venerdì, Marzo 29, 2024
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Whatever it takes. Storia delle recenti decisioni di politica monetaria della Banca Centrale Europea

No, se state cercando un commento sulla celebre hit degli Imagine Dragons, questo non è l’articolo giusto.

Era il 26 luglio del 2012 quando il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, pronunciò queste parole destinate a passare alla storia “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough[1].

Erano giorni molto particolari, inaspriti dalla crisi del debito dei Paesi mediterranei, su tutti Spagna e Italia, che stava spingendo l’unione monetaria sull’orlo del collasso. Too big to fail, ma al tempo stesso too big to bail (out).

Fu con questo discorso, pronunciato alla Global Investment Conference di Londra[2] che Draghi riuscì a convincere gli investitori circa la tenuta dell’Euro, fermando la fortissima ondata speculativa che in quei tempi stava colpendo la moneta unica. Difatti, si osservò sin da subito un ritorno, seppur inizialmente timido, agli acquisiti di titoli di debito dei Paesi dell’Eurozona, seguito da una forte discesa dello spread[3].

A quei tempi, le obbligazioni decennali italiane avevano raggiunto i 540 bps in più rispetto alle analoghe obbligazioni tedesche, oltre 600 bps in Spagna, quasi 1000 in Portogallo bps e circa 3000 bps in Grecia.

Dall’annuncio del whatever it takes seguirono poi una serie di azioni concrete.

 Il 6 settembre del 2012, il Consiglio Direttivo della BCE diede il via al c.d. Outright Monetary Transactions (OMT), ossia al piano di acquisto diretto da parte della stessa BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi  che versavano in uno stato di grave e conclamata difficoltà macroeconomica[4]. Anche in questo caso, l’intento della BCE era quello di salvaguardare un’adeguata trasmissione della politica monetaria, rafforzando l’unicità della stessa nel contesto dell’area euro nel pieno rispetto dei trattati.

Gli effetti furono sin da subito tangibili e impedirono di fatto che le tensioni sui mercati obbligazionari sovrani sfociassero in innalzamenti eccessivi dei relativi tassi di interesse tali da rendere eccessivamente oneroso per banche e imprese l’accesso al finanziamento.

Successivamente, il 22 gennaio 2015, il Consiglio Direttivo della BCE annunciò l’adozione di un Asset Purchase Programme (Programma ampliato di acquisto di attività) implementando così il Quantitative Easing[5] (o alleggerimento quantitativo) come già fatto in precedenza da altre importanti banche centrali[6]. Di cosa si tratta nello specifico? Con il termine Quantitative Easing (di seguito QE) si fa riferimento ad un intervento non convenzionale di politica monetaria posto in essere dalle banche centrali al fine di stimolare la crescita economica di un paese manovrando i tassi di interesse.

Con questa operazione la Banca Centrale Europea iniziò ad acquistare titoli sovrani o altre attività finanziarie per un ammontare iniziale di 60 miliardi di Euro al mese (poi salito sino a 80), abbassando il rendimento dei relativi titoli e contribuendo ad una forte iniezione di liquidità al sistema bancario. In tal modo, gli istituti di credito hanno potuto beneficiare di maggiori possibilità di concedere prestiti a imprese e famiglie, con effetti positivi sui consumi e sugli investimenti.

Lo scopo principale era far fronte ai rischi di un periodo troppo prolungato di bassa inflazione, cercando di riportare la stessa ad un tasso intorno al 2%.

L’Asset Purchase Programme (APP) è diviso in quattro sottoprogrammi, differenziati dal tipo di strumento finanziario acquistato direttamente dalla BCE o dalle singole banche centrali nazionali:

  • Corporate sector purchase programme (CSPP);
  • Public sector purchase programme (PSPP);
  • Asset-backed securities purchase programme (ABSPP);
  • Covered bond purchase programme 3 (CBPP3).

Nello specifico, gli obiettivi dell’APP lanciato dalla BCE si sostanziavano nei seguenti:

  1. accompagnare la discesa dei tassi di rendimento dei titoli di stato;
  2. segnalare al sistema economico la volontà di mantenere invariati i tassi per un prolungato orizzonte temporale;
  3. agevolare il credito al settore privato, incentivando la ripresa di investimenti e consumi e conseguentemente stimolare la ripresa della crescita e dell’inflazione.

Come evidenziato nello studio da The European House – Ambrosetti[7]il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto: gli acquisti sul mercato secondario dei titoli effettuati da un nuovo compratore (la BCE) hanno permesso di favorire e prolungare la discesa dei tassi di rendimento di titoli di stato dell’Eurozona – che hanno infatti proseguito la loro discesa. Il tasso d’interesse sui BOT a 12 mesi è sceso al di sotto dello zero il 22/10/2015, proseguendo la discesa nei mesi successivi”.

Con riferimento al punto 2 di cui sopra “l’acquisto di titoli a media-lunga scadenza ha svolto una funzione di signaling nei confronti dell’economia, indicando la volontà della Banca Centrale di mantenere i tassi ufficiali invariati per un prolungato periodo di tempo[8].

Infine, relativamente al punto 3 “la principale controparte della BCE durante gli acquisti sul mercato secondario è stato il sistema bancario. Ciò ha permesso alle banche commerciali una trasformazione delle voci del loro attivo: da titoli a riserve presso la Banca Centrale. La disponibilità di liquidità a basso costo ha quindi permesso alle banche commerciali di ridurre il costo del finanziamento e, di conseguenza, del credito a imprese e famiglie[9].

Da ciò se ne deduce un ampio successo delle politiche attuate dalla BCE. È stato possibile notare, in definitiva, come nell’area Euro vi sia stata una ripresa della crescita economica e del tasso di inflazione (sebbene quest’ultimo sia ancora lontano dall’obiettivo del 2% prefissato come benchmark).

A seguito del raggiungimento di tali risultati, il Presidente della Banca Centrale Europea ha annunciato al termine del Consiglio Direttivo del 14 giugno scorso  la fine del programma.

È stato infatti annunciato[10] che “per quanto riguarda le misure di politica monetaria non convenzionali, il Consiglio direttivo continuerà a effettuare acquisti netti nell’ambito del programma di acquisto di attività (APP) per un ammontare di 30 miliardi di euro al mese fino alla fine di settembre 2018. Dopo tale data, gli acquisti saranno ridotti a 15 miliardi di euro al mese fino alla fine di dicembre 2018”. Dal 1 gennaio 2019, dunque, non vi saranno più acquisti sotto il programma APP.

In ogni caso, è stato chiarito[11] come “il Consiglio direttivo intende mantenere la sua politica di reinvestimento dei pagamenti principali dai titoli in scadenza acquistati nell’ambito dell’APP per un periodo prolungato dopo la fine degli acquisti di attività nette, e in ogni caso per il tempo necessario a mantenere condizioni di liquidità favorevoli e ampio margine di monetary accomodation.”

Infine, il Consiglio Direttivo ha stabilito che “il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali e i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi bancari resteranno invariati rispettivamente allo 0,00%, 0,25% e -0,40%. Il Consiglio direttivo si aspetta che i tassi di interesse della BCE restino ai livelli attuali almeno nell’estate del 2019 e in ogni caso per il tempo necessario a garantire che l’evoluzione dell’inflazione rimanga allineata alle attuali aspettative di un percorso di aggiustamento sostenuto[12].

Quali conseguenze produrranno queste decisioni?

La fine degli acquisti netti, e quindi dell’immissione di nuova moneta, è senza dubbio un aspetto rilevante. Questo potrebbe comportare, specialmente per l’Italia, un aumento del financial burden per coprire il debito pubblico. È innegabile come negli ultimi anni, beneficiando di tali decisioni di politica monetaria, la Repubblica Italiana sia riuscita gestire più agevolmente il costo del debito sovrano, risparmiando diversi miliardi di Euro in interessi.

Occorre tenere presente che lo stop agli acquisti netti non sarà drastico e gli stati avranno tempo per prepararsi a questo evento.

Sarà prevedibile una risalita dello spread, conseguente alla fine del “paracadute” della BCE, rendendo più onerosi i titoli di debito dei paesi maggiormente esposti ad un rischio (seppur remoto) di default.

Per quanto riguarda i mutui, non sono attese grandi novità per chi ha già stipulato un mutuo a tasso fisso. Discorso diverso, invece, per i mutui a tasso variabile, generalmente indicizzati all’Euribor a 3 mesi. È verosimile che nel lungo periodo la fine delle politiche monetarie di stimolo descritte nel presente articolo porti lo stesso Euribor (attualmente -0,323%[13]) ad un valore più vicino allo zero, con un leggero aggravio sull’importo delle rate.

Infine, per quanto riguarda i risparmi, con la fine dell’epoca dei tassi negativi, torneranno ad essere remunerativi e ciò potrebbe spingere gli investitori a ripopolare i propri portafogli con titoli a reddito fisso, alleggerendo la loro esposizione nei mercati azionari.

..Whatever it takes.. it was enough!

 

 

[1] Letteralmente: “All’interno del proprio mandato, la BCE è pronta fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza

[2] Per approfondire il discorso integrale si rimanda al seguente link: Verbatim of the remarks made by Mario Draghi – Speech by Mario Draghi, President of the European Central Bank at the Global Investment Conference in London 26 July 2012 (https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html)

[3] Differenziale tra il rendimento decennale del Bund Tedesco e del BTP Italiano.

[4] Lo status di grave e conclamata difficoltà macroeconomica si verifica quanto un Paese ha avviato un programma di aiuto finanziario, ovvero un programma precauzionale attivato con l’ESM (European Stability Mechanism) o con la Struttura Europea per la Stabilità Finanziaria.

[5] Per ulteriori approfondimenti si rimanda al seguente link: ECB – La BCE annuncia un programma ampliato di acquisto di attività – (https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2015/html/pr150122_1.it.html)

[6] Su tutti, la Federal Reserve negli Stati Uniti d’America, la Bank of England e la Bank of Japan.

[7] The European House – Ambrosetti: La fine del Quantitative Easing in Europa e impatti sull’Italia, aprile 2018 – disponibile al seguente link (http://www.astrid-online.it/static/upload/la-f/la-fine-del-qe-in-europa-e-impatti-sullitalia.pdf)

[8] Cfr. nota 7.

[9] Cfr. nota 6.

[10] European Central Bank – press release – monetary policy decisions, disponibile al seguente link (https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2018/html/ecb.mp180614.en.html)

[11] Cfr. nota 10

[12] Cfr. nota 10.

[13] Fonte www.teleborsa.it al 20 giugno 2018

Francesco Cimino

Francesco Cimino, Deputy Director dell'area Banking&Finance, 28 anni, laureato in giurisprudenza nel 2015 presso l'Università degli Studi Roma Tre con tesi in Diritto Commerciale dal titolo "Compliance nelle banche e nelle società finanziarie".  Ha conseguito un International Master in Export Compliance con project work dal titolo "Corporate compliance towards sanctions era: embedding banking approach in non-financial corporations". E' accreditato come Export Compliance Officer presso European Institute for Export Compliance. Ha lavorato come junior associate presso studio legale internazionale Allen&Overy (sede di Roma) nel dipartimento di International Capital Markets, curando attività di Debt Capital Markets e Regulatory Banking&Finance. Attualmente lavora nella Direzione Finanza di una grande corporate italiana.

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