sabato, Aprile 20, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Tutela di uno scatto: il copyright nella moda

Tutela di uno scatto: il copyright nella moda

a cura di Marina Avellino

Il mondo pubblicitario è definitivamente cambiato con l’avvento dei social networks, in particolar modo con Instagram.

Dal 2015, infatti, non vi è miglior vetrina di quella celata da uno scatto condiviso online sulla più famosa app  a livello mondiale; strumento che ci permette in pochi secondi di raggiungere un larghissimo numero di utenti – connesso dalle parti più disparate del mondo – ed in più dà all’utente l’opportunità di scegliere il proprio pubblico, mediante l’utilizzo di semplici hashtag: raggruppatori tematici che etichettano il contenuto e lo lasciano confluire nella giusta branca del network.

Questo nuovo mondo ha fatto sì che il lavoro delle modelle, ad esempio, cambiasse radicalmente: quest’ultimo, difatti non termina più con l’ultimo click di una campagna fotografica, o con lo spegnimento delle luci in passerella, ma prosegue in rete dovendo curare la propria immagine anche sul proprio account[1].

Secondo Simone Marchetti, editor in chief di Vanity Fair, vi fu una sfilata in particolare che consacrò l’avvento delle “influencer” nel mondo della moda: l’evento di Dolce&Gabbana durante il quale le nuove protagoniste sedevano accanto ad Anna Wintour[2].

Quello fu il momento in cui fu evidente, secondo il direttore, che era nata una nuova era: quella delle “pagine pubblicitarie viventi[3].

La motivazione è semplice: la reputazione online del personaggio determina il suo seguito e di conseguenza l’appetibilità dello stesso per i diversi brand.

Allo stesso modo, inoltre, sarà cura dei redattori di riviste del settore e degli stessi marchi di moda occuparsi della propria immagine social, in modo da dare input diversi ai propri clienti e a coloro che si avvicinano al nuovi target, creando contenuti adatti a comunicare il proprio mood.

La caratteristica del social media è l’eliminazione dell’intermediario, questo appare come strumento che parla direttamente al consumatore finale ridefinendo tutte le regole pubblicitarie che fino ad allora avevano passaggi obbligati nel mondo dell’editoria. L’industria della moda è stata l’ultima a convertirsi al digitale.

La nascita dei blog del 2009, seguito dall’approdo su Instagram nel 2012, ha però creato un vademecum non indifferente a livello normativo, lasciandoci in un medioevo digitale che ha scosso l’opinione della Federal Trade Commission, in primis, per tentare di redigere un codice etico per gli utenti social in modo da garantire ai fruitori del servizio una sorta di trasparenza e veridicità delle informazioni ivi acquisite.

Il Digital Marketing: da dove comincia la tutela del copyright.

Il fenomeno di cui andremo a parlare è stato definito come un’operazione già conosciuta nel mondo aziendale appartenente al reparto marketing: social media marketing, appunto[4]. Questo si occupa di supportare un marchio o un determinato prodotto attraverso della sua popolarità sui social network. Ad occuparsi del diffondersi della “notizia” sarà il già citato hashtag e la condivisione dello stesso all’interno della community un numero ingente di volte, in modo da creare una sorta di passaparola online che riesce anche a decretare la popolarità della stessa in modo competente e critica data dalla possibilità di confrontarsi sul tema attraverso commenti e largo audience di settore.

Oltre ai social network questa strategia viene presa in considerazione anche su blog e motori di ricerca specializzati, il futuro dell’impresa cd. “digital”.

La Digital Industry non si occuperà soltanto di una branca comunicativa, ma lascerà che siano altre aziende e figure apposite a farlo nel suo interesse, dedicando a questo lavoro la peculiarità e la presenza online costante che serve per creare un rapporto tra utenti e consumatori che si concretizzi sulla base della fiducia: quella concessa nel caso di Instagram dal pubblico all’influencer di turno. E’ anche per questo che si ritengono fondamentali gli strumenti di individuazione di Influencers, il social media manager che si impegnerà nella cura della visibilità online dell’azienda dovrà sfruttarli per focalizzarsi sull’ingaggio di colui che gli sembrerà più adatto al suo scopo.

Ritornando alla liceità di questi strumenti per realizzare una campagna pubblicitaria si conviene immediatamente su un punto. Lecita sì ma se non nascosta. Purtroppo infatti la prassi in auge è quella di “taggare” unicamente la pagina del marchio sponsorizzato senza far riferimento alla pubblicità ma limitandosi ad incassare like ed a permettere al pubblico di connettersi al brand in questione cliccando sul suo tag o sul link riportato al di sotto del post che talvolta inoltra i potenziali clienti prontamente sull’e-commerce. Molti di questi ultimi si sentono ingannati dal post beffa e generano un impatto negativo sia sulla reputazione di colui che ha postato la “pubblicità camuffata” sia della griffe citata. Come può l’utente medio evitare di farsi trarre in inganno da questo comportamento? Esistono sanzioni adatte a limitare lo svolgimento di queste pratiche? [5]

All’interno del nostro paese è stata istituita un’associazione a cui sono vincolate le aziende che abbiano a che fare con la comunicazione in tutte le sue forme o anche coloro che abbiano sottoscritto all’interno di un contratto in forma di clausola di accettazione il codice e le decisioni autodisciplinari previste. Queste parti, così come i consumatori saranno in questo modo tutelate come previsto dall’art. 1 del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale rubricato “Lealtà della comunicazione commerciale” che recita: “La comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarla”. Prima di di verificare quale sia il modus operandi dell’organo è necessario rivelarne la partecipazione in qualità di membro all’EASA (European Advertising Standards Alliance), associazione di stampo internazionale con sede a Bruxelles il cui compito è di rappresentare tutti gli organismi autodisciplinari europei ed extrauropei. È la stessa Unione Europea d’altronde a ad appoggiare enti volti alla tutela del consumatori nei riguardi della pubblicità ingannevole: prima con la direttiva n. 450/84 propriamente su quest’ultimo argomento; successivamente sugli aspetti comparativi della stessa con tramite la direttiva n. 29/05 secondo cui: “È opportuno prevedere un ruolo per i codici di condotta che consenta ai professionisti di applicare in modo efficace i principi della presente direttiva in specifici settori economici. Il controllo esercitato dai titolari dei codici a livello nazionale o comunitario per l’eliminazione delle pratiche commerciali sleali può evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o amministrative e dovrebbe pertanto essere incoraggiato.” Questo tipo di indirizzo è stato formalmente ripreso in una norma contenuta nel nostro Codice del Consumo [6]che sottolinea l’importanza degli organismi autodisciplinari che ormai sono considerati i principali interlocutori dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato specie in caso di controversie che implichino una pronuncia degli stessi.

Ritornando invece all’iter da seguire perché il controllo effettuato dall’associazione in questione sia effettivo è necessaria semplicemente una segnalazione da parte di un gruppo di consumatori o da singoli individui da inoltrare al Comitato di controllo che ne verificherà la conformità al Codice. Qualora la comunicazione scorretta implicasse un’attività commerciale, il titolare potrà presentare un’istanza scritta al Giurì assicurandosi la tutela adeguata.

Per quanto concerne nello specifico la pubblicità di nostro interesse e cioè quella che avviene attraverso canali social, lo IAP[7] si preoccupa di prevedere un metodo di individuazione della stessa quando non sia evidente che si tratti di una promozione commerciale frutto di un accordo intercorrente fra inserzionista ed influencer secondo l’art. 7 del codice che prescrive che: ”La comunicazione commerciale deve essere sempre riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti.” La strategia è quella di combattere il fenomeno attraverso lo stesso strumento con cui è nato: l’uso di hashtag. Basterà infatti digitare il noto “cancelletto” con accanto il nome della campagna pubblicitaria del brand od il suo sito internet e stavolta saremo sicuri: non sarà semplice apprezzamento di un prodotto ma un’apposita operazione pubblicitaria come tale sotto stretto monitoraggio dell’ente autodisciplinare[8]

Queste novità hanno però destato l’attenzione di una moltitudine di studi legali operanti nel settore della proprietà intellettuale i cui avvocati hanno evidenziato per alcuni post (questo il nome dei contenuti pubblicati sulla piattaforma) la violazione del copyright per l‘utilizzo inappropriato o semplicemente non autorizzato di immagini legate al marchio o all’influencer coinvolto. Indipendentemente da chi o cosa sia ritratto in foto infatti i diritti della stessa appartengono al suo autore (generalmente fotografi o paparazzi) che in quanto tale può disporre dell’opera nel modo che più sembra consono percependo per di più dalla stessa anche tutte le derivazione economiche come previsto dall’art. 12 della Legge 633 del 1941 sul diritto d’autore:

“L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera”.

Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in particolare con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti.

È considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.”

Si lega necessariamente all’art. 12 un altro caposaldo del diritto d’autore e cioè il diritto dell’autore di operare qualsiasi modificazione così come menzionato dall’art.18:

“Il diritto esclusivo di tradurre ha per oggetto la traduzione dell’opera in altra lingua o dialetto.  Il diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera previste nell’art. 4.

L’autore ha altresì il diritto esclusivo di pubblicare le sue opere in raccolta.

Ha infine il diritto esclusivo di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione.”

Le modificazioni cui il dispositivo si riferisce sono senza dubbio quelle soprattutto in positivo che potrebbero aggiungere valore creativo all’opera e determinare una concorrenza dannosa alla sua utilizzazione economica.

Quali nello specifico quindi le modificazioni consentite?

Alterazioni o aggiunte che si rivelino quali rifacimenti dell’opera originale, elaborazioni (es. compendi) e infine adattamenti e variazioni non concernenti l’opera originale

L’autore, inoltre, vanta sull’opera diritti esclusivi tra loro indipendenti come previsto dall’art. 19.

Ma cos è che rende queste opere meritevoli di una tutela così ben strutturata?

Il copyright e le nuove tendenze.

Il copyright o “diritto di copia” si occupa di proteggere un’opera creativa, che abbia dato un’interpretazione estrinseca del mondo esteriore in maniera totalmente soggettiva. Viene tutelata non solo il modo d’apparire dell’opera ma se vogliamo anche quello d’essere: la forma interna, la struttura, la trama. Il diritto d’autore nasce con l’opera e la sua paternità può facilmente essere dimostrata se depositata presso la SIAE[9]. Alla morte dell’autore i diritti acquisiti continueranno ad esistere fino a settant’anni dopo, prevedendo che i diritti morali possano continuare ad essere esercitati a norma dell’art. 23 l. 633/1941 senza alcun limite di tempo. La legislazione italiana tratta del copyright fondamentalmente come sinonimo del diritto d’autore ma ciò non vale in quella americana che al contrario considera il copyright un diritto federale che consente a chi si sia distinto per la realizzazione di opere originali (siano esse musicali, letterarie, fotografiche ecc.) di tutelarsi rispetto alla loro distribuzione, riproduzione o esibizione ma anche adattamento. Ponendo come requisito per la registrazione l’originalità dell’opera si pone a tutela la forma della stessa e non la sua idea che invece è libera di diffondersi. C’è una sottile differenza per il copyright fotografico che gode di un diritto minore quale il diritto ad un equo compenso per la loro diffusione. Da qui la base della distinzione americana per cui il termine copyright è più improntato ad una tutela economica dell’opera per la quale non è necessario nessun deposito e che anzi nasce semplicemente con la cattura dell’immagine . A questo punto è chiaro che qualsiasi utilizzo dell’immagine in mirino da parte di soggetti terzi non autorizzati dia il via ad una richiesta di violazione di copyright. Come è possibile certificarla? E necessario esibire prove tangibile della riproduzione nonché dell’appropriazione indebita dimostrabili con prove indiziarie (prova della registrazione e evidenza della similarità della riproduzione) e prove dirette come la presenza di testimoni oculari. La tutela agisce anche in assenza di volontà del convenuto di ledere l’altrui diritto. E’ configurabile così violazione indiretta in due fattispecie particolari: responsabilità dell’agente per induzione all’attività pregiudizievole e sua responsabilità vicaria qualora questi dall’azione diretta lesiva ricavi dei vantaggi e non l’abbia arginata. Nonostante ciò non è impossibile utilizzare un’immagine da altri scattata ma è necessario ottenere consenso del titolare originario e può avvenire tramite un regolare rapporto di cessione o più spesso in ambito fashion all’interno di rapporti contrattuali tra brand e fotografi più propriamente categorizzabili in lavori su commissione (a work made for hire)[10]. Un esempio? Il più recente vede coinvolta Bella Hadid accusata di violazione del copyright dalla fotografa Timur Massive che aveva scattato con lei una campagna di Tommy Hilfiger. La modella ha utilizzato infatti un’immagine estratta dal servizio fotografico e sapientemente ritagliata per impreziosire il suo profilo Instragram prendendosi quasi gioco delle conseguenze ma facendo il gioco della pubblicità:“@zendaya made this hat so I shall wear this hat until I can no longer wear this hat anymore @tommyhilfiger”

[1]From Bella and Gigi Hadid and Goop to Virgil Abloh and Marc Jacobs: A Running List of Paparazzi Copyright Suits”, 21 febbraio 2020 The Fashion Law Magazine

[2] R. Neri “Quando la giornalista si scaglia contro la fashion blogger” 3 ottobre 2016, Il corriere della sera

[3] Cit. Simone Marchetti,  “Unposted, Elisa Amoruso” .

[4] Per un approfondimento: S. Sardella “Influencer marketing e Fashion Law” 19 aprile 2020, Ius in itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/influencer-marketing-e-fashion-law-26606

[5] M. Raco “La digital Chart: una prima regolamentazione dell’influencer marketing” 5 maggio 2020, ius in itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-digital-chart-una-prima-regolamentazione-dellinfluencer-marketing-27135

[6] Regolato dal d.lgs 206/2005 più volte modificato che ha come scopo quello di armonizzare le normative che coinvolgono acquisto e consumo assicurando ad utenti e consumatori un alto grado di tutela

[7] Sistema di autoregolamentazione del settore pubblicitario nato nel 1966 come associazione riconosciuta il cui fine è quello di rendere la comunicazione commerciale: corretta,onesta e veritiera

[8] IAP, Codici e altre fonti, Istituto autodisciplina pubblicitaria, https://www.iap.it/

[9] Società Italiana degli Autori ed Editori che tutela tutti coloro che scelgano di associarvisi in quanto detentori di diritto d’autore.

[10] Disciplina statunitense del copyright, nota del Ministero dello Sviluppo Economico

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