giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & ComplianceLabourdì

Violazione delle misure di sicurezza dal parte del lavoratore e ripartizione delle responsabilità penali

L’articolo 2087 del codice civile, rubricato “Tutela delle condizioni di lavoro”, recita: L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Sebbene sia collocato nel testo fondamentale disciplinante la responsabilità civile, il disposto integra un principio di carattere generale: esso è stato posto dalla giurisprudenza di legittimità in correlazione all’articolo 40, 2° comma, del codice penale relativo all’efficienza causale delle condotte commissive mediante omissione(“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”)[1], precisando che il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità psicofisica del lavoratore ed è gravato dell’obbligo di assicurare il rispetto dei presidi antinfortunistici e di vigilare sull’efficacia delle condizioni di sicurezza per tutto il periodo in cui il lavoratore subordinato presta la sua opera[2]; l’inottemperanza agli obblighi connessi alla posizione di garanzia del datore di lavoro comporta l’insorgenza della responsabilità penale ex articolo 40, 2° comma[3].

La Suprema Corte ha inoltre specificato che, tra le attività positive che il datore di lavoro deve porre in essere per la predisposizione di un ambiente di lavoro sicuro e salubre, assumono fondamentale rilievo gli strumenti volti ad assicurare l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative allo scopo di ridurre i rischi connessi all’espletamento delle mansioni[4]: in quali termini, allora, si delinea la responsabilità penale del datore di lavoro nelle ipotesi di violazione o negligente osservanza delle norme di sicurezza da parte del lavoratore?

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sul punto, relativamente ad una vicenda in cui il mancato rispetto dei presidi di sicurezza aveva condotto alla morte del prestatore di lavoro, fornendo importanti chiarimenti anche sulla posizione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione(RSPP).

Il fatto ed il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione

Il 6 settembre 2006 a Roma, un operaio intento a depositare materiale inerte con un autocarro presso l’area di stoccaggio secondaria di una cava, avvicinandosi eccessivamente al ciglio dell’area di stoccaggio, faceva franare sotto il peso del veicolo la parte di ciglio interessata(a causa della forte inclinazione della scarpata e della tendenza dell’area ad aggrottamenti e dissesti gravitativi), trovando la morte per effetto della precipitazione e del ribaltamento dell’autocarro all’interno del quale stava lavorando.

Il Tribunale di Roma, in data 1° febbraio 2011, aveva assolto per insussistenza del fatto il datore di lavoro dall’imputazione del reato di omessa predisposizione di un Documento di Sicurezza e Salute(DSS)coordinato, come previsto e punito dagli articoli 9, 2° comma, lettera b) e 104, 2° comma, lettera a) del d.lgs. n.624 del 1996[5]; servendosi della stessa formula aveva assolto il medesimo datore di lavoro ed il direttore dei lavori quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione dall’imputazione del reato di omicidio colposo(perpetrato con autonomi contributi causali)ex articolo 589 del codice penale[6].

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 16/03/2016, aveva riformato la decisione di primo grado dichiarando estinto per prescrizione il reato di cui al d.lgs. n.624 del 1996 e condannando gli imputati, per effetto della concessione delle attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata[7]della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, alla pena di 8 mesi di reclusione per omicidio colposo.

Gli imputati avevano allora proposto ricorso per cassazione ex articolo 606, 1° comma, lettere b) ed e), del codice di procedura penale[8], deducendo l’abnormità del comportamento della vittima, che in modo assolutamente ingiustificato avrebbe disatteso l’ordine di servizio di mantenersi ad una distanza di sicurezza di almeno 8 metri dal ciglio della scarpata durante le operazioni di scarico, avrebbe proceduto a velocità elevata e non si sarebbe avvalsa degli specchietti retrovisori, i quali costituirebbero dei dispositivi di sicurezza integrati efficaci e renderebbero superfluo l’impiego di ulteriori presidi fissi o mobili(peraltro inesigibili in quanto incompatibili con l’attività produttiva svolta); pertanto avevano concluso ritenendo la condotta posta in essere dall’autotrasportatore “esorbitante”, cioè incoerente ed imprevedibile rispetto alle mansioni assegnate, ed idonea ad escludere la responsabilità del datore di lavoro e del responsabile per la sicurezza.

Il Giudice di legittimità[9]ha affermato la responsabilità del datore di lavoro e del RSPP in senso dirimente.

La Corte ha richiamato il suo costante dictum, alla cui stregua il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità quando l’evento di danno, seppur cagionato dal comportamento negligente del prestatore di lavoro subordinato, sia comunque causalmente riconducibile all’insufficienza delle cautele adottabili per neutralizzare il rischio derivante da un’azione imprudente: il datore di lavoro infatti, quale garante dell’incolumità fisica dei lavoratori come esplicitato dalla regola generale contenuta nell’articolo 2087 del codice civile, ha il precipuo dovere di accertarsi della persistenza delle condizioni di sicurezza e di esigere con ogni mezzo il rispetto delle stesse da parte dei dipendenti, potendo escludere la sua responsabilità, quale causa sopravvenuta, unicamente la sussistenza di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’esorbitanza e dell’imprevedibilità.

Per aversi comportamento abnorme occorre che la condotta anomala posta in essere del prestatore di lavoro risulti assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, e si risolva in azioni avulse da ogni ipotizzabile intervento e idonee ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, interrompendo il nesso di causalità tra la violazione della normativa antinfortunistica e l’evento di morte o lesioni: nel caso concreto, non può ritenersi che l’abnormità del comportamento del lavoratore deceduto abbia dato causa all’evento, in quanto l’errore in cui costui è incorso appare coerente con le mansioni conferite e certamente non imprevedibile, essendo stata compiuta la manovra pericolosa in un momento della giornata nel quale i raggi rasenti del Sole offuscavano la vista ed in un luogo privo di segnalazioni visibili e di persone che assistessero il guidatore durante l’operazione di retromarcia.

La Cassazione trae dalla legislazione in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro una precisa regola di condotta: il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, è gravato degli obblighi di predisporre adeguate misure di sicurezza e di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori; qualora sia possibile ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, egli è tenuto ad adottare il sistema di cautele sul quale incida meno la discrezionalità del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile.

Il sindacato di legittimità si è soffermato anche sulla distribuzione delle responsabilità tra datore di lavoro e responsabile per la sicurezza di parte datoriale: in primo luogo, la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce delega di funzioni e non è pertanto sufficiente ad esimere il datore di lavoro dai suoi specifici obblighi di garanzia.

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dal canto suo, pur svolgendo all’interno dell’organizzazione aziendale un ruolo di mera consulenza in materia antinfortunistica, non connotato da autonomia decisionale, ha l’obbligo specifico d’individuare i rischi connessi all’attività lavorativa e di collaborare col datore di lavoro per la loro eliminazione o attenuazione, all’occorrenza disincentivando l’impiego di misure tecniche economicamente più convenienti ma meno efficaci in ordine alla prevenzione degli infortuni: egli può dunque essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in dipendenza del proprio negligente adempimento, a nulla rilevando l’evenienza, ricorrente nel caso in esame, che per le funzioni esercitate(di direttore dei lavori)nell’ambito del sito produttivo non sussista a suo carico l’obbligo giuridico di presiedere alle singole operazioni.

Costituisce infatti ius receptum della Suprema Corte[10]il principio per cui il RSPP sia responsabile a titolo di colpa professionale degli eventi dannosi occorsi per effetto di suggerimenti sbagliati o dell’omessa segnalazione di fattori di rischio, provocati da negligenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti o discipline: sebbene non sussistano sanzioni penali a specifico carico del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella legislazione di settore, costui è chiamato a rispondere, in concorso col datore di lavoro, degli episodi di infortunio oggettivamente ricollegabili ad una situazione pericolosa che egli, nella sua qualità, avrebbe dovuto conoscere ed opportunamente segnalare, al fine di consentire al datore di lavoro – garante generale della sicurezza dei lavoratori – di adottare le iniziative idonee a neutralizzare le condizioni di rischio.

In conclusione, qualora vi sia una pluralità di titolari della posizione di garanzia, ciascuno è destinatario per intero dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fino all’esaurimento del rapporto che ha dato origine alla singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una misura di sicurezza è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione.

Per il testo della sentenza, qui.

[1]La disposizione contiene una clausola normativa generale e sussidiaria circa la rilevanza causale dei cd. reati omissivi impropri: in tali ipotesi l’autore non impedisce il verificarsi di un evento, concretante una fattispecie tipica, che ha l’obbligo giuridico di impedire quale garante di un determinato bene giuridico. In dottrina, FIORE C., FIORE S., Diritto penale. Parte generale, UTET Giuridica, Torino, 2013, pp.254 ss.

[2]Ex multis, Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n.19524 del 15 maggio 2008; Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n.42309 del 18 settembre 2014.

[3]Sentenza Pedone ed altri.

[4]V. nt. 3.

[5]Il d.lgs. n.624 del 1996, recante norme di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori impiegati in industrie estrattive per trivellazione, a cielo aperto e sotterranee ed ora integrato dal d.lgs. n.81 del 2008(cosiddetto Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro)punisce in forma contravvenzionale l’omessa redazione del DSS coordinato, necessario nell’ipotesi di coesistenza di lavoratori dipendenti da imprese differenti nel medesimo sito produttivo, da parte dell’esercente l’attività estrattiva.

[6]Articolo 589 vigente al momento della commissione del fatto: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a cinque anni”.

[7]Articolo 69, 3° comma, del codice penale: “Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze”

[8]Rispettivamente, per violazione di legge e vizio di motivazione.

[9]Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n.51321 del 12 novembre 2018.

[10]Ex multis, Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n.2184 del 27 gennaio 2011.

Rossella Giuliano

Rossella Giuliano nasce a Napoli nel 1994. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 2012, inaspettatamente, interessata alle implicazioni giuridiche della criminologia, decide d'iscriversi al corso di laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Ateneo Federico II: durante il percorso accademico, si appassiona a tutto ciò che gravita attorno all'universo giuridico; volendo coniugare la sua passione per la cultura tedesca con la propensione per la tutela dei soggetti svantaggiati, sta attualmente redigendo una tesi sulle influenze del regime dell'orario di lavoro sulle politiche di tutela dell'occupazione nel diritto italiano e tedesco. Suoi ambiti d'interesse sono le lingue, letterature e culture straniere, i cani, la musica, la cinematografia.

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