giovedì, Marzo 28, 2024
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Uso della forza: rivalutazione del ruolo dell’unilateralismo alla luce delle disposizioni del Progetto di Codificazione della Responsabilità degli Stati nel 2001

Da un’analisi della disciplina internazionale in tema di uso della forza, sembra evidente che ad acuire i dubbi e le problematiche che da troppo tempo circondano la materia, abbia contribuito in maniera preponderante il mancato processo evolutivo della Carta delle Nazioni Unite, la quale sembra ormai del tutto avulsa dalla realtà fattuale che contraddistingue l’odierna prassi internazionale.

Infatti, la previsione di un generale divieto all’uso e alla minaccia della forza unilaterale ex art. 2(4), deve essere valutata alla luce della concreta inattuazione delle norme poste alla base del sistema di sicurezza collettivo. In virtù di tale debolezza strutturale, il Consiglio è stato posto sin dal principio nella completa incapacità di operare, con il risultato che le azioni militari che nel corso del tempo si sono comunque rivelate necessarie, sono state poste in essere autonomamente dagli Stati o da Organizzazioni Regionali, facendo dunque assumere all’intervento armato una fisionomia sempre diversa da quella originariamente prevista dalla Carta, e tra l’altro non sempre facilmente conciliabile con la stessa.

La dottrina internazionale più e meno recente infatti, ha dovuto fare i conti sempre più spesso con la necessità di giustificare interventi palesemente unilaterali da parte degli Stati, i quali necessitavano, per riportare il tutto in un alveo di legittimità, di una collocazione all’interno dell’unica eccezione prevista al divieto, ossia l’art. 51, da sempre oggetto di abusi ed interpretazioni estensive.

Proprio muovendo le premesse dalla necessità di individuare una disciplina normativa che, in ossequio al principio di effettività a cui dovrebbe informarsi il diritto internazionale, possa finalmente essere compatibile con le esigenze emergenti dal contemporaneo assetto di relazioni internazionali, sembra opportuno effettuare una riflessione sulle possibili evoluzioni della tradizionale prospettiva che attribuisce all’ONU la gestione esclusiva delle ipotesi di ricorso alla forza armata ai sensi del cap. VII della Carta, nell’ottica di una prospettiva evolutiva tesa a fornire le doverose garanzie di stabilità ed organicità ad una materia che si presenta tra le più rilevanti nell’ambito del diritto internazionale.

Proprio l’esame della prassi contemporanea, infatti, dimostra come l’odierno assetto di relazioni internazionali non sia ancora pronto per poter assorbire la portata di un generale divieto al ricorso all’uso della forza, avendo prodotto una tendenza alla graduale decentralizzazione del sistema facente capo al Consiglio di Sicurezza, il quale, dal canto suo, aveva già provveduto con la dubbia prassi delle autorizzazioni a favorire la progressiva trasposizione delle proprie responsabilità in capo agli Stati intervenienti.

In particolare, la trasformazione fondamentale ha cominciato ad emergere già dagli inizi degli anni settanta, con la formazione della categoria delle norme di diritto internazionale generale produttive di obblighi erga omnes posti direttamente in capo agli Stati nei confronti della Comunità Internazionale unitariamente intesa, e pertanto direttamente esigibili da parte degli Stati stessi, i quali si configurerebbero quindi quali gestori uti universi degli interessi della Comunità medesima. Questa nuova impostazione sembra essere espressione di un radicale mutamento della costituzione materiale dell’ordinamento internazionale, in quanto segnerebbe il passaggio dal diritto internazionale della coesistenza a quello della interdipendenza, realizzando per la prima volta un embrionale progetto di verticalizzazione normativa del potere della Comunità Internazionale. Ma, volendo andare oltre le notevoli implicazioni teoriche che una simile impostazione trascina con sé, anche da un punto di vista più marcatamente pratico, essa assume una rilevanza del tutto centrale, in quanto producendo una sovrapposizione tra gli obblighi potenzialmente derivanti agli Stati dalla loro appartenenza alle Nazioni Unite, con quelli incombenti sui medesimi ai sensi del diritto internazionale generale, permetterebbe di valutare finalmente gli interventi unilaterali degli Stati in una prospettiva che possa prescindere dalla loro compatibilità con la Carta ONU. Un’impostazione simile, tra l’altro, recherebbe il vantaggio di poter addirittura tutelare al meglio la stessa portata della Carta ONU, il cui valore normativo è stato per troppo tempo indebolito dall’indebita riconduzione al suo interno di interventi palesemente unilaterali.

In tale ottica, sembra evidente che le ragioni che hanno portato alla deriva dell’unilateralismo a cui abbiamo assistito dal crollo del blocco socialista, siano riconducibili proprio all’esigenza, da parte degli Stati, di tutelare il complesso assetto di interessi proprio della Comunità Internazionale unitariamente considerata, in assenza di un possibile intervento da parte del Consiglio di Sicurezza.

Il tentativo di inquadrare i vari interventi manifestatisi nella prassi, da ultima la recente azione contro l’ISIS, facendo ricorso alle disposizioni del Progetto di Codificazione della Responsabilità degli Stati del 2001, è espressione della fondamentale esigenza di ricercare un appiglio normativo che permetta di valutare gli interventi in una prospettiva che possa prescindere dalla loro aderenza, tra l’altro solo formale, alla Carta ONU.

Difatti, aldilà delle sue pur rilevanti contraddizioni, il ricorso al Progetto sembra essere la soluzione che maggiormente si adatta al dato emergente dalla prassi, in quanto dimostra come, in realtà, la Comunità Internazionale odierna non abbia alcuna alternativa reale all’unilateralismo per poter reagire alla

commissione di crimini internazionali. In tale ordine di idee, una volta preso atto dell’impossibilità di garantire l’applicazione al generale divieto dell’uso della forza previsto nell’art. 2(4), in assenza di un sistema di sicurezza centralizzato, emerge con evidenza come l’unilateralismo debba assumere necessariamente la configurazione di forza positiva e trainante del diritto internazionale, soprattutto qualora sia mosso dalla volontà di tutelare beni e valori propri della Comunità Internazionale unitariamente considerata.

Tra l’altro, riconoscere finalmente la possibilità che gli Stati possano reagire alla commissione di crimini internazionali, agendo in ottemperanza di obblighi erga omnes posti direttamente in capo agli stessi in virtù di quanto previsto dal diritto internazionale generale, risulterebbe essere anche la soluzione più appropriata per evitare i notevoli rischi di abuso che tale previsione comporterebbe. Se osservati da un giusto angolo di visuale, infatti, risulta evidente che aldilà delle riconduzioni formali all’interno del disposto della Carta, in realtà gli interventi posti in essere dagli Stati sin dal 1990, si configuravano già come del tutto unilaterali, e già come posti in essere in ottemperanza di obblighi erga omnes previsti dal diritto internazionale generale.

Le ricostruzioni effettuate di volta in volta dal Consiglio, infatti, oltre a non convincere da un punto di vista normativo, rimodellando di volta in volta i limiti di istituti fondamentali come la legittima difesa, non facevano altro che svilire la portata della Carta stessa, riconducendo al suo interno interventi che si ponevano evidentemente in contrasto con essa.

Ponendo l’accento sul risultato da perseguire, dunque, il mutamento di prospettiva proposto non farebbe altro che inquadrare il problema in un ambito normativo maggiormente aderente con le caratteristiche degli interventi in atto, evitando di svilire la portata della Carta fondamentale delle Nazioni Unite con indebite interpretazioni della stessa.

Tale cambiamento, inoltre, sarebbe l’espressione di un mutamento soltanto formale, in quanto, per lungo tempo, l’alternativa alla valorizzazione dell’unilateralismo è stata rappresentata da autorizzazioni del Consiglio di Sicurezza ad interventi che si configuravano comunque come del tutto unilaterali.

In definitiva, bisogna sottolineare come una soluzione del genere, lungi dal poter essere considerata come la migliore possibile, sia sostanzialmente ispirata a finalità del tutto pratiche, tese a fornire una ricostruzione della materia che, tentando di andare aldilà di interpretazioni ingegneristiche della Carta, possa fornire un quadro reale delle esigenze ravvisate nella prassi, trovando in un unilateralismo “disciplinato”, il giusto compromesso sul quale adagiare la sintesi delle naturali problematiche emergenti dal passaggio da un diritto internazionale improntato alla tutela essenziale della sovranità degli Stati, ad un diritto internazionale che deve volgere necessariamente i suoi sforzi alla comune salvaguardia di interessi e valori propri della Comunità Internazionale nel suo insieme, che, in quanto tali, necessitano della configurazione di una tutela che non possa prescindere da una dimensione globale della possibilità di reazione, del tutto svincolata, dunque, dalle tradizionali limitazioni proprie della legittima difesa.

Dott. Salvatore Viglione

Nato a napoli nel 1991, vive a Melito di Napoli. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli nel luglio 2016 con tesi in diritto internazionale. Attualmente oltre a frequentare la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, svolge il tirocinio forense presso lo Studio Legale Mancini, specializzato in diritto penale. Ha collaborato con diverse testate editoriali, principalmente con articoli di cronaca locale e politica. Ama il calcio, anche dilettantistico e la scrittura.

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