giovedì, Aprile 18, 2024
Uncategorized

Videosorveglianza in condominio e implicazioni sulla privacy

Il presente contributo si propone di indagare le implicazioni che l’installazione di sistemi di videosorveglianza all’interno di un condominio possono comportare sulla privacy, non solo degli inquilini ma anche di tutti quei soggetti che a vario titolo si trovano a transitare nei paraggi. Innanzitutto, si parta col dire che, da un punto di vista prettamente civilistico, l’installazione di un sistema di videosorveglianza condominiale è, in linea di massima, consentita sia nelle aree comuni che in quelle adiacenti alle private abitazioni di ogni singolo condomino. È importante tenere a mente queste due alternative giacché, a seconda dei casi, diversa sarà la normativa applicabile in materia di privacy. 

Per quanto riguarda le telecamere nelle aree comuni, le relative installazioni rientrano senza dubbio nel novero delle innovazioni di cui agli articoli 1120 ss. del Codice. E infatti, l’articolo 1122-ter, rubricato Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni, dispone espressamente che le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136. 

Per quanto riguarda, invece, l’altro caso, un’interpretazione sistematica del Codice civile suggerisce che ad ogni singolo condomino è attribuita la possibilità di apportare autonomamente, e dunque senza consenso alcuno, innovazioni a determinate parti comuni[1], purché funzionali ad un miglior godimento della propria unità abitativa (l’installazione delle videocamere con finalità di sorveglianza sicuramente assolve a questo compito) e purché non dannose o pregiudizievoli per le parti comuni stesse[2]

Appurata dunque l’astratta liceità delle installazioni non resta che capire come la normativa sulla privacy possa influire sulla questione. È innegabile, infatti, come le telecamere siano idonee a catturare, e quindi a trattare ai sensi dell’articolo 4 GDPR, l’effige delle persone, la quale è oramai universalmente qualificata come dato personale, forse uno dei più importanti e delicati, proprio in relazione al suo oggetto[3].

La normativa europea, in particolare l’articolo 6 del citato Regolamento, prevede in maniera espressa che il trattamento dei dati personali deve essere generalmente subordinato al consenso della persona interessata. Sempre lo stesso articolo prevede tuttavia delle rilevanti eccezioni, le quali escludono l’applicazione del principio del consenso in favore di altri, ritenuti preminenti in determinate circostanze. Tra queste eccezioni, per ciò che in questa sede importa, spiccano la salvaguardia degli interessi vitali e il perseguimento di legittimi interessi dell’interessato-condomino o di altre persone fisiche[4]. È evidente, dunque, come l’installazione delle videocamere con finalità di protezione dei beni della vita e dell’integrità fisica, così come, in subordine, di beni aventi una natura patrimoniale, sia pienamente giustificata, pur in assenza del consenso degli interessati[5].

L’installazione, tuttavia, per essere conforme, deve rispettare regole ulteriori, appositamente individuate dal Garante[6], che, come già accennato in precedenza, cambiano a seconda dei luoghi oggetto delle riprese. 

In relazione alle aree comuni, è richiesto, innanzitutto, che i dati raccolti siano protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l’accesso alle sole persone autorizzate, vale a dire il titolare e il responsabile del trattamento[7]. Una regola altrettanto importante è quella che impone la previsione di un’informativa privacy, la quale può consistere anche in un semplice cartello segnaletico della presenza delle videocamere. Per quanto riguarda poi il tempo di conservazione dei dati raccolti, il vademecum approntato dall’Authority prescrive un tempo non superiore alle 24/48 ore, specificando espressamente che, in ogni caso, i dati non possono essere conservati per più di 7 giorni, e che se diventa necessario un tempo superiore, esso può essere concesso solo previa richiesta motivata e conseguente autorizzazione. Infine, la regola forse più importante prescrive che l’oggetto delle riprese deve coincidere esclusivamente con le aree comuni che richiedono di essere sorvegliate in relazione alle finalità perseguite. In altri termini, quello che deve essere osservato è il cosiddetto principio di minimizzazione, secondo il quale i dati personali raccolti devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati[8].

In riferimento alla sorveglianza delle pertinenze dei singoli condomini le regole da rispettare sono, invece, decisamente meno rigide, non trovando infatti applicazione il Codice della privacy e, per estensione, l’intera normativa[9]. Il tutto però a condizione che l’installazione venga effettuata da persone fisiche e per finalità esclusivamente personali, quale appunto è la tutela della propria vita e integrità fisica ovvero dell’abitazione e in generale degli altri beni di natura patrimoniale. Seguendo sempre la logica del principio di minimizzazione appena analizzato, è richiesto poi che le telecamere siano poste in modo tale da riprendere esclusivamente lo spazio privato che si intende proteggere, e non anche altri spazi vicini come per esempio il pianerottolo del condominio. 

Da quanto appena detto emerge insomma la necessità, per il legislatore interno e per quello sovranazionale, di attuare un vero e proprio bilanciamento tra due principi costituzionalmente rilevanti, che, in casi circostanziati, vede soccombere l’uno in favore dell’altro. Ciò non significa, tuttavia, che il principio soccombente perde di rilevanza. Tutt’altro, diviene oggetto di regole ancor più rigide idonee in qualche modo a conservarne, nei limiti di quanto necessario al soddisfacimento del principio vittorioso, adeguata protezione e garanzie. 

[1] Il riferimento non è ovviamente ad una qualunque parte comune, ma soltanto a quella, o a quelle, di pertinenza dell’interessato, si pensi al pianerottolo ovvero allo spazio antistante l’abitazione. Ma si pensi, altresì, ai muri interni dell’edificio, sui quali andrebbe poi materialmente fatta l’installazione.

[2] Torrente A., Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2019, pagg. 332 ss.

[3] Per approfondire si veda Street photography e tutela del diritto all’immaginehttps://www.iusinitinere.it/street-photography-e-tutela-del-diritto-allimmagine-30337, in www.iusinitinere.it, 16/12/2021.

[4] Ovviamente nulla esclude che la base giuridica del trattamento possa consistere nel consenso stesso delle persone interessate. Per approfondire si vedano le linee guida dell’Edpb in materia di videosorveglianza, disponibili a questo indirizzo: https://edpb.europa.eu/sites/default/files/files/file1/edpb_guidelines_201903_video_devices_it.pdf.

[5] E in questa direzione vanno proprio le linee guida pubblicate nel 2020 dal Comitato europeo per la protezione dei dati, che comunque prevedono limiti specifici, posti ovviamente a tutela dei dati personali. Si pensi, per esempio, al fatto che le installazioni possono ritenersi giustificate solo nella misura in cui sono idonee a fronteggiare un pericolo concreto, Ivi, pagg. 10 ss.

[6] Le regole individuate dal Garante sono disponibili a questo indirizzo: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/2680240.

[7] Quale titolare del trattamento va intesa la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che determina le finalità e i mezzi del trattamento (nel caso di specie il soggetto in questione coincide senza dubbio con il condominio). Il responsabile del trattamento è invece definito come la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento (nel caso di specie coincide di norma con l’amministratore del condominio)articolo 4 GDPR. 

[8] Articolo 5, comma 1, lettera c) GDPR.

[9] A titolo esemplificativo, si pensi al fatto che non è necessario approntare alcuna informativa sulla privacy.

Gennaro Calimà

Nato a Castrovillari, in provincia di Cosenza, il 9 giugno 1994. Dopo aver conseguito la maturità scientifica si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza dell'Università della Calabria presso la quale consegue nel 2020 il titolo di dottore magistrale discutendo una tesi in Diritto processuale penale dal titolo "Le nuove frontiere delle neuroscienze nel processo penale". Dallo stesso anno, oltre ad aver intrapreso la pratica legale, ha iniziato a collaborare con Ius in itinere per l'area "IP & IT".

Lascia un commento