Una sentenza monito della Consulta in materia di informazione antimafia
Con sentenza n. 180/2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (cod. antimafia) sollevata dal Tar Calabria in relazione agli artt. artt. 3, secondo comma, 4 e 24 Cost., pronunciano però un (secondo) monito al legislatore in ordine ai rilevati profili di attrito con il principio costituzionale di uguaglianza di cui all’art. 3 co.1 Cost..
Il giudice rimettente è stato adito tramite ricorso con cui si chiedeva l’annullamento dell’informazione antimafia interdittiva emessa a carico della titolare di una impresa individuale.
Al ricorrere di taluni presupposti, il codice antimafia prevede divieti e decadenze capaci di incidere sulle attività economiche dei destinatari, ai quali è precluso ottenere o mantenere erogazioni pubbliche, contratti pubblici e provvedimenti amministrativi quali licenze, autorizzazioni, concessioni.
Le interdizioni derivano dall’applicazione di misure di prevenzione personali, con provvedimento definitivo del giudice (art. 67, comma 1) o dall’adozione, da parte del prefetto, di una informazione antimafia (artt. 91 e ss. cod. antimafia). Solo quando le decadenze e i divieti discendono da una misura di prevenzione il giudice può escluderne l’applicazione per tutelare l’eventuale stato di bisogno dell’interessato. Invece, il prefetto non dispone del potere di escludere le decadenze e i divieti stabiliti dal comma 5 dell’art. 67 cod. antimafia, ove valuti che, in conseguenza degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia.
Il profilo oggetto di censura attiene pertanto all’irragionevole disparità di trattamento che si rileva in relazione, da una parte, ai margini di apprezzamento riconosciuti all’autorità giudiziaria sulle conseguenze delle misure di prevenzione sui mezzi di sostentamento dell’interessato, dall’altra, all’impossibilità per il Prefetto di apprezzare l’incidenza delle misure interdittive sulla situazione patrimoniale del destinatario.
Le misure interdittive antimafia presentano numerosi profili di contatto con le misure di prevenzione personali, con cui condividono la natura cautelare e preventiva. Esse sono finalizzate a garantire un’anticipata difesa della legalità, producendo le medesime conseguenze interdittive, capaci di incidere in profondità sulle attività economiche ed imprenditoriali dei destinatari.
Il giudice rimettente rileva che l’efficacia limitata nel tempo delle misure interdittive (12 mesi) è comunque sufficiente a pregiudicare in modo definitivo un’attività di impresa. Tale pregiudizio non sarebbe escluso dalla possibilità per l’impresa colpita dal provvedimento interdittivo di accedere al controllo giudiziario. L’applicazione di tale istituto è infatti subordinata all’impugnazione dell’informazione ed è eventuale, poiché dipende dalla valutazione dell’autorità giudiziaria, che, comunque, non può eliminare con efficacia retroattiva gli effetti dell’interdittiva.
Sarebbe poi violato l’art. 4 Cost. dato che l’informazione antimafia inibisce sia i rapporti con la pubblica amministrazione sia le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, anche intraprese sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività. In tal modo il diritto al lavoro del soggetto sottoposto a una misura preventiva sarebbe irragionevolmente tutelato meno del diritto al lavoro riconosciuto al soggetto detenuto.
Infine, l’art. 92 cod. antimafia violerebbe l’art. 24 Cost, poiché, pur essendo possibile un contraddittorio con il prefetto, tale interlocuzione è solo eventuale. Il giudice rimettente riconosce che il diritto di difesa è costituzionalmente riconosciuto in seno ai soli procedimenti giurisdizionali, ma le relative garanzie potrebbero estendersi anche parzialmente ai procedimenti amministrativi.
La Consulta rileva, in via preliminare, che il decreto-legge n. 152 del 2021, convertito, con modificazioni, nella legge 29 dicembre 2021, n. 233, ha introdotto una novella dell’art. 92, pur escludendone l’efficacia retroattiva rispetto alle informazioni già adottate. E’ stata prevista la possibilità, per l’impresa sospettata di agevolazione mafiosa solo occasionale, di evitare l’informazione e i suoi effetti interdittivi per continuare ad operare. In particolare, l’impresa può essere sottoposta ad attività amministrativa di controllo, ove si obblighi a intraprendere le misure necessarie per superare gli elementi di “compromissione” riscontrati. In questo modo, le misure di prevenzione adottate in via amministrativa dal prefetto risultano simili a quelle di competenza dell’autorità giudiziaria (art. 34-bis cod. antimafia). Il novellato art. 92, comma 2-bis, cod. antimafia prevede a tal fine un contraddittorio tra prefetto e i futuri destinatari dei una informazione antimafia, cui è riconosciuta la possibilità di presentare osservazioni scritte ed eventualmente di essere ascoltati, salvo il caso in cui ciò possa pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso.
Anche se le descritte novità non sono applicabili al caso in esame, la Consulta rileva che le modifiche introdotte sono finalizzate a soddisfare esigenze di tutela della sicurezza pubblica. Infatti, il presupposto per consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, analogamente a quanto previsto per l’applicazione del controllo giudiziario, è il carattere solo occasionale dell’agevolazione cui sono riconducibili i tentativi di infiltrazione mafiosa, non la condizione di bisogno dell’interessato.
Passando al merito, la Corte precisa che il nucleo delle censure ruota intorno alla violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., mentre i parametri di cui agli artt. 4 e 24 Cost. assumono un ruolo ancillare rispetto alla doglianza principale.
La Corte ritiene che non sia implausibile il confronto tra la differente disciplina dei poteri attribuiti al giudice delle misure di prevenzione e quelli conferiti al prefetto nell’ambito dell’informazione antimafia. Tali istituti presentano diversità, poiché, da una parte, la misura di prevenzione è adottata con provvedimento definitivo di un giudice che, nell’ambito di un giudizio, accerta la pericolosità sociale della persona. Dall’altra, la misura amministrativa, caratterizzata dalla massima anticipazione della soglia di prevenzione, è adottata nei confronti di un’impresa che si sospetta intrattenere rapporti con la criminalità organizzata. Secondo la Consulta, tali elementi di differenziazione non sono però così significativi da richiedere necessariamente un diverso regime giuridico in relazione a un’esigenza di primario rilievo, quale la garanzia di sostentamento del soggetto destinatario delle misure.
Quanto all’informazione antimafia, la giurisprudenza amministrativa e costituzionale escludono la sussistenza di logiche sanzionatorie, trattandosi di provvedimento con natura cautelare e preventiva. La ragione giustificativa dell’informazione antimafia, finalizzata a un’anticipazione della soglia di prevenzione, consiste nel salvaguardare l’ordine pubblico economico, la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Anche le misure di prevenzione personali, pur fondate su elementi tali da far ritenere la sussistenza di pregresse attività criminose, non manifestano carattere sanzionatorio-punitivo, ma preventivo.
Solo nei confronti del soggetto destinatario di una misura di prevenzione, però, gli interessi di rilievo pubblicistico perseguiti possono venire subordinati all’esigenza di non mettere a rischio la possibilità per il soggetto di sostentare sé stesso e la propria famiglia.
La Consulta rileva quindi che proprio nell’ambito di un procedimento finalizzato al rilascio dell’informazione interdittiva – fondato sulla rilevazione di elementi di pericolo non necessariamente già passati al vaglio giurisdizionale, e relativo ad attività economiche operanti spesso in un’area contigua, o addirittura solo potenzialmente contigua, alla criminalità organizzata – il legislatore dovrebbe, a fortiori, consentire la valutazione dell’effetto prodotto dalle interdizioni sul sostentamento dei soggetti interessati.
Ne consegue che l’ordinanza di rimessione individua correttamente l’esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento, il cui rimedio più idoneo, tuttavia, non può essere la pronuncia di accoglimento delineata nell’ordinanza di rimessione. Il giudice a quo chiede infatti che la Corte trasponga, nella disciplina relativa alla informazione interdittiva, la deroga attualmente prevista dall’art. 67, comma 5, cod. antimafia con riferimento alle sole misure di prevenzione personali. L’effetto problematico che ne deriva sarebbe quello di estendere una disciplina derogatoria dal settore delle misure di prevenzione a quello dell’informazione antimafia e di attribuirne l’applicazione a un’autorità diversa, trasferendola dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa.
Inoltre, la Corte rileva che l’informazione antimafia, sebbene comporti accertamenti su persone fisiche, mira a verificare la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa in attività di società o imprese, cui tali soggetti siano collegati. Il caso da cui originano le presenti questioni di legittimità costituzionale concerne un’impresa individuale, ipotesi in cui si riscontra una sostanziale immedesimazione tra imprenditore e impresa. Ne consegue che si può riscontrare un attrito con il principio di uguaglianza in relazione all’impossibilità per il prefetto di valutare l’incidenza degli effetti interdittivi sulle capacità di sostentamento dell’«interessato» e della sua «famiglia».
Tuttavia, la Consulta riconosce che la scelta se riservare, nell’ambito dell’informazione interdittiva, alla sola impresa individuale l’applicabilità della disciplina derogatoria di cui all’art. 67, comma 5, cod. antimafia, oppure, eventualmente, ampliarne i destinatari, coinvolgendo ulteriori soggetti quali società di capitali, rientra nella discrezionalità legislativa. Appartiene anche alla discrezionalità legislativa decidere se prevedere l’istituto del controllo giudiziario o le misure amministrative di prevenzione collaborativa al fine di contemperare l’interesse pubblico alla sicurezza e la generale libertà del mercato con il diritto della persona a veder garantiti i propri mezzi di sostentamento.
Per queste ragioni, le questioni di legittimità costituzionale sono dichiarate inammissibili.
Ciononostante, la Corte ricorda che già la sentenza n. 57 del 2020 conteneva un monito per il legislatore, proprio sulla considerazione secondo cui l’omessa previsione, in capo al prefetto, della possibilità di esercitare, adottando l’informazione interdittiva, i poteri attribuiti al giudice dall’art. 67, comma 5, cod. antimafia si connota per profili di incostituzionalità. Nel caso di futura perdurante inerzia del legislatore, pertanto, la Corte potrà, ove nuovamente investita, provvedere direttamente a rimuovere tali profili problematici.