La risarcibilità del danno da ritardo al vaglio del Consiglio di Stato
Sommario: 1. Considerazioni introduttive: il danno c.d. “da ritardo. – 2. La fattispecie a fondamento della sentenza n. 6755 della terza sezione del Consiglio di Stato. – 3. I presupposti della configurazione del danno da ritardo e della sua risarcibilità secondo l’interpretazione della terza sezione del Consiglio di Stato. – 4. Osservazioni conclusive: questioni aperte.
- Considerazioni introduttive: il danno c.d. “da ritardo”.
L’articolo 2 bis della legge n. 241/90, al primo comma, stabilisce che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter[1], sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
Viene dunque in considerazione un particolare “bene della vita”, e cioè il tempo dell’agire amministrativo, considerato da diversi Autori come autonomo rispetto a quello correlato all’esercizio del potere[2], la cui lesione da parte dell’Amministrazione configura un’ipotesi di danno ingiusto e, di conseguenza, risarcibile: il danno c.d. “da ritardo”.
Di questo tema è tornato di recente ad occuparsi il Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza 02/11/2020, n. 6755, che in questa sede s’intende commentare per i profili d’interesse.
- La fattispecie a fondamento della sentenza n. 6755/2020 della terza sezione del Consiglio di Stato.
Tizio aveva impugnato innanzi al TAR per la Liguria il provvedimento con cui il Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura aveva respinto la sua istanza di concessione di un mutuo di €100.000,00, presentata in quanto vittima di usura in relazione al mutuo concessogli dalla Cassa di risparmio della Spezia dal momento che, essendo stato archiviato il procedimento penale scaturito dalla denuncia-querela del medesimo, egli non avrebbe potuto essere qualificato quale parte offesa del delitto di usura.
Per quanto di interesse, tra i motivi di gravame presentati per l’annullamento del suddetto diniego, Tizio richiedeva il risarcimento del danno per ingiustificata durata del procedimento ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 241/90, ovvero del “danno da ritardo”.
Il TAR per la Liguria respingeva il ricorso, sicchè Tizio adiva in appello il Consiglio di Stato per la riforma della sentenza del giudice di prime cure riproponendo, tra gli altri, il motivo di gravame inerente la pretesa risarcitoria del danno cagionato dall’ingiustificata durata del procedimento.
- I presupposti della configurazione del danno da ritardo e della sua risarcibilità secondo l’interpretazione della terza sezione del Consiglio di Stato.
Nel prendere in esame il sopracitato motivo di appello, la terza sezione del Consiglio di Stato ha qualificato il tempo dell’agire amministrativo non come un bene della vita a sé stante, ma come la misura di un bene della vita – per così dire – “terzo”, ottenibile dal privato mediante il legittimo e tempestivo svolgimento del procedimento amministrativo.
In quest’ottica, al c.d. danno ingiusto da ritardo, di cui agli articoli 2 bis, comma 1, della legge n. 241/90 e 30, comma 2, c.p.a.[3], è accordabile la tutela risarcitoria soltanto in quelle fattispecie in cui risulti leso un interesse legittimo, riferibile ad un bene della vita di spettanza di un soggetto, dal colpevole comportamento inerte dell’amministrazione.
In particolare, il giudizio da effettuare circa la spettanza del bene della vita in capo al privato risulta essere di carattere prognostico: si presenta come una peculiare applicazione dei principi generali in tema di nesso di causalità materiale di cui agli articoli 40 e 41 del codice penale, che enunciano la regola della c.d. “causalità adeguata”[4] la quale, declinata nella dimensione del danno da ritardo, prevede che si rinvenga un nesso causale tra l’inerzia della pubblica amministrazione nell’osservare il termine di conclusione del procedimento e la frustrazione di una situazione giuridica o di un interesse preesistenti e vantati dal privato[5].
A parere dei Giudici di Palazzo Spada, vista l’archiviazione del procedimento penale per infondatezza della notizia di reato, Tizio non avrebbe mai potuto essere considerato come vittima di usura sicché l’Amministrazione non avrebbe potuto mai adottare alcun provvedimento di accoglimento della sua richiesta, stante l’inconfigurabilità, sul piano del causalità adeguata e in base al giudizio prognostico ad essa inerente, del danno-evento del ritardo, inteso nel senso di lesione temporalmente apprezzabile dell’interesse sostanziale vantato dal privato.
- Osservazioni conclusive: questioni aperte.
Chi scrive non può esimersi dall’osservare come, in questa pronuncia, il Consiglio di Stato si discosti da quanto affermato, in via nomofilattica, dall’Adunanza plenaria, 4 maggio 2018 n. 5, riprendendo il granitico orientamento espresso nella sentenza 15 settembre 2005, n. 7, della stessa Adunanza plenaria.
Infatti, al punto 42 della pronuncia n. 5/2018, l’Adunanza plenaria riconosce che il legislatore, tramite il disposto di cui all’art. 2 bis, comma 1, della legge n. 241/90 (introdotto dall’art. 28, comma 10, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98), abbia voluto superare in radice l’orientamento giurisprudenziale del 2005, introducendo la risarcibilità anche del danno c.d. da mero ritardo, che viene in essere a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento.
In tali fattispecie, il danno deriva dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale, dal momento che il ritardo nell’adozione del provvedimento genera una situazione d’incertezza in capo al privato, tale da poterlo indurre a scelte negoziali che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto la risposta dell’amministrazione mediante l’adozione del provvedimento nel termine previsto.
La tesi della risarcibilità del danno da mero ritardo – condivisa dallo scrivente – introdotta dal legislatore del 2013 è altresì confermata dalla previsione di cui all’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1, c.p.a., che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, implicando necessariamente una qualificazione in termini di diritto soggettivo della situazione giuridica lesa dal ritardo dell’amministrazione.
Infatti, l’articolo 2 della legge n. 241/90 sottrae il tempo del procedimento alla disponibilità dell’amministrazione disponendo che, a fronte del rispetto del termine di conclusione dello stesso, essa non disponga di un potere, ma sia gravata da un obbligo[6].
Nel caso di specie, ad avviso dello scrivente, avrebbe potuto trovare applicazione la fattispecie del danno da mero ritardo: infatti, ai fini della configurabilità della pretesa risarcitoria, l’Adunanza plenaria, al punto n. 43 della sentenza n. 5/2018, prevede che incomba sul privato l’onere di provare, oltre il ritardo e l’elemento soggettivo, il nesso di causalità tra la violazione del termine di conclusione del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posso in essere. Dunque, al punto 6.1 della sentenza in esame, si evince che Tizio sia rimasto inerte, in attesa della risposta dell’amministrazione, senza esperire vie ulteriori al fine di recuperare la liquidità necessaria per portare avanti l’attività della propria impresa; viene dunque in considerazione una condotta negativa comunque classificabile come scelta negoziale pregiudizievole causalmente connessa al ritardo nella conclusione del procedimento da parte dell’amministrazione.
[1] Ossia i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative.
[2] Cfr., ex multis, M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, edizione 2019.
[3] Si fa qui specifico riferimento al risarcimento del danno ingiusto derivante dal mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria.
[4] Questa teoria propone un modello generalizzante di spiegazione della causalità, nel senso che è considerabile come causa quella condizione tipicamente idonea o adeguata a produrre l’evento in base ad un criterio di prevedibilità basato sull’ id quod plerumque accidit – ovvero sul più probabile che non, come osservano G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale – parte generale, edizione 2014.
[5] Cfr., a tal riguardo, ex multis, Cons. St., sez. V, 23 agosto 2019, n. 5810, id., 19 agosto 2019, n. 5737, id., sez. IV, 2 dicembre 2019, n. 8235, id., sez. V, 18 marzo 2019, n. 1740.
[6] Si consulti, a riguardo, il punto n. 43 di Cons. St., Ad. Plen., 4 maggio 2018, n.5.
Mi sono laureato in Giurisprudenza presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma lo scorso 23 aprile, discutendo una tesi in Diritto delle autonomie territoriali dal titolo “L’apporto delle Regioni alla formazione del Diritto dell’Unione Europea” – Relatore Prof. Antonio D’Atena.
Durante il percorso di studi universitari, ho frequentato il profilo amministrativistico, approfondendo le discipline giuridiche afferenti a questa area del diritto.
Mi sono sempre particolarmente interessato al mondo della scrittura, in ambiti differenti e, per quel che riguarda, nello specifico, quello giuridico, mi cimento nella redazione di commenti e note a sentenza del giudice ordinario, amministrativo, della Suprema Corte, del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale.
A partire dal mese di giugno scorso, ho il piacere e l’onore di collaborare per l’area Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere”.
Attualmente collaboro, a titolo di cultore della materia, con la Cattedra di Diritto dell’Ambiente presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUISS Guido Carli.
Dal prossimo gennaio, inizierò il mio percorso nell’ambito del Master di II livello in Diritto Amministrativo presso l’Università LUISS di Roma.