Permessi della legge 104 – uso scorretto, problemi e nuove evoluzioni
La legge 104 del 1992 costituisce certamente un prodotto normativo di nota fama in ambito lavoristico, da sempre al centro di polemiche e dibattiti.
Una delle ragioni che accende le diatribe è senz’altro costituito dal fatto che, prevedendo essa quella che apparentemente sembra un’agevolazione per talune categorie di lavoratori, viene spesso utilizzata in modo distorto proprio dai lavoratori che ne beneficiano.
Ricordiamo en passant che la funzione soddisfatta da tale normativa è quella di riconoscere delle agevolazioni ai lavoratori dipendenti, consistenti nell’uso di 3 giorni mensili di permesso retribuiti dal lavoro, al fine di apprestare l’assistenza necessaria al parente bisognoso affetto da handicap.
La legge in parola prevede, comunque, che i permessi possano essere sfruttati in maniera diversa, qui di rimando il link in cui se ne parla. (http://www.iusinitinere.it/legge-104-utilizzo-retribuzione-dei-permessi-7820)
Il problema oggetto di trattazione in questa sede concerne l’utilizzo di tali permessi e, in particolare, la tematica dell’uso scorretto di tali permessi.
Il punto di partenza della questione è costituito dall’articolo 33 della legge 104 che, sino alla modifica intervenuta nel 2010, prevedeva che il permesso veniva attribuito “ai genitori ed ai familiari lavoratori (…) che assistevano con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, anche se non convivente”.
Come anticipato la norma è stata però modificata nel 2010 e, in tale occasione, è stato espunto il riferimento alla continuità ed esclusività dell’assistenza.
Ciò significa che, per quanto chiaramente debba sempre sussistere il nesso tra l’assenza dal posto di lavoro e il fine assistenziale, il lavoratore può soddisfare anche bisogni od esigenze personali nell’arco di tempo attribuito con il permesso.
E’ chiaro che il legislatore del 2010 è intervenuto con l’intento di riconoscere un limitato lasso di tempo al lavoratore che dedica il suo tempo e le sue energie all’assistenza del parente invalido, durante il quale questi possa soddisfare le proprie esigenze personali, sociali e di riposo.
Purtroppo, la conseguenza di una tale modifica è stata anche quella di offrire uno spiraglio per tutti quelli che di tale legge intendono farne un uso distorto che va a proprio esclusivo vantaggio.
E’ il caso, piuttosto diffuso da quanto emerge dalla casistica giurisprudenziale, di chi sfrutta i permessi lavoro piuttosto per concedersi una breve vacanza.
Sono questi i comportamenti che favoriscono il sorgere di polemiche attinenti a tale legge, ma è anche certo che l’abuso del diritto attribuito con i permessi è punito sia sotto il profilo disciplinare che penale.
La Cassazione si è di recente espressa relativamente al caso di una lavoratrice che aveva sfruttato i 3 giorni di permessi attribuiti per recarsi all’estero con la famiglia.
La pronuncia di legittimità della Corte è di fondamentale importanza in materia, in quanto ha fornito un necessario chiarimento circa l’interpretazione della normativa, specie alla luca della modifica del 2010.
In tale occasione i giudici della Suprema Corte hanno specificato che i 3 giorni di permessi che la legge 104 prevede soddisfano una duplice finalità.
In primis sicuramente quella di tutela ed assistenza del parente affetto da handicap, di modo da assicurare a questi ultimi una cura maggiore e continuativa, oltre quella già apprestata quotidianamente.
Ma, in secondo luogo, gli Ermellini specificano che i giorni permesso vengono concessi anche per permettere al lavoratore, che si dedica totalmente all’assistenza del disabile, di potersi ritagliare uno spazio di tempo necessario al soddisfacimento di quelle che sono le proprie esigenze, le quali vanno parimenti tutelate.
L’agevolazione infatti, secondo il dictum della Corte, consiste nell’attribuire un maggior spazio di tempo al lavoratore anche per permettergli di compiere tutte quelle attività che, nei giorni lavorativi a tempo pieno, non potrebbero essere eseguite.
In conclusione la Corte sancisce che risponde di truffa il lavoratore che chiede ed ottiene il permesso, ma lo sfrutta per il soddisfacimento esclusivamente di fini personali, prescindendo totalmente dallo scopo assistenziale per cui quei giorni di permesso sono stati pensati e riconosciuti.
Fonti:
- Legge n° 104/1992 – “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
- Cassazione, seconda sez. penale, sent. n. 54712 del 23/12/2016.
Nata a Napoli, il 26/07/1991.
Nel marzo del 2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’ Università Federico II di Napoli.
Ha intrapreso il percorso di preparazione al concorso in magistratura, frequentando un corso di formazione privato presso un magistrato. Inoltre, sta perfezionando la formazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali di Napoli ed è praticante avvocato.