venerdì, Luglio 26, 2024
Di Robusta Costituzione

La dimensione poliedrica della funzione educativa tra scuola e famiglia nell’idea di Stato Sociale

a cura di Avv. Renzo Cavadi

 

1.Il sistema educativo nel quadro dei principi costituzionali

 

Il tema dell’educazione riveste un’importanza centrale nell’ordinamento giuridico italiano. Prova ne è il fatto che la stessa trova diversi riferimenti normativi all’interno della nostra Carta Costituzionale.

In vero da un attento esame delle disposizioni che la Legge Fondamentale dello Stato dedica al “funzione educativa”, ci si accorge come la scelta dell’Assemblea Costituente sia stata quella di plasmare tale concetto sotto diverse prospettive e angolazioni, unite tutte da un comune denominatore che tratteggia nella sua essenza una ratio ben definita, costruita intorno allo sviluppo di un’idea di modello di Stato sociale di cui è espressione oggi più che mai il sistema educativo attuale([1]).

Ciò premesso, facendo una progressiva ricognizione normativa interna alla Costituzione, si osserva che il primo riferimento al concetto di educazione si manifesta sotto il profilo penalistico all’interno del comma 3 dell’articolo 27 il quale, disponendo che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità([2]) e devono tendere alla rieducazione([3]) del condannato” chiarisce di fatto che per natura le sanzioni detentive sono indirizzate ex lege verso finalità di natura psicologica nonché orientate ad una riabilitazione([4]) del reo. La norma programmatica in vero ha trovato applicazione ed effettivo seguito soltanto negli anni ’70 ed in particolare con la promulgazione della legge 26 luglio 1975 n. 354 recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”.

Diversa ancora è la prospettiva su cui si muove il legislatore nel momento in cui fa riferimento al concetto di educazione negli articoli 33 e 38 della Costituzione.  Si tratta di due norme di particolare importanza impostate in chiave soggettiva per dare spazio a tutti quei soggetti deputati ex lege ad occuparsi del settore educativo sotto il profilo di natura pedagogica. In particolare il comma 3 dell’articolo 33 dispone che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo stato”.  Tale articolo va letto in combinato sia con il successivo comma 3 dell’articolo 38 (il quale stabilisce che “gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”), sia con il comma 4 il quale recita che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

La chiave di lettura di tali norme va ricercata infatti nel sistema più ampio di assistenza sociale([5]), dove si concretizza il concetto di “Stato del benessere” meglio conosciuto con il termine di Welfare State([6]). In tal senso val la pena considerare che tutte le norme in materia di educazione richiamate in precedenza, vanno coordinate e interpretate all’interno di una cornice costituzionale di vasta area, pensata e costruita dall’Assemblea Costituente proprio intorno al concetto di Stato Sociale: un sistema curvato in una precisa direzione indirizzato a gettare le basi per la realizzazione di un ponte di protezione sociale imperniato su criteri e principi di collaborazione e giustizia e soprattutto di massima solidarietà dove vi rientra la promozione della persona umana (così come ampiamente previsto negli articoli 2 e 3 Cost.)([7]) in cui imprescindibile diventa anche lo sviluppo di solide basi pedagogiche ed educative.

Ora poiché lo Stato non può alimentare tali basi in via diretta con proprie strutture o articolazioni pubbliche (ad eccezione di casi particolari in cui il potere pubblico è legittimato a interviene per ragioni di stretta necessità), le funzioni di natura pedagogica sono di fatto assegnate a determinati soggetti a “dimensione sociale” fra cui un assetto determinante spetta alle cosidette istituzioni educative. Attraverso lo svolgimento del loro ruolo strategico per la vita della comunità civile, tali istituzioni sociali partecipano alle dinamiche democratiche del paese contribuendo con il loro operato alla costruzione e all’evoluzione del complessivo tessuto sociale([8]).

E’ ben noto come la Repubblica Italiana sia fondata e plasmata sul principio della laicità dello Stato([9]), motivo per cui essa storicamente, a differenza di altri modelli di stati (ad esempio quelli di matrice etica o totalitaria) non nasce come Stato “educatore” richiedente propri ideali o modelli di tipo pedagogico da imporre attraverso strutture pubbliche in modo cogente sulla comunità nazionale.

Di certo però dall’esegesi delle norme costituzionali, si ricava che lo Stato in ogni caso avverte a monte l’importanza del ruolo sociale della funzione educativa per attribuirne poi la sua concreta gestione a strutture che contribuiscono al perseguimento degli obiettivi generali del sistema formativo italiano. Si intende fare riferimento alle cosidette istituzioni educative([10]), le quali s’inseriscono in un insieme poliedrico e pluralistico di garanzie giuridiche all’interno di un sistema legislativo legato a doppio filo alle disposizioni richiamate dalla Carta Costituzionale e dalla legislazione richiamata nelle norme del codice civile.

Un esempio di regolazione delle istituzioni educative è rappresentato ancora oggi dai convitti nazionali ed educandati statali. Si tratta di istituti che giuridicamente si rifanno al principio delle pari opportunità operando sia con l’offerta formativa qualificata delle scuole interne, sia con lo sviluppo di strutture residenziali e semi-residenziali([11]).

Ciò premesso, la presente trattazione cercherà di offrire qualche spunto di riflessione sulla famiglia e la scuola, esempi fondamentali di istituzioni sociali cui lo Stato assegna prioritariamente in chiave pedagogica il timone della funzione educativa. Ci si soffermerà sui punti chiave e più importanti di ognuna cercando di coglierne i tratti significativi alla luce di quanto richiamato in precedenza.

 

2.L’importanza dei fondamenti educativi nel nucleo familiare

 

Il tema dell’educazione trova la sua naturale collocazione all’interno della famiglia e più in generale nei rapporti familiari ([12]). Avendo sempre come punto di riferimento l’articolo 2 della Costituzione, si osserva infatti come il nucleo familiare, pur rappresentando prioritariamente un’istituzione ontologicamente primaria all’interno dei rapporti privatistici, contestualmente assume un peso specifico altrettanto importante anche sotto l’angolazione del diritto costituzionale e più in generale del diritto pubblico in generale.

In tale prospettiva tra gli altri compiti che la Carta Costituzionale assegna alla famiglia vi rientra in tutta la sua pienezza, l’assolvimento di obblighi di natura educativa nei confronti dei figli. Tale affermazione trova la sua esplicazione all’interno del comma 1 dell’articolo 30 Cost., il quale nel perimetrare le competenze soggettive dei ruoli in materia di educazione familiare dispone che è “dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.

Il riferimento al diritto, oltre che al dovere, potrebbe essere interpretato come pretesa dei genitori alla non intromissione di terzi nel rapporto con i figli. La presenza di un diritto dei genitori di istruire, educare e mantenere i figli introduce, nella definizione dell’unitario modello di famiglia messo a punto dall’Assemblea Costituente, un elemento significativo, nella misura in cui il rapporto genitoriale concorre a definire la formazione familiare([13]). Si tratta di una norma di fondamentale importanza al punto che la stessa tende naturalmente a saldarsi nella cornice della legislazione ordinaria dedicata alla materia dei rapporti familiari.

Ci si riferisce in particolare all’articolo 147 c.c. il quale nel dare applicazione pratica al dettato costituzionale stabilisce che il matrimonio impone ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, educare e assistere moralmente i figli secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis c.c. ([14]). Quest’ultimo prevede infatti che “il figlio ha il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”. Solo in caso di accertata incapacità dei genitori a soddisfare i diritti i diritti del minore la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (art. 30 comma 2, cost.) attraverso un intervento delle pubbliche istituzioni in via del tutto sussidiaria.

Il doveroso impegno pedagogico dei genitori nei confronti del minore, al quale risulta riconosciuto dall’articolo 30 cost e dall’articolo 147 c.c. un vero e proprio diritto inviolabile dell’uomo ex art. 2 Cost., consiste nel “diritto del figli a essere educato e più precisamente nel diritto a uno sviluppo compiuto e armonico della personalità in un ambiente idoneo”([15]). Non a caso l’articolo 261 c.c. inserito nel capo IV dedicato al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, dispone che “Il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi”. E tra questi vi rientra a pieno titolo l’educazione familiare nei confronti della prole.

Il diritto all’educazione del minore non è esercizio fine a se stesso e anzi rappresentando un laboratorio culturale e formativo, implica la possibilità di maturare una personalità autonoma capace di determinarsi liberamente nella vita, di far propri interiorizzandoli i valori fondamentali della comunità a cui appartiene e di realizzare validi e profondi rapporti interpersonali([16]). L’educazione pertanto, nel riguardare la persona nella sua integrità mira a trasmetterle determinati riferimenti valoriali diretti a modellarne la struttura e il comportamento. In tal modo il processo educativo, integrato dalla trasmissione familiare di solidi valori di riferimento ideale e comportamentale, tende a plasmare la personalità del minore, anche al fine di evidenziarne le particolari potenzialità e a correggerne le eventuali inclinazioni negative([17]).

Seguendo tali coordinate si evince che attraverso “la tutela dei diritti fondamentali del singolo anche nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità (e dunque del minore nella famiglia) nonché l’impegno pubblico a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, il percorso educativo cessa di essere affare meramente privato poiché diventa per il minore procedimento acquisitivo delle capacità e delle posizioni giuridiche soggettive proprie del cittadino adulto([18]). L’opera educativa del minore difatti dovrebbe tendere a prepararlo ad affrontare con maturità e consapevolezza le vicende della vita e ad acquisire progressivamente le capacità personali richieste per un pieno e responsabile esercizio delle libertà fondamentali tipiche dell’adulto tra cui la libertà di pensiero, parola, stampa, professione religiosa, intrapresa privata e di partecipazione all’attività politica([19]).

 

  1. La delicatezza della disciplina educativa nell’ambiente scolastico

 

La nostra Costituzione pone il sistema scolastico come basilare pietra angolare su cui sviluppare e armonizzare quel sistema di centralità sociale([20]) voluto dall’Assemblea Costituente. L’istruzione e la formazione sono generalmente considerate un fattore essenziale([21]) per qualificare una società come democratica e libera.

Il presupposto che la scuola italiana rappresenti istituzione fondamentale della comunità civile([22]) aperta a tutti([23]) (art. 34 comma 1 Cost.) tende a caratterizzare lo Stato sociale come Stato di cultura, che esclude ogni discriminazione nell’accesso ai saperi, alla didattica e più in generale nella sfera dell’istruzione. Ne deriva, come logica conseguenza, la necessità che lo Stato rimuova ogni ostacolo perché la scuola sia ambiente concretamente e indistintamente accessibile a tutti e l’istruzione sia generalizzata.

L’attuale sistema scolastico esplica infatti una duplice funzione nei confronti degli studenti, formativa in primis ma inevitabilmente anche pedagogica e/o educativa.  Significativo di ciò è quanto emerge dalla lettura del DPR n. 275 dell’8 marzo 1999 – Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche il quale all’articolo 4 dispone che “Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema, concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto di apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni”. Se è vero che infatti che ogni scuola nasce storicamente per erogare le proprie attività e i propri servizi finalizzati all’apprendimento, alla didattica e più in generale al diffusione del sapere, non si può dimenticare come ogni istituzione scolastica eserciti da sempre anche un ruolo altamente educativo nei confronti degli studenti, prendendoli per mano e accompagnandoli verso un ordinato percorso di crescita nonché di maturazione personale([24]) affinchè si favorisca gradualmente un loro rapido inserimento nella società e nel mondo del lavoro.

In tal senso occorre tenere a mente quanto dispone l’articolo 2 del D.P.R. 31 maggio 417 (uno dei c.d. Decreti Delegati della scuola) dove in merito alla funzione del corpo docente il testo legislativo dispone che essa “è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.  Naturalmente tutto questo non può che tradursi nell’impegno al rispetto mirato delle regole se è vero come è vero che in tal modo, viene a realizzarsi di fatto e in via concreta il circolo virtuoso della comunità educante.

E di certo il sistema d’istruzione risulterebbe monco se non fosse accompagnato da un percorso ancorato a una funzione “guida”, che funge da stella polare rivolta agli studenti su come relazionarsi con gli altri([25]), nei rapporti interpersonali nel contesto dell’ambiente scolastico. Si tratta di una visione dinamica([26]) che tende di fatto a superare la linea di rigida separazione tra istruzione e formazione che tendeva a seguire la giurisprudenza negli anni ‘60([27]).

L’educazione scolastica contribuisce dunque in modo rilevante e originale alla costruzione e alla maturazione della struttura personale dello studente, concorre a modellarne la figura, la posizione e il ruolo che potrà rivestire nell’ambito societario e lo può strutturare incisivamente stimolando lo sviluppo della sua creatività e della sua stessa personalità([28]). Non a caso sempre il DPR n. 275 del 1999 al comma 5 dell’articolo 16 dispone che “Il personale della scuola, i genitori e gli studenti partecipano al processo di attuazione e sviluppo dell’autonomia assumendo le rispettive responsabilità.”

Il compito fondamentale degli istituti scolastici, è quello fornire agli alunni strumenti preziosi e necessari per crescere culturalmente, psicologicamente e socialmente, acquisire un certo grado di responsabilità e autonomia e infine, formare alla cittadinanza([29]) e conseguentemente alla vita democratica. La scuola è prima di tutto studio, conoscenza, cultura, approfondimento delle singole discipline e più in generale del sapere ma anche terreno fertile di educazione, teatro di crescita umana e cittadinanza([30]).  In questo senso l’attività didattica e l’insegnamento dei vari e specifici contenuti disciplinari – integrati da un valido strumento di educazione scolastica – si pongono anche quale utile strumento e occasione per far apprendere ai giovani i fondamenti del vivere civile([31]).

 

  1. L’alleanza pedagogica tra famiglia e scuola: l’importanza del Patto Educativo di Corresponsabilità

 

Dall’analisi svolta, si evince a tutto tondo che è innanzitutto nella Costituzione italiana (e in subordine nella legislazione ordinaria richiamata) la base di partenza dove si fonda la corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia: una corresponsabilità da intendersi come un insieme di diritti e doveri, competenze e valori, all’interno del quale prende forma e si manifesta in tutta la sua essenza, il ruolo costruttivo dell’educazione nei confronti delle nuove generazioni.  Secondo il prezioso pensiero di Rodariana memoria secondo cui “la famiglia istruisce mentre la scuola educa e la scuola educa mentre istruisce”, ciascuna porta avanti la sua missione educativa, avvalendosi delle competenze che le sono proprie ma è legata a doppio filo ai servizi dell’altra, presupposto indispensabile verso un procedere comune. Se questo intreccio tra scuola e famiglia tende ad allontanarsi ed a frantumarsi, il binomio fisiologicamente non può più funzionare([32]).

Seguendo le coordinate appena tracciate, si comprende bene il motivo per cui in tema di relazione educativa scuola-famiglia([33]), il più importante intervento normativo sia stato l’introduzione dello strumento del Patto Educativo di Corresponsabilità, che i genitori firmano e sottoscrivono al momento contestuale dell’iscrizione presso la scuola. Il Patto ha origine e viene disciplinato dall’articolo 5 bis del DPR 235 del 21 novembre 2007 (che è una modifica del vecchio DPR 24 giugno 1998 n. 249) ed entra in vigore nel 2008. Con il Disegno di legge n.1264 del 1º agosto 2019 (art.7) il patto, inizialmente concepito soltanto per la scuola secondaria, viene esteso alla Scuola Primaria.

Si tratta di uno strumento finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa, diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica, studenti e famiglie. Nasce con l’obiettivo mirato di definire le priorità educative dell’istituzione scolastica a cui sono chiamati i diversi soggetti che vi operano. Il patto educativo di corresponsabiltà definisce le linee guida che ogni scuola in piena autonomia, gli studenti e le loro famiglie si impegnano a seguire nel rispetto dei reciproci ruoli e competenze.

La sua importanza la si percepisce anche dalla lettura del comma 4 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo 13 aprile 2017 n. 62 recante Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato,  il quale recita che “Ciascuna istituzione scolastica può autonomamente determinare, anche in sede di elaborazione del piano triennale dell’offerta formativa, iniziative finalizzate alla promozione e alla valorizzazione dei comportamenti positivi delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti, al coinvolgimento attivo dei genitori e degli studenti, in coerenza con quanto previsto dal regolamento di istituto, dal Patto educativo di corresponsabilità e dalle specifiche esigenze della comunità scolastica e del territorio”.

Un aspetto interessante sul quale occorre soffermarsi è la possibilità di modifica e integrazione in corso di tale strumento.  A tal proposito l’articolo 5 bis comma 2 del DPR 235/2007 stabilisce “che i singoli regolamenti d’istituto disciplinano le procedure di sottoscrizione nonché di elaborazione o revisione condivisa del Patto di cui al comma 1”. Nell’ambito dell’autonomia la norma attribuisce dunque a ogni istituto la possibilità di stabilire sia le procedure di sottoscrizione che quelle di elaborazione e revisione dei contenuti del Patto([34]).

A tal proposito nel contesto dell’emergenza sanitaria legata all’impatto determinato dal Covid-19, nel quale è stato fondamentale rispettare le regole previste per il contenimento del virus sia in classe che nell’ambiente domestico, si è fatto leva su di esso, nel presupposto che la comunità educativa debba necessariamente collaborare sinergicamente per la protezione degli alunni e far modo che il loro sviluppo non venga alterato e/o compromesso.

A lungo si è dimostrato che il Patto è risultato essere uno tra gli strumenti più efficaci per la tutela del diritto all’educazione, avendo contribuito in parte a conservare in maniera simbolica il legame dei discenti con il corpo docente e il senso forte di appartenenza e inclusione nella comunità scolastica e in parte a informare nonché aggiornare periodicamente ogni famiglia sui progressi degli studenti per rispondere adeguatamente ai bisogni educativi di ciascuno anche in modalità a distanza.

 

([1])Sul punto si veda P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019,1, disponibile qui www.statoechiese.it,  il quale sottolinea che “questa caratteristica deriva fondamentalmente dal fatto che l’attività educativa è diretta sia a portare particolare beneficio ai suoi destinatari e alla loro crescita personale, sia a concorrere a elevare sul piano qualitativo il livello di civiltà della comunità sociale”.

([2])Trattasi del principio di umanità della pena, in forza del quale il legislatore non può prevedere un sistema punitivo le cui modalità siano lesive del rispetto della persona.

([3])E’ interessante notare come nella seconda parte del corpo della norma, il legislatore si sia limitato ad affermare in chiave strettamente essenziale che le pene devono avere come obiettivo la rieducazione del reo. “In questa seconda formulazione è opportuno soffermarsi sulla parola ‘’tendere’’, in quanto al soggetto viene data la possibilità di decidere, di sua spontanea volontà, se partecipare o meno ad un progetto di rieducazione. Anche all’interno del carcere un soggetto è sempre considerato titolare di diritto, e quindi, ha la possibilità di decidere di non partecipare a nessun percorso di risocializzazione, ma nonostante ciò si devono evitare ulteriori fenomeni di desocializzazione nei suoi confronti”. Così C. Giustino, Carcere ed effetti antieducativi del contenimento. Funzione rieducativa della Pena in Progetto famiglia – Centro Studi Affido disponibile qui https://www.progettofamigliaformazione.it/articoli/funzione-rieducativa-pena”.

([4])Per un’analisi dettagliata G. Vassalli, Il dibattito sulla rieducazione, in margine ad alcuni recenti convegni, in Rass. penitenziaria e criminologica, 1982; G. Zuccalà, Della rieducazione nell’ordinamento positivo italiano, in AA.VV., Sul problema della rieducazione del condannato, Atti del II Convegno di diritto penale, 1964.

([5])Sul punto si vedano le osservazioni di G. Paparella, La concretizzazione a livello nazionale della sicurezza e della tutela sociale, LUISS – Dipartimento di Scienze Politiche, Tesi di laurea, A.A 2019-2020, 18-19 secondo cui “L’articolo 38 Cost. in linea con il principio fondamentale della “sicurezza sociale” attribuisce all’organizzazione statale il dovere inderogabile di garantire ai cittadini i mezzi indispensabili alla vita, la tutela della salute e il sostegno nel caso in cui si palesino ostacoli economici e sociali, che impediscano lo sviluppo alla persona e la sua partecipazione alla vita pubblica Oltre ad essere cardine della rete di sicurezza sociale è colonna portante dell’intero impianto disegnato dal testo fondamentale, in quanto la liberazione dal bisogno costituisce il mezzo principale, se non esclusivo, per attuare il principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’articolo 3, secondo comma, Cost.35.”. Negli stessi termini P. Caretti, U. De Siervo, Istituzioni di Diritto Pubblico, 2012, 461-467; G. Guzzetta, F. S. Marini, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, 2011, p. 712 716.

([6])Il Welfare State viene utilizzato per designare un sistema socio-politico-economico in cui la promozione del benessere socio-economico dei cittadini viene assunta dallo Stato come propria responsabilità. Ha la peculiarità di essere ben presente a livello pubblico in importanti settori quali la previdenza l’assistenza sanitaria, l’edilizia popolare e per quel che interessa anche l’istruzione. Tale presenza si accompagna generalmente a misure politiche finalizzate a mirati interventi direzionali nella vita economica, sia a livello legislativo, sia attraverso la programmazione economica o attraverso le imprese pubbliche. Il Welfare State, con il corollario dello Stato-imprenditore, rappresenta la modalità di gestione dello Stato contemporaneo nei paesi capitalisti a regime democratico. Dalla metà degli anni ’60 si è cominciato a parlare di “Stato assistenziale”, come forma di mutazione dello “Stato sociale”, per indicare la crisi profonda del modello negli stati in cui tende a manifestarsi. Secondo P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019,2, disponibile qui www.statoechiese.it “Il Welfare State italiano tende altresì alla promozione dell’essere umano in tutta la sua globalità: sollecitando, stimolando e sostenendo la crescita, lo sviluppo e l’evoluzione della sua stessa personalità in relazione a tutti gli aspetti della sua complessiva dimensione esistenziale”. Per un’analisi sociologica del sistema educativo italiano che tende a rispondere alle richieste di protezione sociale emergenti in seguito alla crisi economica attuale si cfr M. Colombo, Dinamiche sociali e sistema educativo in Italia dopo la crisi del Welfare State in L’educazione nella crisi del Welfare State, Atti del convegno di Scholè, 2014, 31-53.

([7])L’articolo 2 della Carta Costituzionale così recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il successivo articolo 3 della Costituzione dispone che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

([8])Così P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019, 2. disponibile qui www.statoechiese.it. Sul punto si veda anche G. Dalla Torre, La questione scolastica nei rapporti fra Stato e Chiesa, 1989,59 secondo il quale “la Costituzione repubblicana presenta la visione di un pluralismo organicistico che vede l’armonico sviluppo della persona umana e del corpo sociale nel suo complesso, in una molteplicità di strutture intermedie che perseguono ciascuna fini ben individuati, rimanendo allo Stato il compito essenziale, insostituibile, di garantire e disciplinare la complessa organizzazione sociale che in esso trova compimento. Le aggregazioni sociali “in tal modo al di là della loro disciplina privatistica o pubblicistica, sono chiamate a concorrere al perseguimento di interessi non privati, non particolari ma generali, collettivi, pubblici, e sotto questo profilo viene loro riconosciuto un ruolo costituzionalmente ben definito”. Motivo per cui si può affermare che “ove vi sono formazioni sociali capaci di soddisfare con la loro attività –soprattutto quelle rivolte alla formazione della persona, come l’educazione, l’istruzione, l’assistenza – i bisogni per i quali sono nate, e che quindi in tal modo concorrono al perseguimento dei fini statuali, lo stato non debba sostituirsi ad esse”. (G. Dalla Torre, La questione scolastica nei rapporti fra Stato e Chiesa, 1989, 60). Si manifesta così “evidente la tendenza dello stato pluralistico la tendenza dello stato pluralistico di recepire il dato storico sociologico delle varie articolazioni di formazioni spontanee della collettività popolare e di attribuire rilevanza agli interessi emergenti nella comunità nazionale” (S. Lariccia, Diritti civili e fattore religioso in quarant’anni di regime repubblicano” in Studi in onore di L. Spinelli, II,1989,806).

([9])Secondo la Consulta il principio supremo della laicità dello Stato comporta “non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale” (Corte Cost. sentenza n. 203, 12 aprile 1989 in Dir. Eccl,1989, II, p. 293. In senso conforme si veda anche Corte Cost. sentenza m. 195, 23 aprile 1993, Corte Cost., sentenza n. 329, 14 dicembre 1997. Più di recente si veda in particolare Corte Cost. sentenza n. 63, 24 marzo 2016 disponibile qui www.cortecostituzionale.it secondo la quale “l’ordinamento repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità, da intendersi, secondo l’accezione che la giurisprudenza costituzionale ne ha dato (sentenze n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989), non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale: ne segue che importante compito della Repubblica è garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione, la quale rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’articolo 2 Cost (sentenza n. 334 del 1996)”.

([10])In argomento si veda fra gli altri A. Mari, Il sistema integrato di educazione e di istruzione dell’infanzia. Un ordinamento ad assetto variabile, 2017 e P. Sorzio (a cura di), Apprendimento e istituzioni educative. Storia, contesti soggetti, 2011.

([11])Storicamente i convitti nazionali furono le istituzioni educative che permisero agli alunni dei piccoli centri periferici di frequentare i licei e accedere all’università, dopo l’unità d’Italia. Trovano la loro definizione con la legge Casati n. 3725 del 13 novembre 1859 che assegna loro una duplice funzione: preparare i giovani alla gestione del potere ed esercitare un’assistenza diretta ai bisognosi e meritevoli. Il modello organizzativo tendeva a privilegiare l’educazione rispetto all’istruzione. Non sono mai stati aboliti formalmente, e la loro funzione si è modificata adattandosi ai cambiamenti della società. Inizialmente erano gestiti esclusivamente da organizzazioni cattoliche che però tendevano a provvedere solo all’educazione dei figli di famiglie nobili o di alta borghesia. Dopo l’unità d’Italia il monopolio venne sottratto alla chiesa, e presero piede così i Convitti Nazionali Laici.  In materia si veda tra gli altri P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019,4, disponibile qui www.statoechiese.it, secondo il quale “Un esempio di regolazione delle istituzioni educative previsto dalla legislazione italiana sub-costituzionale è offerto in particolare dagli articoli 203 e 204 del decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione). Queste norme di livello ordinario disciplinano i convitti nazionali e gli educandi statali considerandoli funzionali al perseguimento degli obiettivi generali del sistema formativo italiano, in quanto attraverso un’offerta formativa qualificata dalle scuole interne e mediante lo sviluppo delle strutture residenziali e semiresidenziali, essi rispondono alla nuove cultura delle pari opportunità vendendo incontro alle mutate richiesta dell’utenza e, forniscono valido supporto agli scambi di studenti in ambito comunitario europeo”. Per un approfondimento dell’argomento si cfr particolare M. Genua, L. Molinari, Istituzioni educative. Convitti nazionali, 2002, nonché A.G. Greco, I convitti nazionali. Compendio per gli educatori delle istituzioni educative per la formazione del cittadino europeo, 2001.

([12])L’istituto della potestà genitoriale è finalisticamente orientato ex lege al bene e all’interesse del minore (cfr: R.V. Barela, Riflessioni sull’interesse del minore, dal diritto di unificazione di status al diritto di autodeterminazione nella scelta religiosa: un’esigenza sovranazionale in Diritto e Religioni, 2017,1, 71: R. Losurdo, Libertà religiosa e nuovi modelli di famiglia, 2016,38; P. Stanzione, G.Sciancalepore, Minori e diritti fondamentali, Milano, 2006, 17 , ed è legato a doppio filo con il tema della formazione della sua personalità (cfr: A. Magni, Responsabilità genitoriale ed educazione religiosa del minore in Diritto e Religioni, 2008,2 316.

([13])G. Giacobbe, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano: Materiali per una ricerca, 2016, 70.

([14])Secondo P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019,5, disponibile qui www.statoechiese.it, “Il diritto dovere genitoriale di educare la propria prole assicurandone cura e protezione, sembra qualificabile sul piano tecnico precisamente come potestà (la potestà genitoriale appunto): ossia un potere giuridico attribuito dal diritto positivo ai genitori da esercitare in via nell’interesse primario dei figli (anche nel contesto di eventuali divergenze coniugali”. Sul punto si veda anche A. Cesarani, L’educazione religiosa del minore nella crisi coniugale tra autonomia familiare e intervento del giudice in Il diritto ecclesiastico, 2011, II, 792.  Una funzione e dunque un munus da adempiere non per perseguire un interesse proprio ma per realizzare un interesse altrui: un doveroso compito di responsabilità e di solidarietà familiare funzionale primariamente al bene personale dei figli. La funzione educativa costituisce un’attività doverosa a carco di chi riveste il ruolo genitoriale e il suo esercizio è sottoposto, fra l’altro a due condizioni essenziali: in primo luogo, si richiede una piena idoneità dei genitori ad assolvere alla funzione educativa, pena un intervento di carattere sussidiario da parte dello Stato per sopperire all’incapacità dei genitori onde provvedere comunque in via sostitutiva a che siano assolti i loro compiti (art. 30 comma secondo Cost); in secondo luogo nel percorso educativo si pone a carico dei genitori l’obbligo del rispetto delle capacità dell’inclinazione naturale e delle ispirazione dei figli (art. 147 c.c.)  con evidente funzionalizzazione della relativa potestà genitoriale all’interesse primario del minore. Peraltro esiste un considerevole limite all’esercizio dei diritti dei genitori che coincide con l’evoluzione della personalità dei figli e con il loro interesse a ricevere un’educazione equilibrata (C. Cardia, Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea legislazione italiana,2005, 155. Di conseguenza tale munus genitoriale consiste non in una potestà libera, ma discrezionale, non in una piena manifestazione di autonomia del soggetto titolare, sebbene in un potere il cui esercizio risulta sempre e subordinato alle finalità previste dal diritto positivo. In sostanza, la funzione educativa affidata ai genitori consiste nell’assicurare al figlio uno sviluppo e una maturazione integrale della personalità conformi in precetti di cui agli art. 2 e 3 della Cost. e deve svolgersi nel rispetto delle libertà che la Costituzione garantisce anche ai minori” (E. Lamarque, sub. Art. 30 in Commentario alla Costituzione, I, a cura di R. Bifulco, A Celotto, M. Olivetti, 2006, 633.

([15])M. Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore in Trattato di diritto civile e commerciale, 2007, 177.

([16])R. Santoro, Diritto ed educazione religiosa del minore, 2004, 41.

([17])Si veda G. Matucci, sub. Art. 30 in La Costituzione Italiana. Commento articolo per articolo, I, Principi fondamentali e Parte I – Diritti e doveri dei cittadini (Art. 1-54) a cura di F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani, 2018, 204-205.

([18])M. Dogliotti, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore in Trattato di diritto civile e commerciale, 2007, 316.

([19])G. Dalla Torre, Il minore nella scuola in Orientamenti pedagogici, 1990, 2, 316. Sul punto si veda anche R. Santoro, Diritti ed educazione religiosa, 2004, 42, per il quale “ricevere un’adeguata educazione familiare comporta il diritto di concretarsi di aspettative costituzionalmente protette attraverso le quali i doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art, 2 Cost) acquistano senso positivo e allo stesso tempo impegnano lo Stato (art. 3 secondo comma Cost.) agli adempimenti richiesti, assicurando al minore tutti gli attributi necessari per consentirgli la piena partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

([20])A. Avon, La legislazione scolastica: un sistema per il servizio di istruzione. Contenuti, significati e prospettive tra riforme e sfide quotidiane, 2009.  Negli stessi termini F. Fracchia, Il sistema educativo di istruzione e formazione, 2008. “Sulla base dell’interpretazione delle norme costituzionali vigenti in materia che appare preferibile, la scuola non sembra qualificabile come un’azienda (in senso tecnico) produttiva di beni o servizi aventi valore economico non commerciale, non è una struttura che ha funzione strumentale rispetto agli interessi particolari (di natura economica o comunque ispirati a una logica di profitto ovvero a una logica di mercato) del soggetto (imprenditore) che la gestisce; viceversa la scuola è una formazione sociale tutelata e promossa espressamente dalla Costituzione italiana e consiste precisamente in una comunità, in un’istituzione comunitaria, che svolge e offre specifici servizi di interesse generale aventi grande rilevanza sociale per l’intera collettività civile e nazionale” (Così P. Lolli Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019, 8) disponibile qui www.statoechiese.it. Per un approfondimento si veda A. Perego, L’ente gestore della scuola cattolica. Temi di attualità giuridica, 2018, e più in generale G. N. Martino, Il diritto all’educazione e all’istruzione scolastica nel sistema scolastico italiano, 2020.

([21])In tal senso si veda fra gli altri F. Fracchia in Il Sistema Educativo di Istruzione e Formazione, Torino, 2008, 13 secondo cui “L’istruzione viene spesso invocata come un diritto ed è così qualificata dalla legislazione ordinaria; in particolare è reputata decisiva per garantire il conseguimento dell’uguaglianza sostanziale in quanto destinata a rimuovere uno dei principali ostacoli che ne impediscono il raggiungimento (art. 3 Cost.). Pure nei paesi anglosassoni, tradizionalmente, l’istruzione è considerata in funzione dello sviluppo della persona e delle sue capacità”. Anche la giurisprudenza costituzionale ha chiaramente invocato la presenza di un diritto. Si cfr quanto evidenziato dalla Consulta con la sentenza n. 215 dell’8 giugno 1987, n. 215, in Foro it., 1987, I, 2935, la quale ha statuto che ‘la scuola è aperta a tutti’, e con ciò riconoscendo in via generale l’istruzione come diritto di tutti i cittadini, l’art. 34, comma 1, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo ‘nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’ apprestata dall’art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L’art. 2, poi, si raccorda e si integra con l’altra norma, pure fondamentale, di cui all’art. 3, comma 2, che richiede il superamento dello sviluppo delle persone e dei cittadini”.

([22])Per un’analisi mirata di vedano le considerazioni di V. Crisafulli, La Scuola nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1956.

([23])L’importanza di tale disposizione normativa voluta dal Costituente si evince da una sua lettura attenta e ragionata. Secondo M. Di Margherita, in I pilastri costituzionali della scuola, 2019, in Rivista on line Altalex disponibile qui www.altalex.it. “Scuola è un nome collettivo che si riferisce a un soggetto collettivo, che interagisce con altri soggetti (quel “tutti” che è complemento di termine). La scuola è aperta a tutti, non a tutto: non può essere mercificata, bistrattata, contesa, fino a essere annientata. Il Costituente ha usato una proposizione breve (la più corta in tutto l’articolato), netta e precisa, senza l’aggiunta di altre condizioni. Sembra un’affermazione apodittica che richiama altre disposizioni costituzionali fondamentali, come “La libertà personale è inviolabile” (art. 13 comma 1 Cost.)”

([24])Per un’analisi esaustiva si legga L. Corradini, Educare nella scuola. Cultura, comunità, curriculo, 1983.

([25])Una declinazione del profondo legame che deve tendere a instaurarsi in campo educativo e ruolo sociale va ricercata nel particolare e delicato settore del riconoscimento nel campo dei diritti di integrazione scolastica dei soggetti disabili. Tracce di tale percorso vanno rinvenute in quel ponte di collegamento tra socializzazione e partecipazione consapevole che ha spinto la giurisprudenza della Consulta a evidenziare “la centralità dell’integrazione sociale degli individui quale presupposto essenziale della condizione di cittadinanza”.  Per uno sviluppo dell’argomento si veda A. Valastro, Le vicende giuridiche dell’handicap e la società dell’informazione: vecchie conquiste e nuove insidie per la Corte costituzionale in A. Pace (a cura di), Corte Costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della Giurisprudenza costituzionale per il cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, 990.

([26])Un approfondimento mirato del tema lo si ritrova nel pensiero di C. Acocella, La scuola nella Costituzione italiana: diritti, funzioni e servizi. Riflessioni a partire da un recente volume di Roberto Calvano in A.I.C, Osservatorio Costituzionale, fasc. 2/2020, 455, il quale, richiamando le riflessioni dell’autore sottolinea come “nel solco di questo discorso si situa l’avvertimento sull’opportunità di relativizzare la portata della distinzione tra istruzione ed educazione – espressione di un approccio che del tutto ragionevolmente scorgeva una progressione tra i prodotti (intellettivo e formativo in senso complessivo della persona) dell’attività di insegnamento – e di valorizzare piuttosto permeabilità della funzione pubblica di istruzione a fini educativi, che chiamano in causa la personalità dell’allievo nel peculiare contesto sociale e culturale in cui è calato, e il lavoro di sintesi operato dall’insegnante di queste sollecitazioni di carattere singolare e collettivo”.

([27])Si tratta della distinzione tra nozione di insegnamento, istruzione, educazione operata dalla giurisprudenza costituzionale, su cui fra tutte Corte Cost. sentenza n. 7 del 4 febbraio 1967.  Su punto si veda in particolare E. Spagna Musso, Lo Stato di Cultura nella Costituzione italiana, 1961, 13 secondo cui “Insegnamento, istruzione ed educazione sono fenomeni, di cui la scuola è uno dei fondamentali mezzi di attuazione e che, fra di loro distinti ma collegati da un rapporto di progressiva interdipendenza, nel mentre realizzano la cultura, si pongono a loro volta quali manifestazioni di cultura”.

([28])Cosi P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019, 9, disponibile qui www.statoechiese.it secondo cui “L’educazione scolastica concorre alla costruzione e al completamento della struttura personale del giovane, e lo prepara a divenire un buon cittadino e dunque un attore importante, nonché parte attiva delle dinamiche caratterizzanti la vita della società civile”.

([29])A dimostrazione del ruolo fondamentale che il diritto all’educazione ha assunto progressivamente nel corso degli anni, basta evidenziare che lo stesso trova ulteriore conferma oltre i confini nazionali anche a livello di diritto unoniale. Si intende fare riferimento alla Carta Europea sull’Educazione per la Cittadinanza Democratica e l’Educazione ai Diritti Umani, fondamentale documento adottato in data 11 maggio 2010 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con Raccomandazione CM/Rec (2010). Il Preambolo della Carta Europea inoltre richiama e rimanda espressamente al diritto fondamentale della persona all’educazione così come sancito nel Diritto internazionale, in particolare nella Dichiarazione Universale (articolo 26), nella Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali (articolo 2 del primo Protocollo addizionale), nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (articolo 13), nella Convenzione internazionale sui diritti dei bambini e degli adolescenti. Tutti elementi che tracciano una rotta ben definita verso un cammino finalizzato ad incanalare all’interno di un approccio poliedrico, tutti i vari settori afferenti il terreno in cui si sviluppa l’essenza stessa del ruolo educativo: dall’educazione all’interculturalità all’educazione all’eguaglianza, dall’educazione allo sviluppo sostenibile all’educazione alla pace. Ogni frammento mantiene la propria peculiarità ma non lo fa isolatamente come una monade, bensì tende ad amalgamarsi all’interno di un insieme ragionato di conoscenze più vasto, coordinato ed integrato, volutamente costruito intorno alla pietra angolare del principio del rispetto della dignità di “tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili”, così come dispone la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Per un’analisi esaustiva si rimanda ad A. Papisca, Il Consiglio d’Europa definisce e aggiorna contenuti e metodi dell’educazione civica: sussidio utile per il consolidamento di “Cittadinanza e Costituzione” nella scuola italiana, 2010 in “Centro di Ateneo per i diritti umani A. Papisca” disponibile qui www.centrodirittiumanipadova.it.

([30])In argomento si legga L. Corradini, G. Mari, Educazione alla cittadinanza e insegnamento della Costituzione, 2019.

([31])Cosi P. Lillo, Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Riv. “Stato Chiese e pluralismo confessionale”, n. 2 del 2019, 10, disponibile qui www.statoechiese.it . Cfr in tema G. Elia (a cura di) A scuola di cittadinanza. Costruire saperi e valori etico-sociali, 2014; P. Gelormini, Noi e gli altri. Dalla teoria alla prassi politica ed educativa, Roma, 2014. G. Scoca, Scuola e Costituzione, in Legalità e Giustizia, 1984

([32])Per ulteriori spunti si veda G. Rodari, C. De Luca (curatore) con introduzione di M. Lodoli, Scuola di fantasia, 2014.

([33])In materia va ricordato anche lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti. Si tratta uno strumento che nasce dal confronto aperto del Ministero della Pubblica Istruzione (su iniziativa dell’allora ministro Luigi Berlinguer), con gli studenti attraverso le varie consulte provinciali degli studenti. Emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 249 del 24 giugno 1998, n. 249, specifica i comportamenti consentiti o vietati a scuola e stabilisce le regole a cui devono sottostare tutti i soggetti della comunità scolastica e le eventuali procedure o sanzioni a cui ci si deve attenere in caso di violazione.

([34])Così S. Ordine, Il ruolo della famiglia nel processo educativo, 2010, 21.

 

Fonte immagine: Insegna L’ornamento Dei Dadi Sul Tavolo · Immagine gratuita (pexels.com)

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