lunedì, Marzo 18, 2024
Criminal & Compliance

Il peculato dell’albergatore

Peculato dell’albergatore sull’imposta di soggiorno: una rilettura critica della tesi che esclude l’abolitio criminis

A cura di Dott. Massimiliano Zaniolo

La Corte di Cassazione – da ultimo con la sentenza annotata – ribadisce l’esclusione dell’abolitio criminis del delitto di peculato ascrivibile all’albergatore per l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 180, comma 3 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34. Le ragioni addotte dalla Corte si fondano, da un lato, nell’adozione del criterio strutturale puro e, dall’altro, nell’esclusione che la novella legislativa possa esser qualificata come norma di interpretativa autentica. Entrambi gli aspetti, sottesi alla decisione finale, sembrano passibili di alcuni rilievi critici, in ragione della logica “sostanziale” che oramai permea il diritto penale del fatto.

The Supreme Court of Cassation – as last with the noted judgment – remarks the exclusion of the abolitio criminis of the embezzlement attributable to the hotelier for failing to pay the tourist tax, as modified by the reforms introduced by art. Nn dl xyz. The reasons behind the ruling of the Supreme Court are founded, on one hand, on the adoption of the pure structural criterion and, on the other hand, on the exclusion that this legislative reforms may be qualified as authentic interpretative norm. Both those aspects, underlying towards the final decision, seem objectionable, in light of the substantial logic that permates the criminal law of fact.

SOMMARIO: 1. Il caso sub iudice e il quadro normativo di riferimento. – 2. La questione di diritto intertemporale: l’applicazione del criterio strutturale. – 3. Un primo rilievo critico: la (non) continuità del tipo d’illecito. – 4. Una differente prospettiva: l’art. 180, comma 3, d.l. n. 34 del 2020 come norma d’interpretazione autentica. – 5. Conclusioni.

 

  1. Il caso sub iudice e il quadro normativo di riferimento. – Con la sentenza de qua, la Cassazione è tornata ad affrontare la vexata quaestio inerente all’operatività della disciplina di cui all’art. 2 c.p. con riguardo alla successione nel tempo di leggi in tema di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore.

In particolare, la vicenda concreta – analoga a quelle già sottoposte alla Corte stessa[1] – prende le mosse dalla nota modifica, apportata dall’art. 180, co. 3 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto Rilancio), conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77, alla disciplina amministrativa e tributaria dell’imposta di soggiorno, precedentemente dettata da una composita fonte normativa, legislativa e regolamentare, in virtù della quale la giurisprudenza prevalente qualificava l’albergatore come incaricato di pubblico servizio.[2]

Sia la giurisprudenza di legittimità sia quella contabile[3] ritenevano che fra il gestore della struttura ricettiva (o albergatore) ed il Comune si instaurasse un rapporto di servizio, inquadrabile nella nozione di incaricato di pubblico servizio di cui all’art. 358 c.p. Veniva evidenziato infatti che l’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore fosse oggettivamente strumentale rispetto all’esecuzione dell’obbligazione tributaria, la quale comporta l’incasso delle somme spontaneamente versate dal soggetto passivo e il conseguente obbligo per il riscossore di riversarle all’ente impositore di competenza.[4]

In altri termini, secondo l’elaborazione pretoria largheggiante, il rapporto tra società ed ente si configurava come rapporto di servizio ex art. 358 cod. pen., in quanto il soggetto esterno si inseriva nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività pubblicistica di quest’ultimo, cosicché la società concessionaria avrebbe rivestito la qualifica di agente contabile, non rilevando in  contrario né la sua natura di soggetto privato, né il titolo giuridico in forza del quale il servizio veniva svolto.

Di conseguenza, la prevalente giurisprudenza penalistica, previgente alla novella legislativa in questione, sussumeva ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale erano state versate e ricevute, nella condotta appropriativa di cui all’art. 314 c.p.. Ciò in quanto la qualifica di incaricato di pubblico servizio non era ritenuta dubbia, anche in assenza di un preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione rispetto a tale compito, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività – di compartecipe dell’attività amministrativa del Comune quale ente impositore e degli obblighi gravanti sugli albergatori – direttamente disciplinata dalle norme di diritto pubblico istitutive della relativa imposta.[5]

Rispetto a tale disciplina, prevalentemente frutto dell’interpretazione giurisprudenziale, È netto il cambio di paradigma apportato dal legislatore del ‘decreto rilancio’, che ha modificato la natura soggettiva dell’albergatore: da compartecipe dell’attività pubblicistica di riscossione (in qualità di agente contabile), a mero responsabile del pagamento del contributo di soggiorno con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, secondo lo schema ricavabile dall’art. 64, comma 3, TUIR, con infine l’introduzione, per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, della sanzione amministrativa di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13.

Orbene, non v’è dubbio che pro futuro l’albergatore non rischierà di essere sottoposto a procedimento penale per aver omesso o ritardato quanto dovuto a titolo di imposta di soggiorno, attesa la sopravvenuta carenza della qualifica soggettiva pubblicistica e la riconducibilità di tali condotte nell’ambito dell’illecito amministrativo di nuovo conio; resta invece da comprendere la sorte dell’albergatore nei cui confronti sia già stata instaurata la vicenda processuale.

Ed è a tal guisa significativa la presa di posizione della Suprema Corte che con la sentenza annotata ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato B.R., il quale era stato condannato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con sentenza confermata in grado di appello, per il delitto di peculato di cui all’art. 314 c.p. per essersi appropriato, in qualità di legale rappresentante dell’hotel (OMISSIS), della somma di Euro 5.472 riscossa a titolo di imposta di soggiorno.

La Cassazione ha espressamente escluso – conformemente ad una recentissima sentenza della stessa sezione[6] – che la citata disposizione del ‘decreto rilancio’ abbia determinato l’abolitio criminis del peculato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 2 c.p., in rapporto ai fatti di appropriazione delle somme di denaro riscosse dai gestori delle strutture ricettive a titolo di imposta di soggiorno non versate agli enti pubblici impositori dell’obbligo tributario.

  1. 2. La questione di diritto intertemporale: l’applicazione del criterio strutturale. – La pronuncia in commento, dopo aver ricostruito la disciplina extrapenale di riferimento, di cui al paragrafo che precede, ha affrontato dunque il problema di diritto intertemporale che si pone in relazione ai fatti di mancato versamento dell’imposta di soggiorno commessi prima del decreto-rilancio.

La soluzione accolta dalla Sezione VI, come si è anticipato, è quella secondo cui che le condotte di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno da parte dei gestori delle strutture ricettive, poste in essere antecedentemente alla data di entrata in vigore del decreto- legge n. 34/2020, mantengano intatta la loro rilevanza penale: sull’assunto per cui il recente intervento normativo si sarebbe sostanzialmente limitato ad innescare una successione nel tempo di leggi extrapenali, in alcun modo qualificabili come autenticamente integratrici del precetto.

Il ragionamento seguito dalla Corte muove dal presupposto, ritenuto imprescindibile, che siffatte ipotesi modificative, benché ‘mediate’ (poiché non incidono direttamente sulla fattispecie incriminatrice), debbano essere interpretate alla luce del criterio del confronto strutturale fra fattispecie (c.d. doppia incriminabilità in astratto), affermato dalla giurisprudenza di legittimità ed in particolare dai vari arresti delle Sezioni Unite (Magera, Niccoli e Rizzoli) in tema di effetti penali della successione di leggi extrapenali.[7]

In applicazione del criterio strutturale, osservano gli ermellini, va dunque verificato se le modifiche di norme diverse dalla norma incriminatrice, in vario modo richiamate a sua integrazione, determinino una modifica rilevante agli effetti penali della fattispecie incriminatrice con conseguente applicazione del principio di retroattività o se piuttosto, stante l’identità della norma incriminatrice, tali variazioni possano considerarsi irrilevanti rispetto agli effetti penali.

Così, richiamando a più riprese le summenzionate pronunce a sezioni unite, ed i principi ivi espressi, su tutti quelli relativi all’adozione del criterio interpretativo fondato sul raffronto strutturale fra fattispecie, la Corte afferma che il d.l. ‘rilancio’ non ha modificato la definizione legale di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.), così come, mutatis mutandis, non fu modificata, nel caso oggetto della sentenza Magera, la definizione legale di extracomunitario.[8]

Si è osservato infatti che il comma 3 dell’art. 180 del d.l. n. 34/2020 non investe la norma incriminatrice, poiché non modifica la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, ma elimina le condizioni che consentivano di qualificare il singolo albergatore come tale. In altri termini, l’abolitio crimimis dovrebbe ritenersi esclusa, ad avviso della Corte, perché la norma sopravvenuta non ha espunto dalla macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico.

Decisiva sarebbe dunque la distinzione tra norme integratrici, in grado modificandosi di incidere sulla fattispecie legale astratta, e norme non integratrici, che tale capacità non hanno.[9]

Ed è proprio virtù di questa ripartizione che la Cassazione, nel suo iter argomentativo, giunge a ritenere che la novella legislativa abbia fatto venir meno “in concreto” la qualifica soggettiva pubblicistica del gestore, ma che non abbia di certo alterato la definizione stessa di incaricato di pubblico servizio. A parere della Suprema Corte, dunque, dal raffronto delle due fattispecie sarebbe evidente che «il legislatore non ha inteso incidere su un “elemento strutturale” del delitto di peculato, ma è intervenuto modificando lo status di fatto del gestore rispetto alla tassa di soggiorno: dal ruolo di incaricato o soltanto di custode del denaro pubblico incassato per conto del comune a quello di soggetto obbligato solidalmente al versamento della imposta».[10]

Le norme extrapenali, in tal senso, si collocherebbero in un rapporto di ‘interferenza applicativa’ sia con la norma che definisce la qualifica soggettiva dell’agente (art. 358 c. p.) sia con quella che stabilisce la struttura del reato (art. 314 c. p.), lasciando, però, entrambe inalterate, perciò impedendo di ricondurre tale modifica alla disciplina di cui all’art. 2, co. 2 c.p. Di talchè, la Corte conclude affermando che si tratti in definitiva di fattispecie tra loro eterogenee: «l’una destinata ad operare in rapporto al vecchio regime dell’imposta di soggiorno – e alla qualifica pubblicistica dell’albergatore (e del denaro incassato), l’altra in relazione al nuovo regime dell’imposta stessa – e alla qualifica privatistica dell’albergatore (e del denaro incassato)».[11]

  1. Un primo rilievo critico: la (non) continuità del tipo d’illecito. – Orbene, i richiami operati dalla Corte alle sentenze Magera, Niccoli e Rizzoli – dirimenti ai fini dell’esclusione dell’aboliito criminis – non paiono, a questo avviso, del tutto convincenti.

Considerando anzitutto la pronuncia Magera, vero caposaldo della teorica dottrinale e giurisprudenziale che nega, nel caso di specie, l’abolitio criminis, si deve rilevare che nella stessa sentenza si individua, in un ampio obiter dictum, un criterio di accertamento dell’abolitio criminis ulteriore e diverso da quello strutturale; occorre allora citare almeno un passaggio chiave: «oltre che rispetto alle norme integratrici di quelle penali, l’art. 2 c.p.  può trovare applicazione rispetto a norme extrapenali che siano esse stesse, esplicitamente o implicitamente, retroattive, quando nella fattispecie penale non rilevano solo per la qualificazione di un elemento, ma per l’assetto giuridico che realizzano».[12]

Tali considerazioni formulate dalle Sezioni Unite Magera, non sempre evidenziate dalla prevalente dottrina e tantomeno dalla sentenza qui annotata, la quale ha citato l’autorevole precedente come cardine dell’analisi astratta delle fattispecie, sembrerebbero invece deporre a favore dell’accoglimento di un criterio “misto”, in cui  sia necessario operare, oltre al raffronto strutturale, anche un confronto dell’”assetto giuridico” realizzato dalla modifica, inteso come esame della permanenza del disvalore del fatto e del permanere della sua punibilità in concreto, al fine, dunque, di valorizzare la reale volontà del legislatore.[13]

Sono evidenti in questo senso i richiami alle teorie del “fatto concreto” e della “continuità del tipo di illecito”, secondo cui non ci si può affidare né all’affermazione di principio che tutte le modificazioni di dati normativi esterni, implicati dalla fattispecie penale, sono da trattare come un fenomeno di successione di leggi penali, né alla conclusione opposta.[14]

V’è allora da chiedersi se il criterio della doppia punibilità in astratto sia, come ritiene la Corte de qua, realmente considerabile quale diritto vivente, ovvero se, viceversa, si tratti di un criterio, pur apprezzabile sotto il profilo concettuale, ma, per la sua “rigidità”, non particolarmente idoneo a garantire esiti interpretativi giuridicamente appaganti.

Invero, a voler seguire rigorosamente l’impostazione c.d. astratta, si dovrebbe ritenere ad esempio che un’associazione – costituita per la realizzazione di un delitto scopo medio tempore abrogato – mantenga nel tempo rilevanza penale, seppur finalizzata a compiere meri illeciti amministrativi ovvero, et pejus, atti assolutamente leciti, atteso che le norme richiamate dagli elementi normativi sono immancabilmente considerate come non integratrici.[15]

Tale ipotetica soluzione non risulta evidentemente condivisibile, poiché – a fronte di anelastici e aprioristici concettualismi sulla natura della norma integratrice – comporterebbe un effetto giuridico irragionevole e contrario rispetto a quello determinato dalla voluntas legis, la quale ha sancito come non più meritevoli di repressione penale determinate condotte. Mutatis mutandi, apparirebbe profondamente irragionevole, nonché ingiusto, affermare che il d.l. n. 34/2020 determini la mera irrilevanza penale delle condotte poste in essere successivamente alla relativa data di entrata in vigore e non anche con riguardo a quelle pregresse, in quanto ciò concreterebbe una disparità di trattamento profonda rispetto a situazioni di fatto identiche. Il trattamento punitivo risulterebbe invero estremamente iniquo, una grave sanzione detentiva da un lato, la più alta prevista in astratto per i reati contro la p.a., fino a 10 anni e 6 mesi, e una semplice sanzione amministrativa pecuniaria dall’altro.[16]

A fortiori non convincenti né conferenti risultano i richiami all’orientamento espresso dalle sentenze Niccoli e Rizzoli, anch’esse citate dalla sentenza in commento a conforto della tesi c.d. astratta. Poiché, oltre alle suesposte ragioni “sostanzialistiche”, quest’ultime due pronunce a sezioni unite, come già evidenziato in dottrina, attengono alla differente ipotesi di modifiche “immediate” della fattispecie, la cui interpretazione risulta pacificamente operabile attraverso il raffronto astratto, posto che esse, a differenza delle modifiche mediate, qual è quella che ci occupa, incidono sulla struttura della figura criminis.[17]

È necessario allora riaffermare la necessaria e consolidata distinzione dottrinale fra modifiche immediate e mediate della fattispecie.[18] Giacché, essendo la problematicità intrinseca ai fenomeni di successione mediata di gran lunga maggiore rispetto a quelli di modifica immediata, non può esser condivisa una soluzione interpretativa che ne parifichi l’esegesi. Il fenomeno successorio delle modifiche mediate, invero, deve esser impostato in modo completamente diverso rispetto a quello degli interventi immediati; con riguardo alla prima categoria va sottolineato, concordemente con autorevole dottrina, come il ricorso ad un criterio ermeneutico non possa tralasciare un momento valutativo, “dal momento che le modifiche mediate non attengono alla struttura delle fattispecie, ma intervengono su norme integratrici del precetto penale, le quali incidono, potenzialmente, sul venir meno del disvalore della concreta condotta, obbligando l’interprete ad esaminare […] se il novum legislativo abbia privato di disvalore penale la concreta condotta sub iudice”.[19]

La questione, a questo avviso, dovrebbe esser affrontata adottando un criterio interpretativo “misto”, capace di valorizzare, oltre al dato formale della fattispecie incriminatrice, anche gli elementi sostanziali della stessa attinti dalla modifica intervenuta, che sia capace cioè di verificare la  c.d. “continuità del tipo d’illecito”. Seguendo quest’ultimo indirizzo interpretativo, concreto ed elastico, si deve allora concludere affermando che la figura criminis di peculato dell’albergatore per l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno sia stata travolta ex tunc dalla modifica del. d.l. ‘rilancio’.  Invero, posto che il bene giuridico tutelato dalla norma sul peculato è pacificamente individuato nell’integrità patrimoniale della pubblica amministrazione, rilevato altresì che a seguito della novella legislativa il denaro oggetto dell’imposta di soggiorno non è più qualificabile come “denaro pubblico” (in virtù dell’instaurata solidarietà passiva fra albergatore e cliente), risulta evidente che il novum legislativo abbia privato la concreta condotta sub iudice del suo carattere offensivo tipico.

Di conseguenza, in ossequio al principio di necessaria offensività che informa il diritto penale moderno, si ritiene che si debba imporre la medesima “rilettura legislativa” (depenalizzatrice) anche con riguardo alle condotte poste in essere anteriormente all’intervento normativo, a scanso di incorrere fatalmente nella teoria della “disobbedienza in quanto tale”.[20]

  1. Una differente prospettiva: l’art. 180, comma 3, d.l. n. 34 del 2020 come norma d’interpretazione autentica. – Da ultimo la sentenza in commento affronta (rectius si scontra) con il convitato di pietra rappresentato dalle Sezioni Unite Tuzet che, verso la fine degli anni ottanta, esclusero la punibilità dell’operatore bancario per il delitto di peculato, in relazione ai fatti commessi antecedentemente alla riforma apportata dal comma 2 dell’art. 1 del d.P.R. 350/1985. Ossia prima che venisse meno, in capo a quel soggetto, la qualifica di incaricato di pubblico servizio; emblematiche si rivelano le espressioni utilizzate dalla Corte: «per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto. Tra questi elementi, nei reati propri, è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo. […] E per quanti bizantinismi si vogliano fare, non si potrà mai contestare che il fatto ascritto [all’imputato], se commesso oggi, non costituirebbe reato».[21]

È evidente come in questo autorevole precedente, la Suprema Corte abbia fatto proprio il principio di matrice tedesca “vorher strafbar, nachher strafbar, also strafbar”, in virtù del quale il parametro discretivo fra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione dovrebbe essere ricavato dalla comparazione fra la punibilità di un medesimo fatto concreto ante e post modifica legislativa. In tal senso, soltanto nel caso di continuità punitiva si dovrebbe discorrere di mera riformulazione legislativa, viceversa, come nel caso in esame, si tratterebbe di abolizione della fattispecie incriminatrice.[22]

Ebbene, a fronte di questo significativo, ancorché remoto, orientamento, la sentenza in commento ha tentato di confutare le tesi di dottrina e giurisprudenza che, richiamando proprio la pronuncia Tuzet, riconoscono nell’ipotesi modificativa in questione l’albolitio criminis del delitto di peculato ascrivibile all’albergatore per l’omesso versamento dell’imposta di soggiorno.

Anzitutto, la Cassazione de qua osserva, correttamente, che nel caso affrontato dalle Sezioni Unite dell’’87 più che di una modificazione normativa, si trattasse di una diversa qualificazione attribuita agli agenti bancari, frutto di una differente interpretazione alla quale andava riconosciuto valore retroattivo, come avviene normalmente per le operazioni interpretative. Tuttavia, ad avviso della Sezione VI, non può ritenersi parimenti che l’art. 180 cit. che ci occupa sia una norma interpretativa, che abbia inteso cioè vincolare il giudice nella qualificazione giuridica del rapporto tributario sottostante alla tassa di soggiorno, non risultante da una norma specifica e ricostruito sulla base di principi generali.[23]

Ciò in quanto, osservano gli ermellini, un’eventuale interpretazione “autentica” con effetto retroattivo risulterebbe contraria ai principi costituzionali in tema di riserva di legge in materia tributaria, che impongono al legislatore di individuare con sufficiente analiticità gli elementi essenziali della stessa prestazione (presupposto d’imposta, base imponibile, soggetti obbligati, indici di capacità contributiva).[24]

Tale confutazione non pare condivisibile, invero preme osservare che la modifica introdotta dal legislatore non è finalizzata, come rilevato dalla Corte, all’introduzione di un tributo, tanto meno retroattivo. Prova ne è fatta che la novella in questione, oltre a non aver disposto alcunché per il passato, ha introdotto invece una sanzione amministrativa di nuovo conio, esclusivamente pro futuro. Emerge nitidamente peraltro che la finalità perseguita dal legislatore sia stata unicamente quella di riqualificare la posizione soggettiva del gestore di struttura ricettiva, allo scopo di escludere qualsivoglia profilo di rilevanza penalistica precedentemente riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente, e non, invece, di introdurre surrettiziamente un’imposta generica e retroattiva, come campeggiato dalla sentenza annotata.

Detta obiezione – condensata in un maggiormente articolato ragionamento – non appare quindi dirimente nel senso di escludere portata retroattiva alla norma ed, anzi, offre lo spunto per una differente, ma persuasiva, prospettiva di approccio alla questione, peraltro già timidamente recepita da qualche sparuta sentenza di merito.[25]

Come osservato da attenta dottrina (sul solco della celebre pronuncia Tuzet), la premessa che l’introduzione dell’art. 180, comma 3, cit. abbia innescato un’autentica modificazione mediata della fattispecie incriminatrice risulta, a ben vedere, dubbia, essendo contraddetta dalla mancanza di una preesistente norma integratrice che sia stata sostituita.[26]

Invero, come sottolineato al primo paragrafo della presente nota, la qualificazione giuridica richiamata dal combinato disposto degli artt. 358 e 314 c.p., non deriva dalla lettura di una specifica disposizione, ma da una ricostruzione di matrice prettamente pretoria di carattere generale, ispirata da un «principio generale dell’ordinamento», laboriosamente ricostruito da ultimo dalla sentenza Cass. Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 32058.[27]

Il susseguirsi nel tempo di diversi interventi giurisprudenziali, volti a delineare la natura soggettiva attribuibile al gestore della struttura ricettiva, fra cui rammentiamo l’intervento nomofilattico delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, denotano inequivocabilmente sia la complessità della questione sia la carenza di riferimenti normativi certi e chiari. [28]

È in questo contesto, lacunoso e discusso, che si è inserita la novella del d.l. ‘rilancio’, la quale non si è limitata a inserire nell’ordinamento una nuova informazione giuridica, contraria ad una specifica previgente disposizione normativa, bensì ha introdotto una definizione giuridica – «Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno […] con diritto di rivalsa sui soggetti passivi» – volta a dirimere definitivamente le tesi giurisprudenziali sul punto. A ciò si aggiunga che anche la collocazione ‘topografica’ dell’intervento appare deporre nel senso del carattere meramente interpretativo della disposizione, giacché, come osservato acutamente in dottrina, «essa interviene – non a caso – proprio nel contesto della legge istitutiva dell’imposta di soggiorno, integrando con un ulteriore comma, enumerato ‘1- ter’, l’art. 4 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23. Il legislatore, dunque, non modifica innovativamente una definizione legale preesistente, ma ne aggiunge una, [proprio] laddove la normativa anteriore era sostanzialmente muta, non avendo dettato nulla di specifico al riguardo né la legge primaria, né il pur previsto, e tuttavia mai adottato, regolamento governativo di attuazione».[29]

Così impostata la questione concernente l’esatta qualificazione della dinamica successoria, occorre domandarsi se il nuovo inquadramento legislativo, frutto di interpretazione autentica, rilevi solo in termini prospettici oppure valga anche per i fatti pregressi, così da comportare ex art. 2, comma 2, c.p., la definizione dei processi pendenti con il proscioglimento degli imputati per il delitto di peculato commesso anteriormente all’introduzione della norma.

Ebbene, si deve ritenere che l’efficacia retroattiva delle leggi di interpretazione autentica in bonam partem, quale quella de qua, sia incontrovertibile, specie nell’ambito della materia penalistica, informata al principio del favor rei; l’efficacia retroattività della norma d’interpretazione risulta peraltro incontestata (nella sua eventualità) anche dalla sentenza in commento. Del resto, risulterebbe singolare che la giurisprudenza di legittimità, caparbiamente incline a riconoscere portata retroattiva a qualunque interpretazione autentica in malam partem[30], negasse ora analoga efficacia all’interpretazione autentica in bonam partem operata dall’art. 180 cit .[31]

Un unico argine tuttavia si frappone fra l’esegesi della norma come d’interpretazione autentica e la sua applicazione retroattiva, e consiste, a mente del consolidato patrimonio ermeneutico della giurisprudenza costituzionale e convenzionale sul tema, nell’irragionevole ingerenza del legislatore in un procedimento giurisdizionale già iniziato, che concreterebbe un’inaccettabile invasione della sfera di attribuzioni di un altro potere dello Stato, nella specie il potere giudiziario.

Tuttavia, tale “invasione di campo” non sembra configurarsi nel caso in esame; infatti, la rassegna giurisprudenziale sul tema, su tutti Corte EDU, 14 febbraio 2012, Arras e altri c. Italia, dimostra che tale alterazione di equilibri sia stata storicamente riconosciuta soltanto nei giudizi (civili) in cui una delle parti in iudicium era lo Stato-persona, che, attraverso l’intervento normativo, si sarebbe avvantaggiato ingiustamente nei processi già instaurati.[32]

Una simile dinamica non risulta sussistente nel caso de quo, considerato che non è ravvisabile alcun profilo di ingerenza indebita da parte del legislatore, inteso come violazione del fair play giudiziale, poiché (a prescindere dalle ragioni “mitigatrici” della modifica, sostenute da tempo in dottrina) la questione affrontata dal legislatore gode di rilevanza generale, riguardando una moltitudine di processi pendenti in cui lo Stato non si avvantaggerebbe affatto dell’applicazione retroattiva della stessa; azni, volendo impersonificare atecnicamente lo Stato nella pubblica accusa, risulterebbe “soccombente” sotto il versante penalistico e nulla potrebbe pretendere retroattivamente sotto il profilo tributario, data l’assenza di una disciplina transitoria.

Nulla osta dunque all’applicazione retroattiva della legge in parola – se considerata come norma d’interpretazione autentica.

  1. Conclusioni. – Come visto dunque la questione è stata affrontata, in dottrina e in giurisprudenza, sotto una duplice veste: quale successione di leggi penali nel tempo ovvero quale mera norma d’interpretazione autentica, volta a delineare la natura soggettiva del gestore di struttura ricettiva a fronte della composita ricostruzione giurisprudenziale sul punto. [33]

Il primo approccio, peraltro assolutamente prevalente finora, è stato quello seguito dalla sentenza in commento, che, riconoscendo efficacia innovativa alla norma introdotta, ha impostato la questione sul profilo della successione mediata fra leggi penali. Così impostata la questione, in termini di modificazione intertemporale, la Cassazione si è espressa a favore del criterio esegetico del confronto strutturale fra fattispecie, sulla scia degli arresti a sezioni unite (Magera, Niccoli e Rizzoli) a più riprese richiamati.

Il risvolto pratico della soluzione esegetica è di tutta evidenza, sol che si consideri che dal medesimo dipende la normativa applicabile ai fatti commessi prima della modifica o dell’abrogazione della norma integratrice e, dunque, l’operatività del principio di retroattività favorevole.

Ebbene, a questo avviso, come esplicato al paragrafo 3 della presente, non si ritiene condivisibile un simile approccio astratto (c.d. puro) fondato unicamente sulla distinzione fra norme realmente integratrici e apparentemente integratrici.

Come sottolineato, non appaiono infatti conferenti i riferimenti alle pronunce soprammenzionate; in particolare, risultano inadeguati a dirimere la quaestio gli indistinti richiami ai criteri adottati dalle sezioni unite Niccoli e Rizzoli, giacché riguardanti fenomeni successori (immediati) radicalmente differenti rispetto a quello del caso in esame.

Parzialmente impreciso risulta anche il riferimento alla sentenza Magera, laddove viene issata quale architrave assoluto della teoria astratta; mentre, come visto, essa cela, in un ampio obiter dictum, spesso taciuto, espliciti riferimenti a criteri esegetici misti, atti alla valorizzazione, oltre che della struttura della figura criminis, anche, testualmente, «dell’assetto giuridico che [le norme extrapenali] realizzano».[34]

Di conseguenza, si deve rifiutare l’idea che il criterio del c.d. raffronto astratto, rigido e formale, costituisca per “diritto vivente” l’unica soluzione interpretativa valida, sia per il mancato seguito nella giurisprudenza (specie di merito[35]), sia per gli esiti giuridici a cui conduce.

Sotto quest’ultimo profilo vale la pena considerare, concordemente con attenta dottrina[36], che l’applicazione dell’art. 314 c.p. ai casi de quibus aveva determinato, già ante modifica, conseguenze giuridico-applicative di dubbia razionalità. A fortiori oggi, a seguito dell’intervento normativo che ha di fatto privato la condotta del suo carattere offensivo tipico, si ritiene sproporzionata e irragionevole la disciplina punitiva penalistica. Basti osservare che allo stato, anche a fronte di un omesso versamento di una somma di denaro ingente, consegue una mera sanzione amministrativa pecuniaria. Mentre, per l’omesso versamento anche solo di poche centinaia di euro, anche da parte dei proprietari dei c.d. bed and breakfast, si giungeva (e si giunge, ad avviso della Corte, in relazione ai fatti sub iudicium) ad applicare una pena minima edittale di quattro anni di reclusione (al più ridotta ai sensi dell’art. 323-bis c.p.), senza la possibilità di ricorrere all’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., e persino con l’emissione di ordini d’esecuzione immediatamente esecutivi, posto che il peculato è  ‘reato ostativo’ di cui all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit., a cui non si può applicare inoltre nemmeno la circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis, co. 2, c.p..

Appare chiaro quindi che tale soluzione, frutto di anelastici e aprioristici concettualismi sulla natura della norma integratrice, non sia idonea a valorizzare in maniera equa e ragionevole “l’assetto giuridico realizzato” dalla modifica alla normativa extrapenale. A tal proposito, l’orientamento interpretativo maggioritario concorda nel ritenere che, se l’abolizione del reato esprime una scelta politico-criminale del legislatore, il quale ritiene non più meritevole di repressione penale una classe di fatti in precedenza inclusi nel catalogo dei reati, poiché inoffensivi, sarebbe contraddittorio ed irragionevole continuare a punire con la più severa sanzione prevista l’autore di un fatto ormai tollerato dall’ordinamento giuridico.[37]

Al medesimo approdo giuridico retroattivo si perviene, come visto, affrontando la questione sotto il secondo versante prospettato, ossia qualificando la novella legislativa come norma meramente interpretatrice, data l’assenza di espressa e previgente disciplina normativa sul tema. In tal senso, lampanti e convincenti risultano le analogie fra il caso in esame e quello affrontato dalle Sezioni Unite Tuzet, le quali – proprio in virtù della ritenuta natura giuridica “autenticamente interpretativa” della norma introdotta dal d.P.R. 350/1985, con cui veniva esclusa la natura giuridica di incaricati di pubblico servizio agli operatori bancari – affermavano l’abolizione del delitto di peculato ad essi ascrivibile.

È una prospettiva recente, ma persuasiva, che attende ancora una risposta giurisprudenziale coerente, la quale, tuttavia, se confermata, avrebbe l’invidiabile pregio di dirimere definitivamente il contrasto sulla questione intertemporale, posto che la Cassazione non ha mai mancato di riconoscere efficacia retroattiva a tutte le interpretazioni autentiche in bonam partem,[38] .

In conclusione, sia l’adozione di un criterio “misto”, che tenga conto anche della continuità punitiva dell’illecito, sia la rilettura della norma come d’interpretazione autentica, forniscono un risultato giuridicamente appagante, poiché maggiormente aderente allo spirito della norma introdotta. Del resto, è oramai pacifico che il principio della retroattività della lex mitior possa subire deroghe – ragionevoli – soltanto a condizione che il legislatore vi provveda in modo espresso e univoco. Diversamente, il prodotto giuridico parrebbe scadere, a questo avviso, nella teoretica della “disobbedienza in quanto tale”, inconciliabile con il diritto penale moderno.

[1] Cass., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 30227.

[2] La composita fonte normativa: d.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 4, come modificato ed integrato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 221, art. 33; d.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52; R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 74, comma 1;  r.d.

  1. 827 del 1924, art. 178, d.Lgs. n. 267 del 2000 TUEL, art. 93, comma 2; d.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118) compiutamente individuata, ricostruita e descritta da: Cass., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 273446.

[3] Corte Conti, Sez. riun., 22 settembre 2016, n.22.

[4] cfr. Cass., Sez. VI, n. 32058, cit.; Cass., Sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707; Cass., Sez. VI, 21 settembre 2016, n.46235.

[5] Cass., Sez. VI, n. 32058, cit., in questi termini: ”è necessario e sufficiente che, in relazione al maneggio di denaro, si costituisse una relazione tra ente pubblico ed altro soggetto, per la quale la percezione del denaro avvenisse, in base a un titolo di diritto pubblico o di diritto privato, in funzione della pertinenza di tale denaro all’ente pubblico e secondo uno schema procedimentale di tipo contabile.”

[6] Cass., Sez. VI, n. 30227, cit.

[7] cfr. Cass. , Sez. un. 27 settembre 2007, Magera, n. 2451; Cass., Sez.un., 28 febbraio 2008, Niccoli, in Cass. pen., 2008, 3592 ss., con nota di Ambrosetti; Cass., Sez. un., 26 febbraio 2009, Rizzoli, In Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 887 ss., con nota di Gatta.

[8] Per questa impostazione in dottrina: GATTA, Abolitio criminis: teoria e prassi, Milano, 2008, 246. V. inoltre, tra gli altri, MARINUCCI- DOLCINI, Corso di diritto penale, ed. terza., Milano, 2001, 273 ss. e 280 ss.; GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, Napoli, 2008, 262 ss.

      [9] cfr. GATTA, Abolitio criminis: teoria e prassi, cit.

     [10] Cass., Sez. VI, n. 36317, cit.

     [11] Cass., Sez. VI, n. 36317, cit.

      [12] Cass. , Sez. un., Magera, cit.

[13] cfr. ROMANO, Commentario sistematico, vol. I, Milano, 2004, 59 ss; AMBROSETTI, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore, in Cass. pen., 2008, 3606 ss.

     [14] Per una dettagliata ricostruzione dell’elaborazione della teoria del fatto concreto, con riferimenti alla dottrina      tedesca, cfr. AMBROSETTI, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, Padova, 2004, 52 ss.

[15] Soluzione accolta da GATTA, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici” nella recente giurisprudenza delle sezioni unite della corte di cassazione, in Dir. pen. cont., 15 ottobre 2010.

[16] MICHELETTI, Le modificazioni mediate apparenti. Un recente caso in materia di peculato, in DisCrimen, 21 ottobre 2020.

[17] AMBROSETTI, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore, cit., 3609.

[18] PADOVANI, Tipicità  e  successione  di  leggi  penali.  La  modificazione  legislativa  degli  elementi  della  fattispecie

incriminatrice o della sua sfera di applicazione nell’ambito dell’art. 2, 2° e 3° comma c.p., in Riv. dir. e proc. pen., 1982, p. 1356; AMBROSETTI, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore, cit., 3602 ss.; PETRONE, L’abolitio criminis, Milano, 1985, p. 25; DEL CORSO, Successione dileggi penali, in Dig. d. pen., vol. XIV, Torino, 1999,  98.

[19] AMBROSETTI, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore, cit., p. 3609.

[20] Per una critica della quale v. per esempio D. PULITANÒ, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, 209 ss.

[21] Cass. Sez. un., 23 maggio 1987, Tuzet, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, p. 695 s, con nota di Paliero.

[22] La tesi è stata originariamente proposta da OPPENHOF, Das Strafgesetzbuch für das Deutsche Reich, 13. Aufl., Berlin, 1896, p. 24; Nella dottrina italiana, questa teoria è tradizionalmente associata alla tesi di PAGLIARO, La legge penale tra irretroattività e retroattività, cit., c. 1, sebbene la posizione di questo Autore sia in realtà più complessa (e più correttamente inquadrabile nel paradigma teleologico-valutativo di approccio al problema), come peraltro emerge recentemente in PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, ed. ottava, 2003, p. 118 ss.; alla teoria del fatto concreto può essere sicuramente ascritta la posizione di VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, I, Padova, 1999, p. 335 ss.; di recente, tale approccio è stato riproposto da IACOVIELLO, Bancarotta fraudolenta e successione di leggi, in Cass. pen., 2003, p. 616 s. e da MASSI, La fattispecie in divenire nella disciplina della legge penale nel tempo, Torino, 2005, p. 28 ss.

[23] cfr. Cass., Sez. VI, n. 36317, cit.

[24] cfr. Cass., Sez. VI, n. 36317, cit.

[25] Trib. Rimini, 20 novembre 2020, G.i.p., M.A., indagato.

[26] CIVELLO, Peculato per omesso versamento della imposta di soggiorno: una interessante decisione del Tribunale di Rimini, in Arch. pen., 2021; MICHELETTI, Le modificazioni mediate apparenti, cit.

[27] Per una ricostruzione interpretativa della qualifica dell’albergatore quale agente contabile v. Cass. Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 32058, cit., § 3.1 ss. Va peraltro rammentato che la tesi dell’albergatore quale agente contabile “di fatto” non era immune da critiche osservandosi che, di questo passo, qualunque sostituto d’imposta avrebbe dovuto subire analoga qualificazione: cfr. F. FARRI, Imposta di soggiorno alla Corte dei conti?, in Riv. dir. trib., 12 settembre 2018.

[28] cfr. Corte Conti, Sez. riun., n.22, cit.

[29] CIVELLO, Peculato per omesso versamento della imposta di soggiorno: una interessante decisione del Tribunale di Rimini, cit.

[30] V. ‒purtroppo ‒tra le tante Cass. Sez.I, 6 maggio 2003, n.23455.

[31] Ad. es.: Cass. Sez. III, 2 febbraio 1981, Cozzi, in Giust. pen.,1983, II, 82, e per ulteriore casistica v. D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme incriminatrici, Torino, 2006, 397 ss.

[32] Cfr., in particolare: Corte EDU, 14 febbraio 2012, Arras e altri c. Italia, nonché 31 maggio 2011, Mag-gio e altri c. Italia, entrambe in materia pensionistica; Corte EDU, 11 dicembre 2012, Anna De Rosa c. Italia, e 7 giugno 2011, Agrati c. Italia, entrambe in materia di personale scolastico ATA.

[33] Sotto il primo profilo si attestano: Cass., Sez. VI, n. 30227, cit.; Cass. Sez. VI, n. 36317, cit.; Trib. Roma, G.i.p., 10 novembre 2020, n. 1520; sotto il secondo: Trib. Rimini, G.i.p, cit.

[34] Cass. Sez. un., Magera, cit.

[35] Trib. Roma, G.i.p., n. 1520, cit.; Trib. Rimini, G.i.p., 24.07.2020; Trib. Perugia, 24 novembre 2020, n. 1936; Trib. Firenze, 8 ottobre 2020, n. 2133.

[36] CIVELLO, Peculato per omesso versamento della imposta di soggiorno: una interessante decisione del Tribunale di Rimini, cit.; MICHELETTI, Le modificazioni mediate apparenti, cit.

[37] Sul punto, cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2019, 96 ss.

[38] Per esempio Cass. Sez. III, 2 febbraio 1981, Cozzi, in Giust. pen., 1983, II, 82, e per ulteriore casistica v. D. MICHELETTI, op. cit., 397 ss.

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