giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

Uso e abuso della decretazione d’urgenza e l’attuale situazione sanitaria emergenziale

A cura di Federico Muzzati

 

  1. Definizione, funzioni e copertura costituzionale della c.d. decretazione d’urgenza alla luce della l. 400/1988

 

Anzitutto, appare necessario esordire con una chiara, seppur concisa definizione di decreto-legge (termine assai più appropriato di decretazione d’urgenza). Il decreto-legge costituisce un atto con forza di legge che il Governo può ben adottare “in casi straordinari di necessità e urgenza”.

Dopo aver delimitato i confini e i contorni di questa particolarissima, ma fondamentale fonte del diritto, è bene però subito effettuare alcune specificazioni e puntualizzazioni; infatti, è bene sin da subito sottolineare come il decreto entri in vigore subitaneamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, proprio a causa della funzione che assolve (rectius, che dovrebbe assolvere), e cioè quella di far fronte a particolari situazioni emergenziali urgenti ed indifferibili temporalmente, indi per cui prevedere un periodo di vacatio, sarebbe del tutto proditorio e antitetico allo spirito e alla ratio di questo fondamentale atto dotato di forza di legge, come si è testè avuto modo di anticipare poco sopra.

Ed inoltre, un’altra fondamentale caratteristica della decretazione d’urgenza, di non particolare difficile comprensione, è data dal fatto che gli effetti prodotti dalla stessa, siano sì istantanei, ma anche del tutto provvisori, in quanto i decreti-legge perdono efficacia ab initio se il Parlamento non provvede a convertirli in legge entro e non oltre sessanta giorni dalla loro pubblicazione in G.U.

Dopo questo sintetico, ma doveroso inquadramento sistematico iniziale, è fondamentale andare a ricercare in apicibus, le fonti e i riferimenti normativi che prevedono e regolano la decretazione d’urgenza, i suoi presupposti, le sue funzioni, e non da ultimo, l’iter di formazione.

Le disciplina del decreto-legge è contenuta nell’art. 77 della Costituzione, e, come già più volte sopraddetto, nella l. 400/1988, in particolare, nell’art. 15.

 

  1. La necessità quale fonte e la genesi storica del decreto-legge

 

Per cercare di comprendere ancor meglio a quale funzione assolva la decretazione d’urgenza, si parta dal seguente interrogativo: la necessità può costituire una fonte del diritto? [1]

Secondo buona parte della dottrina di ormai due secoli fa, la risposta deve essere assolutamente affermativa; si tratta di una domanda cruciale, in quanto a seconda della risposta, si cela la giustificazione del fatto che, per stati emergenziali ed indifferibili temporalmente, il Governo, senza autorizzazione alcuna delle Camere (delle assemblee legislative) emanasse con decreto, per l’appunto, norme dotate di forza di legge.

Osservando la questione da un altro angolo prospettico, che fare, in caso di eventi “naturali” catastrofici, quali terremoti, epidemie, pandemie et similia? Provvedere immediatamente a fronteggiare l’emergenza con misure teleologicamente ordinate alla risoluzione della stessa, in deroga (seppur temporanea) al riparto di attribuzioni, ovvero rispettare la legalità, e lasciare i soggetti colpiti senza soccorso alcuno durante tutto il tempo richiesto dal normale iter legislativo?

La risposta è presto detta, in quanto in tutti i Paesi costituzionali, in un modo o nell’altro, anche de facto, come accadeva ove non fosse prevista una specifica disposizione costituzionale, la prassi della decretazione d’urgenza s’impose, così come (fortunatamente) s’impose anche la prassi del rientro nella legalità costituzionale, attraverso la presentazione del decreto-legge all’assemblea legislativa deputata, affinché questa la approvasse, andando di fatto a ricucire la “rottura” costituzionale prodottasi.

La prassi della decretazione d’urgenza, divenne frequentissima in Italia sin dal primo dopoguerra, ma fu ab origine considerata come uno strumento, sì indispensabile e necessario, ma al contempo anche illegale; infatti, a testimonianza di ciò, pur essendo chiaro a tutti che i giudici non hanno alcun tipo di sindacato sulla legittimità delle leggi, le corti di livello più elevato, intervennero ripetutamente, sanzionando con la nullità svariati decreti-legge, soprattutto, quando non furono sottoposti tempestivamente alle Camere, per sanare la temporanea illegittimità.

A ciò, e cioè all’assenza di una qualsivoglia disciplina legislativa degli effetti della decretazione d’urgenza, e delle modalità diremmo ora di conversione, si provvide a stretto giro, nel 1926, con la legge n. 100.

Ma è bene sottolineare, per dovere di cronaca, come si trattasse di una regolamentazione assai permissiva e poco pregnante, in quanto sì il decreto doveva essere sottoposto al vaglio parlamentare entro 60 giorni al Parlamento, ma perdeva efficacia ex nunc (veniva quindi abrogato), solo nel caso in cui l’assemblea legislativa si rifiutasse di convertirlo o, in caso di inerzia, addirittura, alla scadenza del termine di due anni dalla sua pubblicazione.

 

  1. Il procedimento, la conversione (e la legge di conversione), la decadenza del decreto non convertito e alcune importanti pronunce dei giudici della Consulta

 

Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e successivamente, pubblicato subitaneamente sulla Gazzetta Ufficiale.

Inoltre, l’art. 15 della già più volte citata l. 400/1988, prescrive che esso venga pubblicato “con la denominazione di “decreto-legge” e con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e urgenza che ne giustificano l’adozione, nonché dall’avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri”.

E di più, il decreto-legge “deve contenere la clausola di presentazione al Parlamento per la conversione in legge”.

Solitamente, è lo stesso decreto-legge, a contenere al suo interno, il momento temporale in cui questo entrerà in vigore, e perciò dispiegherà i suoi effetti: nella prassi, tale momento coincide con il giorno stesso della sua pubblicazione, ovvero il giorno successivo, al massimo. [2]

Il giorno stesso della pubblicazione, il decreto-legge deve essere presentato indefettibilmente alle Camere, “che – come stabilisce l’art. 77.2 Cost. – anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”: ciò è dovuto al semplice fatto, che anche in regime di prorogatio, la conversione della decretazione d’urgenza, rientra a pieno titolo tra i poteri attribuiti alle Camere.

Con la presentazione del decreto-legge, il Governo “chiede” al Parlamento di produrre la c.d. legge di conversione; sotto il punto di vista della tecnica redazionale, il decreto viene sottoposto all’esame del Parlamento come allegato di un disegno di legge, il cui contenuto si risolve in un’unica disposizione: “È convertito in legge il decreto-legge XY, concernente, ecc”.

Così facendo, si avvia su impulso del Governo, un procedimento legislativo, che deve necessariamente concludersi in un termine tassativo e inderogabile, promulgazione compresa, di sessanta giorni.

Il procedimento di conversione presenta, rispetto al procedimento legislativo ordinario, una serie di variazioni, introdotte grazie ai regolamenti parlamentari.

Queste piccole deviazioni rispetto al procedimento legislativo “standard” sono dovute in parte all’esigenza di assicurare tempi certi e brevi per l’approvazione del disegno di legge, e in parte all’esigenza di consentire alle Camere di svolgere un controllo attento sulla sussistenza dei presupposti fondamentali della necessità e della urgenza.

Il potere di adottare decreti-legge può essere esercitato solamente quando ricorrano tre presupposti (fissati in maniera chiara, precisa e circostanziata dall’art. 77.2 Cost.); si tratta di:

  1. “casi straordinari …” legati quindi a circostanze eccezionali e imprevedibili;
  2. “di necessità”, che rende indispensabile produrre immediatamente quegli effetti.
  3. “e urgenza”, che rende indispensabile produrre immediatamente quegli effetti.

Queste sono le tre condizioni poste dalla Costituzione a presidio della legalità, affinché sia possibile derogare alla fondamentale regola della divisione dei poteri, consentendo all’esecutivo, senza alcuna delega preventiva (come invece accade per l’altro atto con forza di legge per antonomasia, il decreto legislativo delegato) di esercitare il potere legislativo, come ben noto tutti detenuto monopolisticamente dal Parlamento.

Ora, però sorge spontaneo un quesito, di non poco conto, ed è il seguente: chi giudica in concreto se sussistono questi presupposti, cristallizzati ex art. 77.2 Cost.? [3]

Astrattamente, tanto il Presidente della Repubblica, quanto la Corte Costituzionale, ex post, potrebbero trovarsi nella condizione ottimale per porre in essere tale delicato controllo; ma lo possono svolgere senza ingerirsi in valutazione di politica del diritto, e quindi di merito, a loro precluse?

La Corte Costituzionale ha risposto affermativamente, argomentando che necessità, urgenza e necessarietà costituiscono “un requisito di validità costituzionale dell’adozione” del decreto-legge, “di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge …, quanto un vizio in procedendo della stessa lege di conversione, avendo quest’ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità, in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione” (sent. 29/1995). [4]

Tale sentenza rappresenta un passo importante sul percorso compiuto dalla Corte per riportare l’uso della decretazione d’urgenza nell’alveo della Costituzione, ed ha avuto un seguito, poco più di un decennio dopo, nella sentenza 171/2007, la quale dichiara per la prima volta, illegittima, la legge di conversione di un decreto-legge emanato in evidente assenza dei requisiti richiesti, e sopra illustrati.

È bene ora passare a valutare cosa accada a un decreto-legge non convertito, in ossequio all’iter che si è poc’anzi delineato e cercato di inquadrare, seppur per sommi capi.

I decreti-legge, se non convertiti in legge (ordinaria) entro sessanta giorni, “perdono efficacia sin dall’inizio (cioè ex tunc)”, e della mancata volontà parlamentare di conversione, ne viene data pronta e tempestiva comunicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il fenomeno di perdita di efficacia della decretazione d’urgenza è chiamato “decadenza” e costituisce un unicum nell’ambito delle fonti del diritto, essendo ben diverso tanto dall’abrogazione, quanto dall’annullamento, in quanto la decadenza porta a travolgere tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge, e probabilmente anche lo stesso giudicato medio tempore formatosi.

Perciò, la situazione che si viene a creare ha del paradossale: quando il decreto entra in vigore, esso, come ben chiaro e noto, è pienamente efficace e deve trovare conseguentemente piena applicazione; ma se decade, tutto ciò che si è posto in essere sulla base di questo, è come se fosse stato compiuto senza una valida base legale, del tutto arbitrariamente, ad libitum.

Infatti, la decadenza elimina in nuce tutti gli effetti della decretazione d’urgenza, che vengono quindi rimossi dal mondo giuridico, dovendosi ripristinare lo status quo ante all’emanazione e al vigore del decreto-legge.

È lapalissiano che la situazione che si viene a creare in seguito al fenomeno della decadenza è soventemente insostenibile: in certi casi non è neppure possibile materialmente ripristinare la situazione precedente, ecco allora, che sovviene in soccorso, come al solito, il dettato costituzionale, e più precisamente l’art. 77, apprestando due strumenti attraverso i quali è possibile trovare una soluzione.

In primis, grazie alla c.d. legge di sanatoria degli effetti del decreto-legge decaduto; si tratta più precisamente, di una legge riservata alle Camere, attraverso cui poter “regolare … i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”. Ovviamente, attraverso questo strumento, è il Parlamento a risolvere il problema creatosi in seguito alla mancata conversione, e perciò al fenomeno della decadenza.

Il secondo e ultimo “strumento” è invece individuabile nel seguente inciso dell’art. 77.2 Cost. “… il Governo adotta, sotto sua responsabilità, provvedimenti provvisori …”.

La responsabilità di cui in epigrafe non è solamente quella politica; si tratta invece di responsabilità lato sensu giuridica, declinata a seconda delle circostanze nei suoi vari tipi: penale, civile e amministrativo-contabile.

 

  1. Un grave problema ormai cronicizzato: l’abuso della decretazione d’urgenza nell’id quod plerumque accidit

 

Il problema nasce dalla scarsa “efficacia” della disciplina costituzionale dei presupposti del decreto-legge; infatti, se la decretazione d’urgenza venisse utilizzata ed emanata soltanto per le situazioni per cui è stata pensata, e cioè per le situazioni di calamità, per quelle necessità straordinarie di fronte alle quali non è possibile provvedere con i tempi del procedimento legislativo, assai poca rilevanza pratica avrebbero i problemi teorici che la precarietà del decreto-legge solleva.

Però, già gli stessi costituenti immaginarono nel loro progetto, poi tramutatosi in realtà, un impiego ben più ampio e in grado di coprire più situazioni e circostanze, del decreto-legge, ammettendo che esso ben potesse essere destinato a produrre effetti giuridici permanenti nel nostro ordinamento.

Presto però, il Governo, ha travisato il significato dei tre requisiti previsti costituzionalmente, attraverso cui si può addivenire alla decretazione di urgenza, iniziando ad abusare in maniera davvero ampia e preponderante, di uno strumento tanto utile e necessario, quanto delicato, che non si dovrebbe in alcun modo prestare a subire un uso del tutto indiscriminato ed indifferenziato.

A riprova di ciò, v’è da sottolineare sin da subito, come con decreto-legge furono varate importanti riforme (ad esempio nel ’94 si abolirono gli esami di riparazione nelle scuole secondarie per il successivo anno scolastico), ma si introdussero anche norme non destinate a trovare pronta ed immediata applicazione, bensì operative soltanto dal momento dell’emanazione dei regolamenti di attuazione; mentre, recentemente, si è anche decretato, che automobili e motocicli circolino con i fari anabbaglianti attivi anche durante il giorno.

Come ben si può capire, si è venuto così facendo ad innescare un inesauribile ed inarrestabile circolo vizioso, ed è il seguente:

  • il decreto-legge, mosso dall’esigenza di anticipare gli effetti del provvedimento senza attendere i tempi del procedimento parlamentare, ha provocato il rafforzamento della sua causa, cioè ha fatto ulteriormente allungare i tempi medi dell’iter Infatti, la legge di conversione, ha la precedenza nell’ordine dei lavori delle Camere, in quanto disegno di legge “raccomandato”, che “salta la fila”. Ciò fa inesorabilmente allungare i tempi del processo legislativo, andando di conseguenza a rendere quasi inevitabile adottare i provvedimenti “urgenti” con decreto-legge e viceversa. Perciò l’aumento della decretazione d’urgenza altro non realizza che far esplodere a dismisura l’uso della stessa.
  • Se il decreto-legge viene utilizzato per assicurare l’immediata entrata in vigore di un qualsivoglia provvedimento legislativo che è di cruciale importanza e interesse per l’esecutivo, non si può di certo pensare che venga meno però il potere del legislatore di discuterlo ed emendarlo. Ma se la decretazione d’urgenza viene adottata per varare complesse discipline, per le quali l’ordinario iter legislativo sarebbe troppo dispersivo, è altamente improbabile che il termine massimo ed imperativo di sessante giorni sia sufficiente all’esame parlamentare.
  • Ancora una volta, l’incremento del ricorso alla decretazione d’urgenza, genera l’incremento della decretazione d’urgenza; più decreti si emanano, più sono i decreti che rischiano di decadere, perché meno tempo ha il Parlamento per discuterli e approvarli; più sono i decreti che decadono, più sono i decreti che devono essere emanati per mantenere gli effetti, e così via, un vero e proprio loop

Purtroppo, né il sistema politico, né le istituzioni parlamentari sono riuscite a bloccare il circolo vizioso e invertirne il corso. Alla fine, però, è salvificamente intervenuta la Corte Costituzionale, con una sentenza assai coraggiosa [5], che ha messo un argine (quasi) definitivo alla prassi della reiterazione.

Giudicata del tutto incompatibile con la disciplina costituzionale della decretazione emergenziale, la prassi della reiterazione è ammissibile sol quando il nuovo decreto “risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto”.

Qualora si dovesse realizzare la mancata conversione del decreto-legge, il Governo non risulta spogliato dal potere di intervenire nella stessa materia con lo strumento della decretazione d’urgenza, ma l’intervento governativo “non potrà porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito (come accade con l’iterazione e con la reiterazione), ma dovrà, in ogni caso, risultare caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti giustificativi nuovi di natura “straordinaria”.

 

  1. L’attuale emergenza sanitaria: il decreto-legge 06/2020 e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020.

 

Per fronteggiare l’attuale situazione sanitaria emergenziale, non solo italiana, ma mondiale, sulla scorta delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), l’esecutivo, ha prontamente emanato un decreto-legge, il numero 06, in data 23 febbraio 2020, intitolato “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”. [6]

Questo, invece, è uno dei tipici casi in cui la decretazione d’urgenza, assolve alla funzione a cui è preposta, e cioè l’apprestare misure temporalmente indifferibili in situazioni emergenziali naturali, quali una pandemia, o altri eventi catastrofici, come inondazioni o terremoti.

Lo scopo precipuo del decreto è quello di cercare, per quanto possibile, di contenere e limitare, il contagio, e l’epidemia che è in atto nel nostro Paese, andando a prevedere per i soggetti che sono stati a contatto con chi poi sia risultato positivo al tampone, la misura preventiva dell’isolamento domiciliare, o c.d. quarantena, per evitare la propagazione incontrollata di questo nuovo virus, il quale sembra essere a tutti gli effetti assai più virulento di tanti altri che si sono susseguiti nel tempo.

Inoltre, vengono stabilite altre importanti e necessarie previsioni, quali: la sospensione dei viaggi di istruzione, dei concorsi pubblici, la chiusura di tutte le attività commerciali che si trovano nella c.d. “zona rossa” dove si è registrato il picco epidemico, ad eccezione di quelle che erogano beni e servizi di prima necessità, così come ovviamente la sospensione delle attività lavorative in presenza (sempre in tali zone), con l’auspicio di utilizzare ed implementare, mai come in questo delicato momento, il lavoro a distanza, o c.d. smart working.

La situazione, però, dal 23 febbraio, ad oggi, è decisamente evoluta rapidamente, e tutto sommato, purtroppo, infaustamente, indi per cui, anche le misure governative, hanno dovuto susseguirsi a stretto giro più volte, per provare di attuare ancor più specificamente, dettagliatamente, e territorialmente, le generali previsioni di gestione e di contenimento dell’attuale epidemia in corso previste dal sopra citato e brevemente esplicato decreto-legge 06/2020.

Con quale strumento si è fatto tutto ciò? Chiaramente, con il dPCM (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri); nell’arco di poco meno di due settimane, si è assistito, all’emanazione, di ben quattro di tali decreti: il primo è datato 25 febbraio, il secondo 1 marzo, il terzo 8 marzo, ed infine, l’ultimo (ma solo ad ora) 9 marzo.

Prima di passare molto brevemente in rassegna le disposizioni e le novità contenute nell’ultimo, e cioè in quello del 9 marzo, appare significativo spendere qualche parola su questo tipo di atto, cercando di capire quale sia la sua vis normativa, e soprattutto, come poterlo inquadrare all’interno delle fonti del diritto (statali).

Il dPCM è, al pari dei decreti ministeriali, un atto amministrativo, che non ha forza di legge (al contrario del decreto-legge e del decreto legislativo delegato), e che al pari degli appena citati decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria, e ha lo scopo di attuare norme giuridiche, ovvero di varare eventualmente dei regolamenti.

Ecco, perciò, come è ben intuibile, il motivo per cui nel caso di specie si è ricorsi a tale tipo di strumento, e cioè, per dare dettagliata, chiara, e specifica attuazione, volta per volta, alle generali norme di contenimento dell’epidemia in corso, previste nel decreto-legge 06/2020, intervenendo per fronteggiare le nuove emergenze, e sfide, che ormai da quasi un mese a questa parte, si stanno susseguendo anche in Italia.

Sull’inquadramento giuridico di tale strumento, sulla sua formazione, e sul suo rapporto con l’atto a cui va dare attuazione (nel caso di specie un decreto-legge) si potrebbero, e si dovrebbero, spendere ben più parole, dato che la questione è assai complessa, e meriterebbe di essere approfondita debitamente, ma non pare questa la sede più opportuna.

Sembra, invece, corretto, allo stato attuale, porre in essere un breve “resoconto” delle ultime novità previste dal dPCM del 9 marzo scorso; anzitutto, atecnicamente parlando, estende la c.d. “zona rossa”, non più solamente a Lombardia, buona parte del Veneto, dell’Emilia-Romagna, a parte di Marche e Piemonte, bensì a tutto l’intero territorio nazionale, il che significa, in parole povere, che la collettività è caldamente esortata a rimanere all’interno del proprio privato domicilio, potendolo abbandonare solo per ragioni impellenti e di primaria necessità.

Inoltre, è chiaro come al fine di far cessare, o quanto meno far diminuire, quanto prima questa seria ed importante epidemia, gli spostamenti da un Comune, da una Provincia, e da una Regione all’altra, non siano assolutamente consentiti (pena la violazione dell’art. 650 c.p., norma penale in bianco a carattere sussidiario), se non per esigenze imperative, quali: motivi di salute, comprovati motivi lavorativi e in casi di necessità (clausola residuale e generale). Nel caso in cui ci si trovi ad integrare una di queste tre situazioni, per essere validamente ammessi alla circolazione, è necessario compilare un’autodichiarazione, che verrà attentamente e scrupolosamente verificata dalle autorità competenti preposte, e cioè generalmente parlando, le forze dell’ordine. Nel caso in cui si contravvenga a tutto ciò, e più in generale alle misure restrittive elencate nel decreto-legge e nell’ultimo dPCM, si incorrerà nell’integrazione della fattispecie contravvenzionale ex art. 650 c.p., oltre che nella violazione dell’art. 452 c.p. Tutto ciò è (ad ora) valido sino al 3 aprile.

Questa è molto in breve la grande “novità” (seppur ampiamente prevedibile) contenuta nell’appena emanato dPCM del 9 marzo.

Chiaramente, dato che la ratio legis, il filo conduttore, che unisce tutti i vari decreti (sia legge che del Presidente del Consiglio dei Ministri) è la riduzione (rectius, quasi l’annullamento) dei contatti sociali (non strettamente necessari), è vietato l’assembramento di più soggetti in spazi ristretti o chiusi, in cui non sia eventualmente possibile rispettare il distanziamento sociale consigliato tra un soggetto e l’altro, pari ad almeno un metro.

Inoltre, vengono sospese (sempre fino al 3 aprile) tutte le manifestazioni sportive professionistiche e non professionistiche in luoghi pubblici o privati, su tutto il territorio nazionale, indi per cui vengono sospese anche tutte le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali, centri culturali, centri sociali, e centri ricreativi.

Sono sospesi i servizi educativi, gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere ludico e culturale, religioso o fieristico (quindi è imposta la chiusura a teatri, cinema, sale giochi, sale di scommesse, bingo et similia), oltre ai musei e agli altri istituti e luoghi della cultura.

Infine, le attività di bar e di ristorazione devono cessare necessariamente allo scoccare delle 18, e riaprire, il giorno seguente non prima delle ore 06 (rectius, 06:01), e i gestori devono necessariamente predisporre le condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale; in caso di inosservanza di tale disposizione, la sanzione è rappresentata dalla sospensione dell’attività. Inoltre  le medie e grandi strutture di vendita (i c.d. centri commerciali) sono necessariamente nelle giornate festive e prefestive , oltre ad essere sospesa l’attività didattica in presenza di ogni genere e grado (sempre fino almeno al 3 aprile), e gli esami di idoneità al conseguimento della licenza di condurre.

Dal tenore delle misure che si è cercato in breve di elencare, senza alcuna pretesa esegetica o di esaustività, si può ben capire la gravità e l’impellenza dell’attuale situazione sanitaria emergenziale che il nostro Paese sta affrontando, e che potrà superare se, e solo se, ogni individuo rispetterà queste poche e semplici disposizioni, facendo la “propria parte”, e dimostrando un adeguato senso civico, e di solidarietà, che mai come ora è necessario per lasciarsi alle spalle quanto sta accadendo il prima possibile, e senza conseguenze (non solo sociali e sanitarie) ancor più gravi di quelle che già si sono verificate. [7]

[1] R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, pagina 381, quindicesima edizione, G. Giappichelli Editore, Torino

[2] R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, pagina 382, ibidem

[3] R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, pagina 384, ibidem

[4] Corte Costituzionale, sentenza n. 29, 27 gennaio 1995, disponibile integralmente qui: http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0029s-95.htm

[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 360, 24 ottobre 1996, disponibile integralmente qui: http://www.giurcost.org/decisioni/1996/0360s-96.html

[6] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 9 marzo 2020, disponibile integralmente qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/09/20A01558/sg

[7] Fonte dell’immagine:https://www.cremaoggi.it/wp-content/uploads/2016/02/corte-costituzionale-evid.jpg

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