Verso un trattato internazionale su imprese e diritti umani
di Maria Russo, socio ELSA Roma
Le imprese multinazionali sono, sulla base della definizione fornita dalle Nazioni Unite, delle “imprese che possiedono o controllano mezzi di produzione o servizi fuori dal Paese dove sono stabilite”.[1] Ossia, si tratta di quelle società che svolgono attività sul territorio di Stati diversi. La difficoltà principale che si riscontra in tema di società multinazionali è che, mentre esse godono di una chiara unitarietà a livello economico-aziendale, il diritto privato interno non riconosce ad esse una personalità giuridica unitaria. In termini giuridici, infatti, le imprese multinazionali sono identificate come “un gruppo di società, di diversa nazionalità, legate da rapporti di proprietà azionaria o da altre forme di controllo, che consentono la tipica unitarietà di gestione del complesso della società ad opera di quella che esercita il controllo (c.d. società madre)”.[2] Tale pluralità di soggetti giuridici che compongono le imprese multinazionali determina un grave ostacolo per una regolamentazione efficace ed unitaria.[3] In particolare, uno studio del 2014 di Amnesty International ha dimostrato l’enorme impatto negativo che le imprese multinazionali hanno sulla protezione dei diritti umani, a causa della distinta personalità giuridica di cui godono le singole società facenti parte del gruppo di imprese: ogni impresa ha una distinta personalità giuridica, cosicché la responsabilità di ogni impresa è separata e non si estende alle altre imprese appartenenti al gruppo.
Spesso le imprese multinazionali, con l’intento di massimizzare i profitti, si sono rese responsabili della commissione di violazione dei diritti fondamentali dell’uomo –in particolare dei diritti dei lavoratori – e dei principi internazionali in materia di protezione e salvaguardia dell’ambiente. L’attività svolta dalle imprese multinazionali ha avuto, infatti, un impatto negativo in diversi ambiti, ed esse sono ritenute colpevoli di trarre vantaggio dai deboli apparati giuridici presenti nei Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da una forte corruzione e la presenza di regolamenti che proteggono gli interessi societari più degli interessi della società civile.
In particolare, le imprese multinazionali hanno fatto uso di manodopera infantile, hanno contravvenuto ai diritti dei lavoratori (incluso il diritto alla libertà di associazione), sono ricorse a condizioni igieniche e di sicurezza inappropriate sul luogo di lavoro, hanno usurpato parti di territorio alle popolazioni indigene, hanno perpetrato atti di illegittima violenza tramite l’utilizzo di agenti di sicurezza privata, hanno contribuito all’inquinamento e alla distruzione dell’ambiente.
Per arginare questo fenomeno, a partire dagli anni ’70, sono stati elaborati dei Codici di condotta e delle Guidelines che contengono principi e regole adottati da Stati, organizzazioni internazionali o privati in relazione alle attività delle imprese multinazionali. Però tali linee-guida, rientrando nella categoria di “soft-law”, non hanno carattere vincolante. Inoltre, il crescente interesse dell’opinione pubblica per la tematica in esame ha spinto le stesse imprese multinazionali ad approvare autonomi codici di condotta per tutelare la propria immagine sul mercato.
Il primo tentativo di codificare standards di condotta per le imprese multinazionali risale al 1972, quando il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), su richiesta del Segretario Generale, istituì una Commissione sulle società transnazionali ed un apposito Centro di ricerca con l’obiettivo di studiare l’impatto dell’attività delle società transnazionali sull’economia globale. La Commissione ha elaborato una serie di Progetti di Codice di condotta delle società transnazionali, la cui ultima versione, datata 1990, non è mai stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Inoltre, nel 2003, la United Nations Sub-Commission on the promotion and protection of human rights ha adottato le “Norms on the responsibilities of trasnational corporations and other business enterprises” con l’obiettivo di redigere norme concernenti la responsabilità delle imprese multinazionali riguardo la promozione e il rispetto dei diritti umani. Ma, anche in questo caso, la Commissione (oggi Consiglio) dei diritti umani, composta da rappresentanti degli Stati, ha ribadito, tramite una raccomandazione approvata per consensus, il carattere non vincolante delle Norms ed ha precisato di non considerarsi obbligata a monitorare il loro rispetto.[4]
Successivamente, nel 2011, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato dei Principi guida su Imprese e Diritti Umani, che si fondano su tre pilastri: l’obbligo dello Stato di proteggere gli individui dalle violazioni dei diritti umani compiute dalle imprese; la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani; e la responsabilità degli Stati e delle stesse imprese di prevedere dei rimedi effettivi. Oggi questi principi-guida costituiscono lo standard di riferimento globale in relazione al tema imprese e diritti umani. In tale contesto, l’Unione Europea si è mostrata in prima fila per l’attuazione dei principi, soprattutto con riguardo alla creazione di Piani di Azione Nazionale: la Commissione Europea ha invitato tutti gli Stati Membri a predisporre un Piano d’Azione Nazionale per dare attuazione ai Principi Guida dell’ONU, basato sui già menzionati requisiti della tutela da parte dello Stato contro gli abusi, della responsabilità delle imprese nel rispettare i diritti umani, e di una maggiore accessibilità a rimedi efficaci per le vittime degli abusi.[5] D’altro canto, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite volti all’elaborazione di Principi Guida in materia di imprese e diritti umani, uno studio effettuato dal Parlamento Europeo nel 2017 ha dimostrato che persistono, senza diminuire, gravi violazioni dei diritti umani da parte delle imprese multinazionali.
L’approccio utilizzato per contrastare le violazioni di diritti umani da parte delle imprese multinazionali è sempre stato il ricorso alla soft-law, avente natura non vincolante, consistendo nell’adozione da parte delle multinazionali di codici di condotta su base volontaria. L’impegno su base volontaria, però, non ha fermato le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle imprese multinazionali, cosicché, per porre rimedio alle deficienze del sistema di soft-law, a Giugno 2014 è stato istituito nell’ambito delle Nazioni Unite un gruppo di lavoro intergovernativo con lo scopo di elaborare un trattato internazionale che vincoli le imprese al rispetto dei diritti umani.
A Settembre 2013, l’Ecuador aveva proposto la creazione di un gruppo di lavoro intergovernativo per negoziare un trattato internazionale, sviluppato nell’ambito delle Nazioni Unite, che vincolasse le imprese multinazionali al rispetto dei diritti umani. La relativa Risoluzione A/HRC/26/L22, proposta dall’Ecuador e co-supportata da Bolivia, Cuba, Sud Africa e Venezuela, è stata adottata con 20 voti a favore, 14 voti contrari (dei Paesi industrializzati) e 13 astenuti (in particolare, si tratta dei Paesi Latino-Americani). Il mandato scaturito dalla Risoluzione è quello di elaborare uno “strumento legalmente vincolante a livello internazionale per regolare, nell’ambito della protezione internazionale dei diritti umani, l’attività delle imprese transnazionali e delle altre imprese economiche dotate di carattere transnazionale nello svolgimento delle loro attività”. Da quel momento, diversi rounds di negoziati si sono susseguiti, fino a Giugno del 2018 quando è stata pubblicato il “Zero Draft legally binding instrument”.
Questa prima bozza si focalizza su due elementi in particlare: l’accesso alla giustizia e i rimedi per le vittime delle violazioni di diritti umani; e la responsabilità delle imprese per le violazioni nelle attività a carattere transnazionale.
Nonostante i lavori per la creazione di un trattato internazionale non siano ancora terminati, dalla “Zero Draft legally binding instrument” si evince che i temi più importanti a cui si sta dando rilievo sono: l’obbligo per le imprese di dimostrare due diligence (diligenza); il rafforzamento della corporate liability (la responsabilità delle imprese); la previsione di rimedi efficaci contro le violazioni e un’efficace accesso alla giustizia; l’obbligo in capo agli Stati di prevedere assistenza legale reciproca; lo sviluppo della cooperazione internazionale; la creazione di meccanismi di monitoraggio ed esecuzione sia a livello nazionale che internazionale.
Ciò dimostra gli sforzi della comunità internazionale
volti all’adozione di un trattato internazionale che vincoli le imprese
multinazionali al rispetto dei diritti umani, e che preveda una responsabilità
unitaria dell’impresa multinazionale, nonostante la distinta personalità
giuridica delle diverse imprese che fanno capo alla società madre.
[1] U.N., “The impact of Multinational Corporations on Development and on International Relations”, New York, 1974.
[2] Picone-Sacerdoti, “Diritto internazionale dell’economia”, Milano, 1982, p.699 ss.
[3] Sciso, “Appunti di diritto internazionale dell’economia”, seconda edizione, Giappichelli Editore, Torino.
[4] U.N. doc. E/CN.4/DEC/2004/116, OFFICE OF THE HIGH COMMISSIONER FOR HUMAN RIGHTS, “Responsibilities of transnational corporations and related business enterprises with regard to human rights”, 60th session, 56th meeting.
[5] “Le fondamenta del piano di azione italiano sui Principi guida delle Nazioni Unite sulle imprese e i diritti umani”, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, aggiornato al 27/03/2014