La responsabilità dell’incaricato alla riscossione del credito mediante violenza e minaccia
Tra le tematiche maggiormente dibattute nella giurisprudenza della Corte di Cassazione vi è sicuramente la differente qualificazione giuridica del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ex artt. 392 – 393 c.p., e del reato di estorsione, ex art 629 c.p., nell’ambito dell’attività di riscossione del credito.
Prima di addentrarsi nell’analisi dei diversi orientamenti giurisprudenziali si ritiene utile inquadrare, in breve, entrambe le fattispecie di reato.
Il reato relativo all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è disciplinato dagli artt. 392 e 393 del codice penale a seconda che lo stesso sia commesso con violenza sulle cose oppure nei confronti delle persone.
Difatti questa tipologia di reato punisce il soggetto che, al fine di esercitare un diritto, esistente o putativo, pur avendo possibilità di ricorrere al Giudice, decide di non farvi ricorso ma di far valere le proprie ragioni agendo, arbitrariamente, con violenza sulle cose oppure, nel caso dell’art. 393 c.p., con minaccia o violenza nei confronti delle persone.
Per la configurazione del reato non è necessario che il diritto oggetto della pretesa sia realmente esistente ma è sufficiente che il reo agisca nella ragionevole convinzione di difendere un suo diritto.
Invece, di diverso tenore, è il reato di estorsione ex art. 629 c.p. nel quale viene disposta la punibilità della condotta del soggetto che, con violenza e minaccia, costringe taluno a fare o promettere una determinata cosa ottenendo, per sé o per altri, un ingiusto profitto e causando, conseguentemente, altrui danno.
Chiarito, brevemente, le tipologie di reati in analisi si vuole, di seguito, rappresentare i punti di incontro delle fattispecie criminose e le effettive differenze evidenziate da parte della giurisprudenza di legittimità.
L’orientamento dominante, in giurisprudenza ed in dottrina, individua le principali differenze tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed il reato di estorsione nella natura del fine perseguito dall’agente. Difatti nei reati di cui agli artt. 392 – 393 c.p. il fine perseguito è individuato in un diritto preteso che può essere fatto valere dinanzi l’Autorità Giudiziaria competente mentre nel reato di estorsione il fine ultimo è l’ottenimento di un profitto ingiusto in quanto non legittimato da una pretesa che può farsi valere concretamente per via giudiziaria[1].
Sul punto, a titolo esemplificativo, si riporta quanto stabilito da una pronuncia della Corte di Cassazione la quale ha stabilito che: “..il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria..”[2].
All’esito del suddetto orientamento è stato sostenuto in dottrina che, ulteriore elemento di discrimine strettamente correlato a quanto sopra detto, è la diversa tipologia di elemento soggettivo richiesto nei reati di cui si tratta in quanto, nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’elemento soggettivo è teso a realizzare quanto si può far valere in via giudiziaria[3] mentre nel reato di estorsione l’elemento soggettivo del reato esula dalla realizzazione di una pretesa giudiziaria legittima[4].
Tale considerazione ha trovato un riscontro in una pronuncia della giurisprudenza di legittimità nella quale è stato previsto che “…l’elemento soggettivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è caratterizzato dal dolo generico al quale deve aggiungersi il dolo specifico, consistente nella finalizzazione della condotta alla realizzazione della pretesa tutelabile in via giudiziale…”[5].
All’orientamento dominante si contrappone una differente interpretazione giurisprudenziale nella quale viene stabilito che l’elemento discriminante tra il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni attiene unicamente al grado di intensità della violenza e/o minaccia[6].
Secondo questa interpretazione nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta di violenza o minaccia perpetrata non è fine a sé stessa ma è da considerarsi strettamente connessa alla finalità dell’agente di far valere il preteso diritto mentre, al contrario, nel reato di estorsione, la condotta è unicamente finalizzata alla coartazione della volontà del soggetto passivo rendendo il profitto perseguito necessariamente ingiusto[7].
Ciò detto sulla portata dei contrastanti orientamenti della Cassazione relativamente ai reati in esame, si vuole di seguito analizzare il caso specifico dell’incaricato alla riscossione del credito che effettuata tale attività mediante l’esercizio di violenza o minaccia nei confronti del debitore.
Sul punto, con riferimento al caso di un soggetto incaricato alla riscossione del credito mediante la realizzazione delle condotte previste dall’art. 392 e 393 c.p., bisogna valutare se lo stesso è il soggetto titolare del diritto preteso oppure se agisce in concorso con il medesimo. Infatti, sia la giurisprudenza che la dottrina, sono concordi nel ritenere il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni un reato c.d. proprio esclusivo in quanto la sua esecuzione implica l’intervento personale diretto del soggetto designato dalla legge.
Per tale motivo, quindi, nei casi di reati commessi in concorso, se la condotta di violenza e minaccia di cui agli artt. 392 e 393 è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio, attinente alla pretesa di natura civilistica, che agisce su mandato del creditore, tale condotta configurerà il più grave reato di cui all’art. 629 c.p.[8]
Pertanto, riassumendo le sopra menzionate interpretazioni, va detto che, nell’ambito del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, occorre che l’autore del reato agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente.
Inoltre, una recente pronuncia della Corte di Cassazione, ha stabilito che: “…la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato…”[9].
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, si può ritenere che la condotta dell’agente della riscossione che, con violenza o minaccia, si adoperi per la tutela di un diritto preteso, nei limiti dell’oggetto in concreto tutelato dall’ordinamento giuridico nel caso specifico, configuri il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, mentre, differentemente, nel caso in cui, la condotta di violenza o minaccia sia commessa da un soggetto estraneo al preteso diritto, in concorso o meno con l’agente o che abbia un oggetto diverso e superiore rispetto a quello tutelato dall’ordinamento giuridico nel caso di specie, si configura il più grave reato di estorsione.
[1] Cass. Sez. II sentenza del 03.11.2015 n. 46628, Cass. Sez. II sentenza del 30.09.2015 n. 44674, Cass. Sez. II sentenza del 15.05.2015 n. 23765, Cass. Sez. II sentenza del 25.09.2014 n. 42940, Cass. Sez. II sentenza del 29.05.2014, n. 24292; Cass. Sez. II sentenza del 01.10.2013 n. 707, Cass. Sez. II del 29.03.2010, n. 12329.
[2] Cass. Sez. II, sentenza del 04.12.2013 n. 51433
[3] Deve, in sostanza, consistere nella “credenza di esercitare un diritto e di far cosa giusta nella sostanza” CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Vol. V, Lucca 1873, par. 2853, p. 541
[4] MULA’ in “La Cassazione precisa gli incerti confini tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni
[5] Cass. Sez.II, sentenza del 22.01.2010 n. 10030
[6] Cass. Sez. II, sentenza del 18.12.15, n. 1921; Cass. Sez. II sentenza del 08.10.15, n. 44657; Cass. Sez. II sentenza del 03.08.15, n. 44476, Cass. Sez. V sentenza del 03.05.2013 n. 19230, Cass. Sez. VI del 23.11.2010 n. 41365.
[7] MULA’ in “La Cassazione precisa gli incerti confini tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni
[8] Cass. Sez. II sentenza del 18.12.2015 n. 1921, Cass. Sez. II sentenza del 10.02.2015 n. 9759, Cass. Sez. V del 03.05.2013 n. 19230
[9] Cass. Sez. II sentenza del 03.11.2016 n. 46288
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Sono un Avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Monza dal 15.10.2014.
Ho maturato un’importante esperienza in ambito di diritto penale con particolare riferimento, oltre ai reati contro la persona ed il patrimonio, ai reati di carattere tributario e fallimentare.
Sono iscritto nella lista dei difensori d’ufficio ex art. 29 comma 1 bis norme attuazione c.p.p.
Durante la mia attività professionale ho avuto modo di affrontare anche problematiche di natura civilistica in ambito di diritto di famiglia e contenzioso civile.
Credo molto nella mia professione, mi ritengo fortemente motivato a svolgere con la massima professionalità ciascun incarico, anche in situazioni di urgenza ed emergenza che mi venga assegnato. Mi reputo una persona seria ed affidabile; capace sia di eseguire la propria attività in autonomia che di interagire e collaborare nell’ambito di un lavoro di team.
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