martedì, Ottobre 15, 2024
Diritto e Impresa

La tutela del socio di minoranza: il rapporto con il principio maggioritario e gli strumenti di tutela.

  1. Sulla tutela dei soci di minoranza

La tutela del socio e delle minoranze è uno dei temi maggiormente dibattuti nell’ambito del diritto societario riformato con il D.lgs. n. 6/2003. Le ragioni sottese a tale tutela si rinvengono nell’interesse di dotare la società di un idoneo impianto normativo volto ad evitare comportamenti opportunistici e assolutistici degli azionisti di maggioranza limitandone i poteri mediante l’individuazione di regole di organizzazione; l’obiettivo è quello di garantire la c.d. “democrazia azionaria” ovvero contemperare il principio di maggioranza e gli interessi dei soci estranei al gruppo di controllo[1]. La compresenza dei soci di maggioranza e di minoranza è necessaria in quanto i primi sono deputati al controllo, mentre i soci di minoranza fungono da supervisori sull’attività disponendo di appositi strumenti in caso di abuso.

Le tutele previste per questi ultimi si esplicano in forme di tutela reale e forme di tutela obbligatoria. Con la prima tutela il socio di minoranza può, in presenza di un atto antigiuridico della società lesivo dei propri interessi, paralizzare gli effetti determinandone l’invalidità. La tutela obbligatoria consente, invece, ai soci di ottenere un risarcimento pecuniario a causa del pregiudizio derivante dall’atto e trova la sua espressione nella disciplina dell’invalidità delle deliberazioni assembleari[2]. È l’art. 2377 c.c. , comma 2, a contemplare il diritto di impugnare le delibere assembleari nel caso in cui non siano state adottate in conformità con la legge e lo statuto della società, ricomprendendo le ipotesi di abuso della maggioranza a danno degli azionisti di minoranza. È stato affermato in dottrina che “l’impugnazione di cui all’art. 2377 ss. c.c. è da considerarsi un vero e proprio strumento di controllo sulla gestione, in quanto la sentenza di annullamento pronunciata in favore dei soci richiedenti non si limiti ad elidere il valore giuridico della delibera, ma rappresenta il mezzo con il quale i soci di minoranza esercitano un’influenza attiva sull’azione degli amministratori”[3]. La normativa introdotta con il D.lgs. n. 6/2003 ha, dunque, individuato specifiche fattispecie di invalidità con espressa previsione della nullità, l’introduzione di specifiche soglie quantitative che attribuiscono una legittimazione all’impugnazione, limitazioni temporali all’impugnazione e, infine, ipotesi di sanatoria.

  1. Strumenti di tutela: il diritto di recesso

Gli strumenti di tutela predisposti per i soci di minoranza prevedono, tra gli altri, il diritto di intervento in assemblea (spettante a tutti i soci, tranne ai titolari di azioni prive di diritto di voto o con voto limitato a particolari argomenti non ricompresi nell’ordine del giorno, artt. 2368 e 2369 c.c.) che tutela l’interesse delle minoranze mediante l’individuazione dei quorum assembleari; il diritto di chiedere un rinvio dell’assemblea per mancanza di informazioni (art. 2374 c.c.): la ratio è quella di garantire a tutti i soci le informazioni necessarie per esprimere un voto consapevole; il diritto di deliberare e promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (art. 2393-bis c.c.): estendere il potere di agire a tutti i soci per portare l’attenzione all’organo di controllo di eventuali irregolarità compiute dagli amministratori; per quanto riguarda il recesso del socio, già istituito a presidio delle minoranze nella formulazione originaria del Codice del 1942, in origine contemplava un limitato numero di ipotesi tassativamente indicate in presenza delle quali il singolo poteva esercitare tale diritto (es. socio assente, dissenziente o astenuto in merito alla delibera assembleare, cambiamento dell’oggetto sociale, etc.). La riforma del 2003 ha modificato i contorni di tale strumento di reazione alle decisioni della maggioranza attraverso l’ampliamento delle ipotesi di recesso che possono essere distinte in ipotesi legali, derogabili e inderogabili, statuarie e volontarie. Le cause inderogabili di recesso sono indicate dall’art. 2437, comma 1 c.c. e sono:

  1. a) la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società;
  2. b) la trasformazione della società;
  3. c) il trasferimento della sede sociale all’estero;
  4. d) la revoca dello stato di liquidazione;
  5. e) l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;
  6. f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso;
  7. g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

In tali ipotesi il diritto di recesso non può essere soppresso ed è nullo ogni patto volto ad escluderlo o a renderne gravoso l’esercizio.

Le cause derogabili, ossia quelle valide salvo diversa previsione dello statuto, sono previste dall’art. 2437, comma 2 c.c., e si riferiscono:

  1. a) proroga del termine di durata della società;
  2. b) introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni;

Sia per le cause inderogabili che per quelle derogabili la legittimazione ad esercitare il recesso spetta ai soci che non hanno concorso alla relativa delibera in quanto dissenzienti, assenti o astenuti.

L’istituto diventa strumento di tutela delle minoranze, di reazione alla maggioranza e di contrattazione, difatti può essere utilizzato quale mezzo di pressione sugli altri soci affinché acconsentano ad una modificazione considerando le esigenze dei soci di minoranza.

  1. Patti parasociali

Questi ultimi riescono a tutelare maggiormente i lori interessi mediante i patti parasociali che consentono la fissazione di quorum assembleari costitutivi o deliberativi diversi da quelli previsti dalla legge, pur rispettando il limite temporale di 5 anni in caso di S.p.A. non quotate e 3 anni per le S.p.A. quotate. Tali patti possono aversi tra gli stessi soci di minoranza i quali si accordano per tutelare al meglio i loro interessi portando le proprie ragioni dinnanzi la maggioranza; patti tra soci di minoranza e soci maggioranza che riconoscono loro ex ante diritti e/o poteri oppure strumenti idonei a salvaguardare la loro posizione[4]. In molti patti parasociali sono previste le c.d. clausole di exit o di way-out la cui funzione è quella di permettere ai soci di minoranza di modificare la propria partecipazione a determinate condizioni, ad esempio con le clausole di co-vendita o tag along il socio può cedere del tutto o in parte la propria partecipazione ai terzi e gli altri soci potranno richiedere che il socio cedente procuri l’acquisto anche della loro partecipazione[5].

La totalità di tali strumenti di tutela predisposti consente di migliorare la governance della società incentivando i soci ad uno svolgimento più consapevole delle attività improntate sul necessario contemperamento degli interessi e riconoscimento ai soci di minoranza di solidi diritti e poteri che consentono la prevenzione e la deterrenza dei comportamenti illeciti eventualmente predisposti dalla maggioranza.

[1] F. Barachini, La tutela del socio e delle minoranze. Studi in onore di Alberto Mazzoni, edizione 2018.

[2] F. D’Alessandro, “La provincia del diritto societario inderogabile rideterminata”. Ovvero: esiste ancora un diritto societario?, edizione 2003.

[3] F. Briolini, Amministrazione e controllo nel diritto delle società, edizione 2010.

[4] C. Cengia, M.P. Murdolo, I soci di minoranza della s.p.a, edizione 2019.

[5] Oltre alle clausole di co-vendita/tag along sono annoverate le clausole di trascinamento o drag along che attribuiscono al socio di maggioranza il diritto di trascinare nella vendita anche la partecipazione dei soci di minoranza. Nell’ipotesi da ultimo considerata, qualora il socio di maggioranza riceva da un terzo un’offerta per l’acquisto di una partecipazione di controllo, gli altri soci, se richiesto dal socio di maggioranza, saranno tenuti a trasferire a tale terzo l’intera partecipazione o parte di essa; dunque i soci di minoranza hanno un obbligo a vendere le proprie quote e al contempo il diritto di vendere alle medesime condizioni del socio di maggioranza.

 

Maria Carmen Zitani

Maria Carmen Zitani è nata a Benevento nel 1993. Laureata in Giurisprudenza all'Università degli studi del Sannio in diritto commerciale con tesi dal titolo "Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento" ha iniziato il tirocinio forense presso uno studio legale e lo stage presso la Procura della Repubblica di Benevento.
Collaboratrice dell'area di diritto commerciale è particolarmente interessata allo studio del diritto della crisi d'impresa.

Lascia un commento