L’Introduzione in statuto delle clausole di drag along ed il principio maggioritario
In ottica di continuità con alcune precedenti pubblicazioni su questa stessa rivista, si intende oggi approfondire un profilo più specifico del tema già trattato in precedenza, vale a dire quello relativo alle modalità di introduzione in statuto di clausole di drag along.
A tal fine, pare opportuno brevemente ribadire cosa deve intendersi per clausola di co-vendita (o drag along). Le clausole di c.d. drag-along, mediante il loro inserimento in statuto, attribuiscono ad un socio (nella prassi, il socio di maggioranza o il socio di minoranza investitore istituzionale quale ad esempio un fondo di private equity) il diritto, in caso di ricezione di offerte di acquisto da parte di un terzo potenziale acquirente, di procedere al trasferimento sia della propria partecipazione sociale sia di quella dell’altro socio (o di tutti gli altri soci), così da permettere al terzo di acquistare – rendendo così più appetibile l’investimento – l’intero capitale sociale della società target agli stessi termini e condizioni negoziati con riferimento alla partecipazione del socio “trascinatore”[1].
Ciò premesso in merito alla definizione di clausola di co-vendita – della cui ammissibilità ormai non si discute[2] -, ci si chiede in che modo ed a quali condizioni i soci possano decidere di introdurre tale tipo di clausole in statuto. Sul punto, la posizione di dottrina e giurisprudenza è tutt’altro che univoca.
Va, infatti, osservato che secondo un primo orientamento – consolidatosi tanto in una certa prassi notarile[3], quanto in recente giurisprudenza di merito[4]-, ai fini dell’introduzione delle predette clausole sarebbe necessario il consenso di tutti i soci, compresi quelli destinati ad essere “forzati” alla vendita, sulla base della considerazione per cui il diritto del singolo alla persistenza nella compagine sociale rappresenta un limite alla generale validità del principio maggioritario.
Tuttavia, non sono mancate voci contrastanti manifestate da altra dottrina, prassi notarile[5] e diversa giurisprudenza[6], secondo cui sarebbe legittima anche una delibera approvata soltanto a maggioranza, atteso che la riforma societaria avrebbe determinato una significativa valorizzazione del principio maggioritario, anche a sacrificio delle posizioni individuali dei soci (in astratto intangibili dalla maggioranza). Ciò, pur sempre a condizione che si operi nel rispetto dei principi di correttezza e di parità di trattamento dei soci.
Con specifico riguardo al secondo dei richiamati orientamenti, può essere interessante approfondire l’iter logico sotteso alla pronuncia del Tribunale di Milano, Sez. VIII, Ordinanza del 22 dicembre 2014, che ha ribadito la centralità del principio maggioritario nel governo delle società di capitali, anche con precipuo riguardo all’approvazione delle modifiche statutarie più strettamente connesse ai diritti individuali dei soci, quali possono essere quelle di previsione di clausole di drag along.
Più in particolare, nel caso deciso dal Tribunale di Milano, i giudici sono stati chiamati ad affrontare la tematica della legittimità – e conseguente “iscrivibilità” presso il Registro delle Imprese – di una delibera assembleare adottata a maggioranza dei soci di S.r.l. ed avente, inter alia, ad oggetto l’introduzione in statuto di una clausola di co-vendita.
Nel caso di specie, la questione è stata posta all’attenzione del Tribunale meneghino essendosi il Notaio rogante rifiutato di procedere al deposito per l’iscrizione della delibera sulla base della considerazione per cui le modifiche proposte, coinvolgendo diritti individuali dei soci attraverso l’imposizione di obblighi gravanti sulla valorizzazione delle partecipazioni stesse (i.e. clausola di co-vendita), non erano suscettibili di approvazione a maggioranza, ma avrebbero invece dovuto essere approvate con il voto unanime di tutti i soci.
Il Tribunale di Milano ha, però, ritenuto di non poter accogliere le predette osservazioni, ed ha considerato legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di co-vendita forzata in uno statuto di S.r.l. che obblighi i soci di minoranza, che non intendono esercitare il diritto di prelazione ad essi spettante, a cedere a terzi acquirenti la propria partecipazione agli stessi termini e condizioni cui i soci di maggioranza intendano trasferire le proprie quote.
In ogni caso, è stata premura del Giudice adito precisare che, affinché una simile clausola possa dirsi legittima sarà necessario garantire una correlativa tutela ex lege in favore del soggetto eventualmente dissenziente atta a riequilibrare il rapporto tra le parti interessate, quale la previsione di meccanismi di equa valorizzazione delle quote.
Solo garantendo un’equa valorizzazione della quota è, infatti, possibile assicurare a tutti i soci un pari trattamento in sede di co-vendita, facendo sì che il valore “forzato” di disinvestimento della propria quota non sia inferiore a quello che il singolo socio avrebbe ottenuto qualora avesse autonomamente deciso di recedere dalla società[7]. In tal caso, infatti, non si porrebbero problemi di parità di trattamento tra i soci nella misura in cui venga salvaguardato il diritto del socio alla spettanza del valore economico effettivo a cui corrisponde la sua partecipazione — ed una proporzionale redistribuzione del premio di controllo (cioè, del plusvalore che l’acquirente paga per l’acquisto dell’influenza dominante sulla società) su tutta la base sociale.[8]
In conclusione, deve quindi ritenersi possibile che tutte le clausole di co-vendita siano – quantomeno in linea di principio – suscettibili di essere introdotte nello statuto di una società già esistente con le normali maggioranze previste per le modificazioni dello statuto, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di correttezza, buona fede e parità di trattamento tra i soci.
A parere di chi scrive, una simile risoluzione della questione non può che essere accolta con favore, specialmente se si tiene conto che l’introduzione di una simile clausola si rivela normalmente idonea a dar voce all’interesse sociale. Quest’ultimo trova, senz’altro, espressione nella sussistenza di una compagine coesa e di un’attività gestoria non intralciata — in caso di cessione del controllo — da comportamenti opportunistici di alcuni soci e da – spesso insanabili – contrasti tra la nuova maggioranza e la vecchia minoranza, il tutto nell’ottica di un’intelligente incentivazione all’afflusso di investimenti.
[1] Cfr. C. di Bitonto, in commento a Tribunale Milano, ord., 31 marzo 2008, in questa Società, n. 11/2008, 1380.
[2] Cfr. Massima 88, 22 novembre 2005, e relativa Motivazione, in Consiglio Notarile di Milano, Massime notarili in materia societaria, Milano, 2014, 305. In tale sede, è stato precisato che “Si reputano legittime le clausole statutarie che prevedono, in caso di vendita di partecipazioni in S.p.A. o in S.r.l., il diritto e/o l’obbligo dei soci diversi dall’alienante di vendere contestualmente, a loro volta, le partecipazioni possedute […]“.
[3] Si veda, in particolare, la massima I.I.25 degli orientamenti del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie in materia di atti societari.
[4] Trib. Milano 24 marzo 2011, in Giur. it., 2011, III, 2582; Trib. Perugia 29 febbraio 2008, in Giur. comm., 2010, II, 304; Trib. Milano 26 marzo 2001, in Giur. comm., 2002, II, 160.
[5] Cfr. S. Luoni, Introduzione a maggioranza delle clausole di co-vendita: osservazioni sul tema, in nota a Tribunale Milano, decreto, 24 marzo 2011, in Giur. it., 2001, III, 2584; Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nelle nuove S.p.A., Milano, 2004, 111.
[6] Trib. Perugia 25 giugno 2008, in Riv. not., 2013, 5, 121.
[7] Cfr. NEGRI-CLEMENTI, PERRICONE, “Introduzione a maggioranza di clausola drag along nello statuto di s.r.l. – modifiche statutarie e clausole di circolazione delle partecipazione: una questione di quorum o di equa valorizzazione”, in Società, 2015, 8-9, 955.
[8] Cfr. M. DEL LINZ, L’introduzione delle clausole di co-vendita negli statuti sociali, in Giur. Comm., 5, 2012.
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II, con il massimo dei voti nel 2015.
Master in Diritto di impresa presso Luiss Law School, Roma, 110/110 cum laude.
Attualmente faccio parte del Dipartimento di Corporate – M&A dello studio legale Gianni Origoni & Partners, nella sede di Roma. Giorno per giorno, ho così potuto approfondire il Diritto commerciale, la contrattualistica d’impresa nell’ottica di fornire assistenza legale a grandi aziende dello scenario nazionale ed estero.
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