Il profitto confiscabile equivale all’intera somma ripulita dal riciclatore: il rischio di uno “sdoppiamento” della confisca
Cass. Pen., Sez. II, 2/03/2022 (ud. 7/12/2021), n. 7503
1. Con la sentenza dianzi indicata, la Suprema Corte è tornata ad occuparsi di un tema giuridico di sicuro interesse, afferente la portata interpretativa dell’istituto della confisca speciale prevista dall’art. 648 quater c.p, per i reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio.
Il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici si può ricostruire in questi termini: F.A.M. veniva condannato per il reato di riciclaggio, poiché lo stesso, senza concorrere nel reato presupposto commesso da A.D. (segnatamente, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ex art. 2, D.Lgs. n. 74/2000), aveva compiuto operazioni in modo da ostacolare la provenienza delittuosa della somma di euro 150.000, ricevuta in contanti dall’autore del reato fiscale.
La Corte Territoriale, in esito alla condanna, confermava la confisca per l’importo di euro 150.000, costituente il profitto del reato.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste proponeva ricorso per cassazione l’imputato, deducendo, fra l’altro, violazione di legge in ordine alla ritenuta operatività della confisca per equivalente nei confronti di F.A.M.
Si osservava, infatti, come l’autore delle condotte di riciclaggio non avesse percepito, in concreto, alcun profitto da tale attività, come era dato riscontrare dalle stesse dichiarazioni di A.D.
Pertanto, l’imputato, a mezzo del difensore, chiedeva l’annullamento della disposta confisca.
2. La Suprema Corte, nell’analizzare il citato quinto motivo di ricorso, che lamentava la mancanza del conseguimento di un profitto in capo all’imputato, osserva come, in relazione all’oggetto della confisca prevista dall’art. 648 quater c.p., convivano due orientamenti giurisprudenziali tra loro differenti.
Secondo un primo indirizzo ermeneutico, la confisca per equivalente del profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego avrebbe ad oggetto l’intera somma oggetto delle operazioni di ripulitura del denaro, poiché, in assenza di tali operazioni, tali somme sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del reato presupposto[1].
Secondo una diversa opzione interpretativa, invece, la natura sanzionatoria della confisca per equivalente impedirebbe una sua applicazione per un valore superiore al profitto del reato.
Sulla base di tale assunto, un primo arresto giurisprudenziale aveva annullato la confisca disposta nei confronti dei riciclatori, e parametrata sull’intero valore della somma riciclata, in quanto la misura ablatoria andrebbe invece commisurata unicamente al vantaggio coincidente con il profitto o il prezzo ricavato dall’autore delle condotte dissimulatorie[2].
Ed ancora, un’ulteriore pronuncia della Cassazione aveva negato la possibilità di confiscare per equivalente l’intero valore della somma riciclata, considerata quale profitto del reato, sul presupposto dell’inapplicabilità del principio della solidarietà nel caso di riciclaggio, attesa l’espressa previsione legislativa di esclusione del concorso tra il reato ex art. 648 bis c.p. ed il reato presupposto del riciclaggio. Veniva confermata, dunque, la necessità di limitare la confisca di valore al solo profitto effettivamente incamerato dal riciclatore[3].
3. La Corte, nella pronuncia che si commenta, ritiene di aderire al primo degli indirizzi ivi indicati.
Nell’affrontare la questione sottesa alla loro attenzione, i Giudici svolgono alcune considerazioni in ordine alla fattispecie di riciclaggio, ricordando, tra l’altro, come in tale delitto rientrino tutte le attività di ripulitura del denaro sporco, nonché di come si tratti di reato istantaneo di mera condotta e di pericolo concreto[4].
Gli Ermellini rammentano, altresì, come l’art. 648 quater c.p. si collochi nell’alveo delle moderne forme di confisca, tutte tese a superare il limite principale della confiscabilità di un determinato bene, vale a dire l’esistenza di un nesso di pertinenzialità tra il bene stesso ed il reato accertato.
A tale esigenza estensiva risponderebbe infatti la previsione della confisca per equivalente, la quale, come noto, permette di sottoporre alla misura ablativa le somme di denaro, i beni o le utilità delle quali il reo abbia disponibilità, per un valore equivalente (nel caso dell’art. 648 quater c.p.) al prodotto, al profitto o al prezzo del reato.
Si sottolinea, per quanto qui di interesse, come il profitto del reato debba essere inteso come “il lucro ovvero il vantaggio economico derivato direttamente per effetto della commissione del reato[5]”.
4. Fatte tali premesse, la Suprema Corte ritiene come nel caso di specie, avendo il reato ad oggetto somme di denaro, il profitto debba considerarsi costituito dall’intero ammontare delle somme oggetto delle operazioni di ripulitura.
Tale opinione deriverebbe dalla constatazione che il denaro illecito oggetto delle condotte dissimulatorie rimarrebbe nella disponibilità del riciclatore, seppure, eventualmente, per un periodo di tempo limitato.
Si sostiene infatti che, pur non essendo applicabile per i reati in commento il principio solidaristico (non essendo possibile rinvenire un concorso tra gli stessi), la clausola di riserva contenuta nell’art. 648 bis c.p. rappresenterebbe una deroga alla disciplina del concorso di reati; deroga motivata dalla ritenuta sufficienza sanzionatoria ricollegabile alla punizione del solo reato presupposto.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, sussisterebbe innegabilmente un “concorso nell’illecito complessivo fra il responsabile del delitto presupposto ed il riciclatore che opera d’intesa con l’autore dell’attività illecita a monte che, per scelta del legislatore, non risponde del reato di riciclaggio[6]”.
Tenendo conto, peraltro, della richiamata natura istantanea del delitto in discorso, e non essendo necessaria, ai fini dell’integrazione del reato di riciclaggio, la restituzione del denaro “ripulito” all’autore del reato presupposto, ne discenderebbe che il profitto del reato commesso a monte sarebbe sovrapponibile con quello relativo alla condotta di riciclaggio, la quale assicura l’integrale disponibilità giuridica dei valori riciclati.
La Corte conclude, dunque, prestando adesione ai principi espressi dal primo orientamento giurisprudenziale e conferma come nel reato di riciclaggio il profitto confiscabile equivalga all’intero ammontare delle somme che sono state ripulite attraverso le operazioni previste dall’art. 648 bis c.p.; e non importa che l’imputato abbia goduto solo di una parte del profitto, ovvero che non abbia tratto alcun godimento personale e diretto dalla vicenda delittuosa.
Secondo la Corte, infine, tale interpretazione sarebbe maggiormente conforme sia a quanto stabilito dalla normativa sovranazionale[7], che ad una politica criminale volta a scoraggiare le condotte di riciclaggio di denaro.
Per tali motivi, dunque, il ricorso dell’imputato viene rigettato.
5. L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte nella sentenza dianzi brevemente commentata, suscita talune perplessità.
Se già da un punto di vista giuridico la considerazione circa la sovrapponibilità del profitto del reato presupposto con quello del reato di riciclaggio (anche nel caso di concreta assenza di un beneficio per il riciclatore) lascia più di un dubbio, non si può fare a meno di notare come tale indirizzo ermeneutico abbia delle pesanti ricadute anche sul piano economico.
Ed invero, attenendosi all’orientamento delineato dalla Cassazione, l’autore delle condotte di riciclaggio subirebbe la confisca (anche per equivalente) dell’intero valore delle somme da lui ripulite, anche in mancanza di un effettivo incameramento, da par suo, di benefici economici; ma non si considera come lo stesso ammontare potrebbe essere confiscato anche all’autore del reato presupposto, in questo caso all’autore del reato tributario.
In questo modo, dunque, la confisca si sdoppia e rileva due volte nell’ambito del medesimo “illecito complessivo”, per utilizzare le parole della pronuncia che si è commentata.
Si auspica, sul punto, stante l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, l’intervento del Supremo Consesso a Sezioni Unite, nella speranza che venga preferita un’interpretazione più rispondente alla nozione di profitto confiscabile e che tenga conto dell’ulteriore profilo di rischio dello “sdoppiamento” della confisca stessa.
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[1] Il richiamato orientamento si rinviene in Cass. Pen., Sez. II, 2/12/2020 (ud. 4/11/2020), n. 34218 ed in Cass. Pen., Sez. Feriale, 5/09/2019 (ud. 1/08/2019), n. 37120.
[2] Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 11/09//2019 (ud. 30/04/2019), n. 37590.
[3] Cass. Pen., Sez. II, 5/11/2020 (ud. 15/07/2020), n. 30899.
[4] Per una esauriente trattazione delle tematiche sottese al reato di riciclaggio, si veda E. DOLCINI, G. MARINUCCI, G.L. GATTA, Codice Penale Commentato – V Edizione, Tomo III, 2021, pp.2833 ss. Per un’analisi delle recenti modifiche apportate dal D.Lgs. n. 195/2021 al delitto de quo, si veda G. PESTELLI, Riflessioni critiche sulla riforma dei reati di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio di cui al D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 195, su questa Rivista, Fascicolo 12/2021.
[5] Cass. Pen., Sez. II, 2/03/2022 (ud. 7/12/2021), n. 7503. Per una nozione estensiva del concetto di “profitto” confiscabile in via diretta, si veda Cass. Pen., Sez. Unite, sent. 25 maggio 2007, n. 10280, Miragliotta.
[6] Cass. Pen., Sez. II, 2/03/2022 (ud. 7/12/2021), n. 7503.
[7] Si richiama, in particolare, la Dec. 2001/500/GAI del 26 giugno 2001.
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Avvocato penalista, nato nel 1993.
Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell’Impresa, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall’Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante.
E’ membro dell’Osservatorio Giovani e Open Day dell’Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara.
Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino.
Si laurea in Giurisprudenza all’Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: “La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi”.
Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero.
Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l’abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d’Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali.
Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione, i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia.
E’ collaboratore dell’area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E’altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata “Articolo 40”, disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza.
Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com
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