pubblico da preservare a favore delle generazioni future, quanto e più di quello privato.

[1] L’affermazione della resilienza come obiettivo di politica pubblica, specialmente nelle questioni economiche e sociali, è osservato criticamente in: D. Testa, Lavoro e occupazione nel PNRR: tra valori costituzionali e questioni irrisolte, in L. Cestaro, G. Comazzetto (a cura di), Dialoghi giuspubblicistici sulla ripresa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2022.

[2] R. Bifulco, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della responsabilità intergenerazionale, Milano, Franco Angeli, 2008, pp. 17-18.

[3] Ibidem.

[4] La letteratura sul tema è vasta; ex multis, cfr. G. Ballarani, Nascituro (soggettività del), in E. Sgreccia, A. Tarantino (a cura di), Enciclopedia della bioetica e scienza giuridica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015; A. Palma, Il nascituro come problema ‘continuo’ nella storia del diritto, TSDP, n. 7/2014; A. Tarantino, Culture giuridiche e diritti del nascituro, Milano, Giuffrè, 1997.

[5] F. Pizzolato, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano, Vita e Pensiero, 1999.

[6] È appena il caso di osservare come ciò non sia risolutivo qualora, come nel caso filippino, lo Stato sia controparte.

[7] The Philippines Supreme Court, Minors Oposa v. Secretary of the Department of Environment and Natural Resources (DENR), July 30, 1993, in ILM, 1994.

[8] R. Bifulco, Diritto e generazioni future, cit. Più in generale, sul tema e sulla sentenza in oggetto, si vedano: A. D’Aloia, Generazioni future (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali IX, Giuffrè, Milano, 2016, p. 382; D. B. Gatmayan, The illusion of intergenerational equity: Oposa v. Factoran as a Pyrrhic victory, Georgetown International Environmental Law Review, n. 15/2003, pp. 457 ss.

[9] In questi termini V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, Riv. giur. ambiente, n. 2/2002, pp. 209 ss.

[10] Ibidem.

[11] R. Bifulco, Diritto e generazioni future, cit., 81-82. L’autore osserva inoltre che, nel commentare la sentenza, in genere “non è stato adeguatamente messo in rilievo l’evidente ricorso alla tecnica giuridica della finzione. Gli interessi delle generazioni future hanno avuto voce grazie alla finzione di considerarli rappresentati dai minori che si erano costituiti in giudizio”.

[12] Ivi, 72.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] T. Scovazzi, Le azioni delle generazioni future, Rivista giuridica dell’ambiente, n. 1/1995, p. 159, partendo dall’assunto per cui i diritti delle generazioni future non sono altro che una bella formula che sottintende un nuovo diritto dell’uomo, operante esclusivamente sul piano politico e sociale, afferma che “se questo è il significato dei diritti delle generazioni future, la sentenza appare criticabile là dove essa attribuisce un diritto di agire ai minorenni in quanto tali, arrivando addirittura, in un passo poco chiaro della decisione, a trasformare questo «diritto» nell’adempimento di un vero e proprio «obbligo»”.

[16] L. Bartolucci, Le generazioni future (con la tutela dell’ambiente) entrano “espressamente” in Costituzione, Forum di Quaderni Costituzionali, n. 2/2022, p. 33 (cfr. J. Peel, H. M. Osofsky, Climate change litigation. Regulatory pathways to cleaner energy, Cambridge, Cambridge University Press, 2015; I. Gonzalez-Ricoy, F. Rey, Enfranchising the future: Climate justice and the representation of future generations, Wiley Interdisciplinary Reviews: Climate Change, 2019).

[17] Ex multis: K. J. De Graaf, J. H. Jans, The Urgenda Decision: Netherlands Liable for Role in Causing Dangerous Global Climate Change, Journal of Environmental Law, n. 3/2015, pp. 517 ss.; J. Lin, The First Successful Climate Negligence Case: a comment on Urgenda Foundation v. the State of the Netherland, Climate Law, n. 1/2015, pp. 65 ss.; G. Vivioli, I vincoli dello Stato nell’adozione delle politiche di riduzione delle emissioni inquinanti nella prospettiva della violazione dei diritti umani: brevi considerazioni sulla sentenza di appello del caso “Urgenda”, AmbienteDiritto.it, 31/12/2018; V. Jacometti, La sentenza Urgenda del 2018: prospettive di sviluppo del contenzioso climatico, Rivista giuridica dell’ambiente, n. 1/2019, pp. 121 ss.; M. Morvillo, Climate change litigation e separazione dei poteri: riflessioni a partire dal caso Urgenda, Forum di Quaderni Costituzionali, 28 /05/2019.

[18] Chilean Supreme Court of Justice, 2.732-96 1998.

[19] Friends of the Irish Environment CLG v the Government of Ireland, Ireland and the Attorney General [2020] IESC 49. Cfr. C. Renglet, The Decision of the Irish Supreme Court in Friends of the Irish Environment v Ireland: A Significant Step Towards Government Accountability for Climate Change?, Carbon & Climate Law Review, n. 3/2020, pp. 163–76.

[20] L. Del Corona, Brevi considerazioni in tema di contenzioso climatico alla luce della recente sentenza del Tribunal Administratif de Paris sull’“Affaire du siècle”, Gruppo di Pisa, n. 1/2021. Cfr. P. Pinto, Una via giudiziaria all’ecologia? Riflessioni sull’Affaire du siècle francese, Il Diritto dell’Agricoltura, n. 3/2021, pp. 299 ss.

[21] M. Magri, Il 2021 è stato l’anno della “giustizia climatica”?, AmbienteDiritto.it, n. 4/2021. Anche per considerazione più generale.

[22] Ibidem.

[23] C. Cost. 10 – 19 luglio 1996, n. 259.

[24] Ibidem e V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, cit.

[25] C. Cost. 10 – 19 luglio 1996, n. 259.

[26] Ibidem.

[27] Ibidem.

[28] V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, cit.

[29] Oltre al settore ambientale ed ecologico, infatti, l’altro ambito dove si è sviluppato dal principio il principio di responsabilità intergenerazionale è quello economico e, soprattutto, previdenziale (cfr. L. Bartolucci, Il più recente cammino delle generazioni future nel diritto costituzionale, Osservatorio AIC, n. 4/2021; F. Ciaramelli, F. G. Menga (a cura di), Responsabilità verso le generazioni future, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017; G. Palombino, La tutela delle generazioni future nel dialogo tra legislatore e Corte costituzionale, Federalismi.it, n. 24/2020; I. Ciolli, Diritti delle generazioni future, equità intergenerazionale e sostenibilità del debito, Diritto&Conti, n. 1/2021; L. Violini, G. Formici, Doveri intergenerazionali e tutela dell’ambiente, Il diritto dell’economia, Atti di convegno, Università degli studi di Milano, 2021.

[30] R. Bifulco, Diritto e generazioni future, cit., p. 19.

[31] V. Pepe, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto interno, cit.

[32] Ibidem. Cfr. nota n. 46: T. Martines, L’ambiente come oggetto di diritti e di doveri, in V. Pepe, Politica e legislazione ambientale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1986, p. 21, afferma che “il diritto all’ambiente, a voler tutto concedere, ha come titolari nei limiti in cui credo di averlo precisato, non i singoli ma delle formazioni sociali, una pluralità di soggetti, in quanto riflesso della proprietà collettiva dei beni ambientali”. Cfr. anche A. Lucarelli, Diritto alla partecipazione e procedimento amministrativo, in G. Cordini, Parchi e aree naturali protette, Padova, Cedam, 2000, p. 81, ove si analizzano i problemi legati alla partecipazione di gruppi di interessi deboli al procedimento amministrativo in materia ambientale.

[33] F. Pizzolato, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, cit.

Davide Testa

Davide Testa è dottorando di ricerca presso la LUISS - Guido Carli e City Science Officer a Reggio Emilia, cultore della materia in Diritto Costituzionale e avvocato nel Foro di Padova. Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi,  ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin. Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”. A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e partecipa ai lavori del gruppo di ricerca "Progetto Città", promosso dal Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell'Università di Padova. Nel 2020-2021 è inoltre stato titolare di un assegno di ricerca FSE intitolato "Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso" presso il medesimo ateneo. Dal 2022 è dottorando di ricerca industriale presso LUISS - Guido Carli e, nell'ambito del dottorato, svolge attività di ricerca applicata presso il City Science Office attivato presso l'amministrazione di Reggio Emilia, nell'ambito della City Science Initiative promossa dal JRC della Commissione Europea. È inoltre avvocato presso il Foro di Padova.

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